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Iran, l’urlo silenzioso delle “Ragazze della Rivoluzione”

Negli ultimi mesi in Iran le piazze si sono trasformate in teatri di coraggiose manifestazioni femminili. Le donne iraniane hanno dato inizio a un’ondata di proteste contro le leggi discriminatorie introdotte dalla Rivoluzione del 1978. In piedi nelle maggiori piazze del Paese, con lo sguardo fisso e i capelli al vento, hanno scelto la forza di un gesto silenzioso per esprimere i propri diritti. Si tolgono dal capo il hijab e lo sventolano come bandiera della loro protesta. Intorno gli sguardi curiosi dei passanti, consci del pericolo a cui stanno andando incontro i manifestanti. Negli ultimi mesi, infatti, all’aumentare delle manifestazioni sono aumentati parallelamente gli arresti e i violenti tentativi di indurre al silenzio le voci di protesta.

Sono passati quarant’anni da quando l’ayatollah Khomeini ha fondato la Repubblica islamica, un governo di stampo conservatore e fondamentalista, in seguito al quale le donne iraniane sono state private della loro libertà e costrette ad obbedire a un severo codice di abbigliamento e a regole restrittive, che le hanno ridotte ad una condizione di subordinazione. Oggi, però, le cose stanno cambiando. Il popolo iraniano, scisso tra fondamentalisti e riformatori, è sempre più distante dal conservatorismo fanatico e bigotto degli ayatollah. L’opinione pubblica sulle normative introdotte dal governo non lascia spazio a malintesi: dai dati di una ricerca demoscopica condotta nel 2014 dal Center for strategic and International studies (www.csis.org), un gruppo di ricerca governativo, è emerso che il 49,8% degli iraniani è contrario all’obbligo del velo per le donne. Tuttavia, chi osa esporsi in prima linea contro le restrizioni, viene brutalmente messo a tacere dalle autorità. È questo ciò che sta accadendo alle donne-coraggio iraniane che, per la loro pacifica protesta, rischiano l’incarcerazione. Infatti, il procuratore generale dell’Iran, Mohammad Jafar Montazeri, ha ammonito le ragazze, dichiarando che se avessero perseverato nella loro protesta, sarebbero state punite e perseguitate. Dietro le sbarre sono finiti anche numerosi uomini, rei di aver manifestato solidarietà nei confronti delle loro concittadine.

La prima ad aver avviato l’ondata di proteste è stata Vida Movahed, 31enne iraniana che, in piazza Enghelab (“Piazza Rivoluzione”, non a caso), ha sfilato il suo hijab, prigione di tessuto in cui è stata costretta a nascondersi e l’ha sventolato in silenzio in nome della libertà e dei diritti di tutte le sue concittadine. Un urlo silenzioso che ha fatto il giro del mondo, dando coraggio alle donne iraniane che, prendendola d’esempio, hanno dato voce alla propria protesta sociale, emulando il suo gesto, pacifico e tagliente allo stesso tempo. Com’era prevedibile, in risposta all’azione di Vida le autorità hanno reagito in modo violento e coercitivo: è stata raggiunta dalle forze dell’ordine e condotta dietro le sbarre con l’accusa di aver “turbato l’ordine sociale”. In seguito a una forte pressione nazionale e internazionale, anche grazie per all’intervento di Amnesty International è stata scarcerata il 29 gennaio.

Le manifestazioni non sono un caso isolato. Sono partite in risposta a un appello lanciato dall’attivista iraniana Masih Alinejad, una personalità importante nel panorama della lotta per i diritti delle donne, simbolo di un mondo femminile alla rivalsa. Nonostante la pressione dei conservatori per bloccare i suoi movimenti progressisti, nel 2014 ha fondato il sito My stealthy freedom -“La mia libertà clandestina“- una piattaforma che supporta le proteste femminili facendo uso della potenza comunicativa dei media, al fine di incoraggiare le donne a lottare per i loro diritti. Dal sito, l’attivista iraniana ha avviato una campagna mediatica intitolata “White Wednesday”: ogni mercoledì, usando l’hashtag “#whitewednesday” (mercoledì bianco), le donne iraniane pubblicano sui social foto e video di se stesse con indumenti bianchi, scatti clandestini che immortalano attimi di una coraggiosa e silenziosa ribellione alle regole imposte dai pasdaran, i guardiani della rivoluzione islamica.

In una recente intervista rilasciata a LaPresse l’attivista iraniana ha dichiarato che “le donne vogliono combattere per la loro dignità contro quest’oppressione. Quando non può neanche decidere come vestirsi, una donna non è nelle condizioni di prendere decisioni più grandi. Dopo la prima arrestata il 27 dicembre a Teheran, Vida Movahed, la sua protesta pacifica e coraggiosa è stata seguita da molte altre. Dopo che Vida ha protestato, gli iraniani sono scesi in strada per problemi economico-sociali, corruzione e ingiustizie. Poi altre donne hanno protestato a Teheran, nel cuore del paese: tutti ne parlavano. Era la scintilla che la società, delusa dal Presidente Hassan Rouhani, aspettava per riformare queste leggi restrittive”.

Le proteste rappresentano l’inizio di un cambiamento, una crepa nel muro del regime degli Ayatollah, che devono fare i conti con le nuove avanguardie mediatiche, attraverso cui viaggiano inarrestabili le voci di protesta per la dignità e la libertà, diritti a cui le donne iraniane non vogliono più rinunciare.  Le “ragazze della Rivoluzione” stanno dando prova di grande coraggio. Sono perfettamente consapevoli del pericolo a cui vanno incontro, ma non si lasciano intimidire dalle minacce o da eventuali ripercussioni. Si riempiono le prigioni, ma non si svuotano le piazze, perché a nulla valgono le intimidazioni se si lotta per la libertà e per i diritti.

Ones Farhat

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