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Lampedusa Hamburg FC – Storia di migranti, calcio e integrazione

“La grande popolarità che ha il calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza, in ogni angolo del mondo, c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi.”

Zdeněk Zeman

Anche i migranti amano il pallone

Negli ultimi mesi è quantomeno un eufemismo definire triste qualsiasi argomento tirato fuori dalla stampa e, purtroppo, dalla cronaca che riguardi l’argomento “migranti”. Le recenti stragi hanno messo a nudo un intero mondo fatto di soprusi, indignazione e tragedie. Oggi, però, vorremmo cambiare registro. Poiché, in un non poi così recondito angolo di Germania, nella città di Amburgo, è avvenuto un piccolo, consentiteci il termine, “miracolo”. Questo prodigio è legato, una tantum, al mondo del calcio e porta il pittoresco nome di Lampedusa Hamburg Football Club: una squadra che ha permesso a questi sfortunati migranti un momento di integrazione e, perché no, di gioia. La storia di questa squadra messa su dal nulla dall’idea di alcuni rifugiati è iniziata pochi mesi fa. Nel quartiere di St. Pauli, patria dell’omonima squadra di calcio della città tedesca, con tifoseria di estrema sinistra (una sorta di equivalente del conterraneo Livorno), con ogni mezzo sono giunti dal profondo Sud europeo e del mondo tanti e tanti profughi sfuggiti alla morte in mare sulle coste siciliane e, prima ancora, scappati dagli orrori dei massacri dei paesi d’origine. Una chiesa del quartiere, “gestita” dal coraggioso Padre Sieghard Wilm, ha dato loro un tetto, cibo e accoglienza. Da qui, dunque, è nato il sogno. Un campo di calcio dove correre, scalciare, dribblare, segnare ed esultare. Nigeria, Togo, Mali, Libia e tante altre nazioni povere e dilaniate dai conflitti: ecco da dove provengono i nostri prodi calciatori. La squadra del St. Pauli, già su menzionata, ha donato loro maglie e coperte, lanciandosi persino in un avveniristico gemellaggio, agli occhi dei comuni mortali. La vicenda, ripresa giorni fa anche in un servizio della tv pubblica italiana, nella trasmissione Dribbling, ha raggiunto la massima notorietà anche grazie ad un documentario, Lampedusa auf St. Pauli del regista Rasmus Gerlach, presentato al Filmfestival Hamburg 2013.

Lo sport senza frontiere

La vicenda deve far riflettere, e non poco. La tristezza di storie recenti non riguarda solo l’argomento “migranti” ma anche quello “calcio”. Uno degli sport più celebri al mondo è, negli ultimi anni, corsia preferenziale e veicolo di odi di vario tipo. Ovviamente non veicolati dallo sport in sé, ma da una cerchia ristretta, ma influente, di imbecilli pronti a incanalare repressione psicologica e propagande politiche di dubbia natura su questo sport così bello e così martoriato. Razzismo, violenza e minacce sono all’ordine del giorno e non fanno altro che sporcare un mezzo così potenzialmente efficace, come abbiamo appena raccontato. Uno sport soffocato dalla finanza, dal facile denaro, a volte persino da tremende incursioni della criminalità organizzata. Il bello e il brutto del calcio, si dice spesso. Il Lampedusa Hamburg FC, ribadiamo con veemenza, deve porci davanti ad una seria riflessione. Queste povere anime, sballottate in lungo e in largo da un Africa spietata e da un Unione Europea ancora più crudele, hanno trovato un piccolo momento di pace, un’oasi, nella verde erbetta dei campi di gioco. È lapalissiano dire che questi ragazzi non hanno messo fine ai loro problemi. La burocrazia di marca europeista ha, fin dove ha potuto, messo i bastoni fra le ruote alle speranze di futuro di questi poveri emarginati della società moderna. Olaf Scholz, socialdemocratico, aveva persino posto il veto a padre Wilm sull’accoglienza in un container per questi ragazzi. Le dannate idiosincrasie della nostra tanto “rispettabile” comunità colpiscono ancora. Nonostante tutto, questi giovani sognano. “Il pallone ed il prete”, retaggio di una cultura popolare italica di mezzo secolo fa, questa volta, sono riuscite nell’intento di dare una speranza, di far intravedere la luce alla fine del tunnel. Che tutto questo sia accaduto in Germania e non in Italia deve stimolare ancor di più la riflessione. Intanto il gioco calcio, in modo inaspettato, ha stimolato integrazione, rispetto e fiducia. Una volta tanto, godiamone.

Simone Bellitto

    

 

 

 

 

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