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Le mani nella monnezza

Gli interessi e i dubbi che emergono dalla relazione della Commissione Antimafia Siciliana

Il sistema dei rifiuti in Sicilia, come afferma la relazione della Commissione antimafia siciliana, è sempre stato gestito come “un’emergenza costante” che ha impedito un’attività programmatica di lungo periodo in tutta l’isola. Ciò ha favorito la nascita e lo sviluppo di un sistema volto a sostituire l’interesse pubblico con quello privato: dalla loro produzione al loro smaltimento, i rifiuti ed il loro ciclo hanno avuto l’olezzo della pecunia che è servita a corrompere dirigenti pubblici e ad accaparrarsi a tavolino gli appalti, avendo lo Stato (in questo caso la Pubblica Amministrazione della Regione Sicilia) deciso di abdicare al proprio ruolo di controllore dei procedimenti amministrativi.
Ci accorgiamo, allora, che esiste, in Sicilia, un apparato imprenditoriale che, attraverso gli strumenti della corruzione, ha deciso di piegare l’interesse pubblico a misura dei propri portafogli. Ciò è stato possibile sia a causa di una parte della politica siciliana, quella che ha costruito la propria egemonia nei palazzi, spesso connivente, sia a causa di dirigenti della Pubblica Amministrazione corrotti o incompetenti, utili soltanto per mettere la “firmetta”.

Esempi di “cleptocrazia”

Si parla di cleptocrazia, a partire dalla felice intuizione di alcuni politologi italiani, per indicare un blocco sociale, di sistema, che coinvolge industriali, politici, burocrati, magistrati, da cui deriva il voto di scambio, la gestione dei pubblici appalti, la distribuzione degli incarichi e così via. La definizione teorica assume il suo pieno significato anche nel nostro caso. Da un lato, in particolare, l’esternalizzazione del servizio di raccolta di rifiuti ha reso più poroso l’intero comparto alle infiltrazioni criminali. Tra le 14 maggiori aziende (per volume di rifiuti trattati) che si occupano di raccolta di rifiuti, 13 hanno subito procedimenti penali per vari reati (ambientali, contro la PA o per legami con la criminalità organizzata). Laddove, invece, non si era verificata alcuna infiltrazione, si è comunque ricorso all’utilizzo di strumenti corruttivi.
Ed è stato così, ad esempio, per quanto ha riguardato l’ampliamento (da 7 milioni di metri cubi) delle discariche siciliane: alcuni dirigenti regionali hanno, poi, ricevuto mazzette e doni, compresi i servizi erogati da alberghi ed escort, al fine di evitare i controlli nelle discariche e le possibili chiusure per irregolarità.
È stato così anche per l’affare, da 110 miliardi di lire, dei termovalorizzatori. “Un vero e proprio accordo a tavolino”, secondo quanto emerge dall’inchiesta della DDA di Palermo. A ribadirlo, in Commissione Antimafia, l’ex Assessore regionale per l’energia e i servizi di pubblica utilità, Pier Carmelo Russo: “Sa quante possibilità c’erano che la gara potesse andare così com’è andata? Una su 949.173.615. Tanto per dare un’idea, le possibilità di vincere il superenalotto sono una su 622 milioni”.
L’affare poi si è arenato grazie sia al tempestivo intervento della Corte di Giustizia UE, al fine di far rispettare i termini per la pubblicità degli atti amministrativi, che alle inchieste giudiziarie con cui si è scoperta la mancanza dei documenti antimafia per alcune imprese aggiudicatrici, i cui stretti legami con ambienti criminali sono stati evidenziati in un secondo momento.
È pare sia stato così, infine, anche riguardo allo scioglimento dei comuni per infiltrazione mafiosa. In particolare, i casi di Siculiana e Scicli. La vicenda di Siculiana è legata alle vicende della Catanzaro Costruzioni srl, società agrigentina ai cui vertici troviamo Giuseppe Catanzaro, delfino di Montante e suo successore alla guida di Confindustria Sicilia. Le indagini della procura di Palermo, seguita all’informativa del NOE, non hanno evidenziato alcuna rilevanza penale nei comportamenti degli imprenditori, ma gli inquirenti hanno sollevato “perplessità e zone d’ombra sulla condotta dei funzionari pubblici e degli imprenditori coinvolti”.
Infine, la vicenda di Scicli, dove ha un ruolo anche Franco Mormina (operatore ecologico il cui legame al clan Mazzei è riconosciuto dalla DIA a partire dal 2017), è legata a doppio filo anche alla società ACIF (partecipata Edison-Eni) e a quanto accade sulla piattaforma Vega (di proprietà della Edison), al largo delle coste di Pozzallo. L’ACIF, con un capitale sociale da 12mila euro ed un know-how legato allo smaltimento di rifiuti semplici, avrebbe dovuto occuparsi di rifiuti speciali provenienti dalla piattaforma petrolifera.

Fanno così il loro ingresso in scena le compagnie petrolifere Edison ed Eni, con interessi economici nazionali rilevanti che passano anche attraverso il lavoro di società locali e autorizzazioni di piccoli Comuni. In particolare nei confronti di Edison parte nel 2007 un processo in cui il Ministero dell’ambiente si è costuito parte civile chiedendo un risarcimento di 69 milioni di euro per smaltimento illecito dei rifiuti. Il processo si è chiuso con la prescrizione dei reati (anche a causa della chiusura del tribunale di Modica).

La filiera della monnezza sembra non conoscere limiti, legando con un filo rosso le vicende dei territori siciliani agli interessi di potentati economici e di una parte della politica, connivente o corrotta, a danno del bene comune e dei possibili danni ambientali. Pertanto, ci chiediamo: tutelando quali interessi, questi potentati, hanno agito?

Simone Lo Presti

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