Press "Enter" to skip to content

8 marzo: una nube rosa avvolge Bologna

Le donne si prendono la piazza

Bologna, 8 marzo ore 10.00. È una mattina particolarmente soleggiata. Ultimamente si sono susseguite giornate di caldo anomalo per una città del nord, sembriamo già proiettati verso una primavera prematura. Ci incamminiamo da casa verso il centro, è lì che si stanno mobilitando le donne bolognesi per la nostra giornata. Nel tragitto incrociamo alcune ragazze con una mimosa in mano, il fiore figlio di marzo (scelto come simbolo della giornata delle donne proprio perché fiorisce a inizio mese) colora di giallo i negozi che costellano via Mascarella.

Arrivati all’angolo che divide la strada maggiore da Piazza Grande, mi sorge il dubbio di aver sbagliato luogo o orario dell’incontro. Troppa tranquillità e troppo silenzio per essere la mattina dello sciopero femminista. Ma appena varchiamo l’angolo, un’ondata di fazzoletti e parrucche rosa, striscioni, cartelloni e una numerosa folla ci confermano di essere nel posto giusto. In sottofondo si sente della musica e un coro confuso intona un inno che riesco a decifrare solo per metà ‘’…vogliamo diritti e libertà!’’.

Guardandomi intorno noto subito la presenza massiccia della componente maschile, parte della quale si occupa del servizio di babysitting ai piedi della fontana del Nettuno. Ci sono ragazzi e ragazze di ogni età e provenienza, uomini, donne, tutti pronti a prestare manforte al femminismo di cui si colora la piazza. Ai piedi di palazzo d’Accursio il banchetto di Non Una Di Meno distribuisce foulard rosa e gadget di cui ci attrezziamo anche noi.

 

Le donne curde e la loro lotta

‘’C’è una rivoluzione in atto, una rivoluzione femminista, ecologista e anticapitalista’’- la nostra attenzione viene subito catturata da una voce che riecheggia dal palco montato a lato dello stand di Non Una Di Meno. Noi dal banchetto dei gadget riusciamo a occupare velocemente le prime file davanti al soppalco; ci troviamo faccia a faccia con donne che nell’arco di un paio d’ore ci avrebbero fatto sentire meno sole, unite nel bisogno di reagire e lottare per una responsabilità verso noi stesse e verso tutte le donne. C’è una ragazza, è una delle attiviste femministe. In mano ha una lettera che ci arriva direttamente dalle donne del Rojava.

‘’Alle nostre sorelle e compagne, dalle montagne del Kurdistan, vi salutiamo con la nostra incrollabile determinazione alla lotta e con la passione per una vita libera.  Inviamo i nostri più sinceri saluti a tutte le donne che lottano e resistono e alzano la voce contro il dominio maschile’’.

Le donne del Kurdistan nel conflitto con Ankara hanno trovato la possibilità di riscattarsi e ogni giorno rappresentano la più coraggiosa  lotta alla violenza e all’oppressione del potere dominante. Da sempre le donne sono la faccia più determinata della Resistenza, da quella delle partigiane italiane alla storica resistenza attualmente in corso ad Afrin, nella Federazione Democratica della Siria del Nord contro il regime fascista dell’AKP e delle sue bande alleate jihadiste. Siamo in Italia, a Bologna, in una piazza, ma il sentimento che anima questo sciopero e le riflessioni che genera sono avulse da ogni limite spazio-temporale. È il giorno delle donne, ovunque esse siano.

Mi guardo intorno e vedo la folla espandersi, la piazza è piena di gente che sente il bisogno e il dovere morale di stare qui, di ascoltare voci che giungono da lontano, ma che si uniformano perfettamente allo spirito che ci tiene sotto il sole, abbracciate in un’ondata di cori rosa che denunciano un cambiamento in atto, alla cui base vi è un problema da arginare, che continua a espandere le sue radici nel suolo della società maschilista e patriarcale sovranazionale.

‘Non una, non una, non una di meno

Insieme siam partite, insieme torneremo

non una, non una, non una di meno!’

Le torture in Iran

Parte un coro, poi di nuovo la musica. si innalza un brusio di chiacchiere e commenti che viene nuovamente interrotto dal microfono davanti a noi. In piedi c’è una donna di mezza età. “Io vengo da una terra lontana, non si sente parlare di noi neanche nelle manifestazioni. Sono una donna dell’Iran’’- bastano poche parole a far piombare la piazza in un tacito ascolto- ”Sono quarant’anni che le donne iraniane vengono torturate nelle prigioni. Le carceri sono oramai piene di bambini figli degli abusi. La mia presenza qua è rischiosa per me stessa. Esattamente un anno fa mi trovavo in questa piazza a far sentire la mia voce e le conseguenze non sono tardate ad arrivare. Non importa quanto io sia lontana, loro arrivano comunque”. Continua, ‘’Venendo qua mi gioco la vita, ma non mi importa. Non vedo differenza tra me e le donne del mio paese che ogni giorno si ribellano per le strade dell’Iran. Vengo da una famiglia che è stata toccata da vicino per aver osato ribellarsi. Sono stati torturati, uccisi e seppelliti in silenzio. Spero di essere in vita il giorno in cui cadrà quel governo. Da sempre mi domando perché non si parla mai della nostra condizione in Iran… In una galera a Teheran, dopo una forte tempesta sono venuti fuori i cadaveri di giovani ribelli, uccisi e seppelliti in silenzio. Avete sentito parlare di questa notizia?’’

Nel silenzio che si crea, seguito da un fortissimo applauso di ammirazione e supporto, si sente una risposta negativa al quesito che ci ha posto. Dall’altra parte del mondo la donna lotta con la vita, si ribella, osa sfidare e sputare in faccia all’oppressione e alla violenza in nome del supremo bene della libertà. In mezzo a un’ondata di foulard rosa, penso a tutte quelle donne che sotto i foulard sono costrette a nascondersi, penso a Vida Movahed e alla sua bandiera-hijiab sventolata in piazza, a Masih Alinejad e alla sua ‘’libertà clandestina’’. Ci si sente piccoli rispetto al loro coraggio. Eppure, posso sentirmi fiera di unirmi oggi all’urlo silenzioso delle Ragazze della rivoluzione.

Con lo sguardo cerco la misteriosa donna iraniana ma la folla movimentata forma una barriera tra noi, l’ondata rosa la assorbe e io la perdo di vista. Intanto continuano i cori e il sole ci picchia in testa sempre più forte. Due donne vicino a me hanno le guance segnate da due strisce rosa, come gli indiani. Si guardano e si scambiano un bacio appassionato. La musica continua a riempire la piazza, la gente va e viene. Si è fatta l’una. Il corteo si sta spostando verso Piazza Verdi per un pranzo solidale, ma noi preferiamo tornare a casa. La manifestazione riprenderà di pomeriggio alle 18, chissà quanta gente, chissà cosa hanno organizzato.

La manifestazione riprende

 

Ore 17:30, Piazza XX settembre. Se di mattina abbiamo provato stupore per il numero di persone coinvolte nello sciopero, la quantità di manifestanti presenti al corteo pomeridiano supera ogni nostra aspettativa. C’è

 così tanta gente che facciamo fatica a muoverci. Gli striscioni dimostrano la stretta parentela tra la causa femminista e le scottanti tematiche politiche e sociali ‘’né Pillon né Dio, la vita è mia e decido io’’, ‘’femminismo è antirazzismo’’, ‘’ l’unica Pillon che voglio è quella anticoncezionale”, recitano alcune scritte. Alziamo anche noi i nostri i cartelloni, non si distinguono per particolari doti artistiche ma si uniscono al coro cartaceo che si stava innalzando.

Nell’attesa che il corteo inizi a muoversi, ci guardiamo intorno e notiamo la sorprendente eterogeneità delle identità dei partecipanti. Accanto a noi ci sono due signore, sulla cinquantina. Si chiamano Anna e Rita, ci dicono che partecipano ogni anno alla manifestazione, per loro è una tradizione ormai. Anna lo fa anche per sua madre e sua nonna e tutte le donne che prima di lei hanno lottato per permetterci di manifestare liberamente: ‘’Sono qui per non rinnegare i valori per cui mia madre e mia nonna hanno combattuto. Mi hanno garantito la libertà di decidere con la mia testa’’. Appena chiedo cosa ne pensino della situazione odierna e se vedano un miglioramento della condizione femminile, Rita ci risponde in modo secco e senza esitazione: ‘’c’è stato un peggioramento terribile’’- poi guarda i nostri cartelloni che recitano ‘’We can do it’’ e ‘’The future is female’’. Sorride:’’però per fortuna ci siete voi, giovani donne, che continuate la tradizione, che avete capito che indietro non si deve assolutamente tornare e che ciò che è stato fatto nel passato, anche se si è perso nel tempo, va recuperato’’.

Salutiamo le due signore e ci immergiamo nella folla. Tra gli striscioni spiccano alcuni con la scritta in spagnolo, sembrano appartenere a un gruppo di studenti e studentesse Erasmus. Guardandoci intorno, ciò che si manifesta con immediata evidenza è la massiccia partecipazione della componente maschile, soprattutto giovanile :’Secondo me bisogna essere femministi indipendentemente dal sesso – ci spiega Michele, uno dei tanti ragazzi scesi in piazza accanto alle donne per lottare per un fine comune – essere qui significa lottare per la parità di genere’’.

Passa circa mezz’ora, gli altoparlanti iniziano a tuonare; la voce di una delle attiviste di Non Una Di Meno, che ricordo di aver visto in mattinata, richiama la nostra attenzione. Ci siamo. Il cielo sopra di noi si colora di rosa e insieme ai fumogeni si innalzano cori, striscioni, cartelloni. C’è un’atmosfera allegra. La mattina abbiamo riflettuto su quanto sia impellente il bisogno di lottare e mobilitarsi, abbiamo riflettuto sulle ferite che il femminismo continua a riportare da anni di lotte, ma ora ci concediamo attimi di spensieratezza, a passo di musica, danzando di tanto in tanto, con il sole che sopra di noi si ammorbidisce fino a sparire. Siamo un tutt’uno, un’ondata danzante diretta verso Piazza Maggiore, così numerosa, così agguerrita che per un attimo credo che si possa davvero affermare la parità dei sessi, che un giorno ci saranno veramente gli stessi stipendi, che in Iran le ragazze potranno girare sia con il burqa che con la minigonna, che l’8 marzo diventerà solo una festa celebrativa e non di richiamo all’azione… Poi magari domattina, per strada, ci sarà il solito suono di clacson, magari anche stasera tornando a casa cercherò di passare per le strade più affollate per non sentirmi sola, ma in quel momento ho creduto davvero in una possibilità di cambiamento.

 

Ones Farhat

 

 

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *