Quando l’affezione per il patrimonio culturale della propria terra e per coloro senza i quali esso perderebbe di significato diventa impegno sociale. Quando l’otium si fa negotium, direbbero alcuni. Tale può considerarsi l’iter umano di Sveva D’Antonio, candidata alla Camera per le Politiche di marzo nel collegio di Ragusa con Potere al Popolo la quale si è gentilmente resa disponibile a parlarci più approfonditamente del movimento di cui fa parte che, senza volersi sbilanciare e con le dovute cautele, rappresenta senz’altro una curiosa alternativa.
Anzitutto volevo chiederti quando, come e in difesa di quali istanze è nato il movimento di Potere al Popolo.
La storia di questo giovane movimento inizia a Napoli nel novembre del 2017 quando il collettivo “Je so pazzo” reindirizza i locali dell’OPG, nel quartiere Materdei, di sostegno alla comunità, riservando anche spazio per attività ricreative e cultura. All’interno di questo centro sociale è, in seguito, maturata l’idea di costituire un gruppo che portasse avanti le istanze degli strati più bisognosi della popolazione fino ai livelli dell’amministrazione. Dall’aggregazione di questo gruppetto interno al centro sociale con realtà politiche preesistenti come il partito di Rifondazione Comunista e il Partito Comunista Italiano nasce il movimento di Potere al Popolo.
Dunque il movimento, inteso come realtà di politica attiva, nasce solo in seguito alla creazione del centro sociale per l’intraprendenza di alcuni membri?
Sì, il movimento nasce per rispondere alle esigenze della comunità e del territorio. Le candidature sono state proposte dal basso, in occasione di numerose assemblee territoriali a cui hanno partecipato anche alcuni sindacati.
Il movimento come si pone rispetto alle attuali realtà politiche del territorio? Riconoscete la possibilità di intesa con qualche proposta tra quelle attuali?
È chiaro che il movimento si muove su una base fondamentalmente marxista e che nella sua nascita hanno giocato un ruolo assai importante partiti come Rifondazione e il Partito Comunista Italiano. In riferimento al quadro politico attuale, ritengo doveroso affermare la nostra diversità dalle altre realtà politiche. Siamo convinti di poter offrire un nuovo ventaglio di scelte e di poter farci carico dei bisogni dei lavoratori e della difesa dell’ambiente, come di tutto ciò che riteniamo necessario per dare corpo alla nostra idea di Italia.
“Dov’ era il no faremo il sì!”: sai dirmi cosa significa in riferimento al programma?
Esprime soprattutto la nostra volontà di costruire, costruire una nuova politica nell’ interesse dei cittadini. Ambiamo alla realizzazione di questo progetto attraverso una serie di proposte legate alla tutela del lavoratore e all’abbassamento dell’età pensionabile, attraverso l’abolizione di leggi come il Jobs Act e la Legge Fornero. Inoltre, ci battiamo per la demilitarizzazione del territorio e la tutela ambientale.
Il territorio e l’ambiente: due questioni di primario interesse per un movimento con una marcata connotazione territoriale come il vostro. Tale caratteristica potrebbe risultare, secondo te, controproducente al passaggio dalle realtà locali a quella nazionale?
Il nostro movimento è, senza dubbio, profondamente legato al territorio, in particolare al Meridione, dove la nostra avventura ha avuto inizio, ma non ritengo questo uno svantaggio, bensì una risorsa da sfruttare per essere ancora più consapevoli dell’importanza del compito che vogliamo assumerci. Del resto, identificandoci come un movimento piuttosto che come un partito, saremo sempre a contatto con tutti gli strati della realtà sociale, indipendentemente da dove riusciremo ad arrivare. Un eventuale successo del movimento in futuro non ci farà perdere di vista il motivo per cui il movimento stesso è nato.
Ottimo, abbiamo parlato della questione ambientale e dei diritti dei lavoratori. Come affrontereste, invece, il fenomeno dell’immigrazione?
Il fenomeno migratorio è, sicuramente, un argomento di complicata manipolazione ma, secondo noi, l’emergenza migratoria sussiste perché non vi è un’organizzazione adeguata da parte delle istituzioni in reazione al fenomeno. L’arma più efficace, a nostro parere, consiste in una preventiva organizzazione del personale e delle infrastrutture adibiti al controllo dei flussi. Gli enti in questione dovrebbero essere oltretutto, sotto il diretto controllo dello stato: troviamo poco ragionevole la scelta di affidare a privati la gestione dei centri di accoglienza che in tali circostanze potrebbero anche mancare di assolvere adeguatamente alla loro funzione. Crediamo nella sinergia tra istituzioni e società per affrontare tale fenomeno.
Vincenzo Criscione
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