Tra le più disparate attività in Italia nessuna è più popolare del calcio, unguento sociale e al tempo stesso massimo punto di polarizzazione degli Italiani, arsi da romantiche storie di tifo e di eroi o, talvolta, erosi dall’odio di curva. Lo sapeva Antonio Gramsci che, nonostante la vastità della propria indagine sociologica, non ha disdegnato a ricorrere alla metafora calcistica per spiegare come, secondo lui, l’italiano medio non si renda conto di essere un individuo piuttosto subdolo.
Probabilmente oggi, Gramsci resterebbe molto deluso nel constatare che l’Italiano è riuscito a corrompere anche la genuinità del pallone e a trasformarlo in una competizione aziendale in cui i calzettoni colmi di fanghiglia ed eroi come Di Bartolomei sono solo un lontano ricordo. Rimarrebbe deluso nel constatare che ogni vent’anni in Italia scoppia un nuovo caso come Calciopoli (al quale però, è bene ricordarlo, di solito segue un titolo mondiale tinto d’ azzurro) e amareggiato ammetterebbe che lo “Scopone” (o la Briscola) ha sconfitto la società liberale. E ciò nonostante, penso che sapere che c’è gente come Bearzot e Causio (Zoff e Pertini un po' meno) che dello Scopone hanno un ottimo ricordo, gli strapperebbe un sorriso.
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