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Catalogna in carcere – Intervista ad Aina Tella

“Avere dei prigionieri politici è una vergogna. L’Europa ed il suo silenzio non possono essere complici di questo abuso”. Queste le parole di Puigdemont dopo la richiesta di condanna da parte della Procura Spagnola per i leader separatisti, ad un anno della proclamazione d’indipendenza catalana. L’accusa è di ribellione e appropriazione indebita, per aver usato fondi pubblici per organizzare il distacco da Madrid. Abbiamo deciso di parlarne con Aina Tella, responsabile relazioni internazionali della CUP (Candidatura di Unità Popolare) partito politico della Catalogna indipendentista, con rappresentanza al Parlamento catalano di quattro seggi.

La Procura Spagnola ha emanato le richieste di condanna nei confronti dei leader dell’indipendentismo catalano, dai 4 ai 25 anni per un totale di 210 anni chiesti. In quanto responsabile della CUP qual è stata la reazione del suo partito a questa notizia?
Per noi è un chiaro esempio di giurisdizione della politica, quello che lo Stato spagnolo non può ottenere attraverso le urne di un sistema democratico, cerca di farlo attraverso i suo i poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario. Questi tre poteri vengono usati per difendere un solo progetto politico, vale a dire l’unità della Spagna. Quando c’è una minaccia contro questa unità, anche se è una minaccia democratica, lo Stato usa quei poteri che ha per fermarla. E lo fa utilizzando anche i media e la sua egemonia economica. Il patto del 1978, avvenuto dopo la morte di Franco, è stato un patto tra le élite economiche. Non si parla mai di cosa è successo durante la dittatura e dei crimini di stato accaduti in quei quaranta anni. Siamo passati a un sistema democratico, lasciando al loro posto quei dirigenti politici ed economici che c’erano durante il franquismo. E oggi, questi sono i risultati. Ciò che sta accadendo è un processo giuridico e politico contro la Catalogna.

I sindacati studenteschi, specialmente quelli universitari hanno sostenuto con grande partecipazione le manifestazioni di un anno fa. Saranno previste ulteriori manifestazioni per esprimere il loro dissenso a questa accusa?
Gli studenti sono uno dei settori sociali che sono stati più attivi e lo rimarranno. Nelle prossime settimane ci organizzeremo non soltanto con i sindacati studenteschi ma anche con quelli dei lavoratori e di altri settori sociali, affinché ci sia un ambiente di mobilitazione popolare prima del giudizio e durante, in modo tale da attrarre l’interesse internazionale a quello che sta accadendo. Abbiamo due milioni di persone mobilizzate su circa sette milioni e mezzo, quindi c’è una parte importante della popolazione catalana convinta che questo è un processo contro i suoi diritti politici. In questi giorni, i compagni dei Comitati della Difesa della Repubblica Tamara Carrasco e Adria Carrasco (esiliato in Bruxelles ndr.) sono stati accusati di terrorismo e soltanto pochi mesi fa gli avvocati sono riusciti a dimostrare che non c’era terrorismo nelle loro attività. Questa è una vittoria per noi, la giustizia spagnola ha inventato tutto e i discorsi fatti sino ad ora non esistono. Abbiamo video e testimoni che dimostrano che tutte quelle accuse non sono vere, sono state inventate per fermare un movimento politico democratico.

È previsto che in primavera il dibattito giuridico e politico s’infuocherà maggiormente, non temete di dare vita ad una sorta di “guerra fredda civile” tra separatisti e unionisti?
Noi non parleremo mai di “guerra fredda civile”; ci sembra esagerato. Non ci piace molto questa parola. Sicuramente sarà una primavera attiva politicamente, ma sempre con la strategia che la popolazione catalana ha usato fino ad ora: azioni di disobbedienza civile non violenta perpetrata con tutti gli strumenti democratici che possiamo avere nelle nostri mani. Ma c’è un altro pericolo che soltanto la CUP prende in considerazione. Parlo soprattutto dei partiti e cosa c’è dietro di essi, mi riferisco soprattutto agli interessi economici del centro destra catalano che presserà affinché ci sia un altro patto di stato tra le élite catalane e spagnole, e per noi questo è il pericolo più grande. E non sarà facile, durante il processo politico, spiegare bene questa situazione, dato che in prigione non ci sta né la CUP e né l’estrema sinistra ma gli altri. La cosa più importante è riflettere a come farci trovare preparati nel momento in cui le élite catalane possano fare questo patto con le élite centrali spagnole.

Quindi non pensiamo che ci sia una guerra fredda civile ma molta mobilitazione sociale un’altra volta sulle piazze e sulle strade catalane. Ma sicuramente alcuni partiti catalani si staranno organizzando con un’altra logica, non mi riferisco a chi è in prigione o in esilio, i quali hanno una mentalità diversa, ma vediamo come andrà.

Ecco, per scongiurare l’ascesa dei partiti de destra e centro destra catalani, quale sarà l’atteggiamento della CUP nei confronti del Governo attuale?
Da quando Pedro Sanchez ha presentato la mozione di censura buttando fuori Mariano Rajoy non è cambiato molto. Certo, per noi è meglio che il partito popolare sia fuori dal governo, ma non è che il partito socialista spagnolo sia un partito di sinistra. Loro hanno fatto un patto col partito popolare per fare una repressione istituzionale contro il movimento indipendentista catalano. Sono loro ad aver fatto la proposta politica di implementare l’art. 155 della Costituzione spagnola quando Puigdemont ha dichiarato la Repubblica catalana, decidendo così di intervenire nella politica della catalogna. C’è quindi un patto tra i due partiti per mantenere l’unità della Spagna. Per noi, quindi, il Governo Sanchez non è un cambiamento reale all’interno dello Stato spagnolo. C’è il pericolo che si fermi il cammino aperto dalla base popolare, dato che quello che importa di più ad entrambi i partiti è l’unità della Spagna.
Pedro Sanchez è più aperto al dialogo, ma l’unica cosa di cui ha parlato è di più autonomia, non ha parlato di autodeterminazione. Perciò non cambia nulla, c’è soltanto una faccia più bella e aperta al dialogo, ma è un dialogo che non esiste perché lo Stato spagnolo non lo vuole.

Se la sentenza di giugno dovesse confermare queste condanne, o comunque delle pene serie, il cammino per l’indipendenza catalana si fermerà oppure ci sarà una rottura definitiva tra i separatisti e il Governo centrale?
Speriamo che avvenga la seconda parte, perché se queste condanne saranno confermate ci sarà l’ennesima prova che lo Stato spagnolo non è disposto a dialogare. Quello che dobbiamo fare noi come società catalana è questo: ci avete dato 17-25 anni di carcere per aver fatto un referendum? Bene, ne faremo un altro.

Dobbiamo proseguire su questa strada perché non possiamo tornare indietro, è cambiata anche la cultura politica della società catalana. Questo perché abbiamo visto cos’è lo Stato Spagnolo e gli interessi economici che ci sono dietro. Abbiamo anche visto cosa significa l’Unione Europea quando non ha fatto nulla dopo gli scioperi generali e le manifestazioni del primo ottobre. Inoltre, il Re (Filippo VI di Spagna ndr.) ha affermato che devono essere puniti (i manifestanti ndr.), ma se una popolazione intera si mobilita non puoi dire una cosa del genere, devi essere aperto al dialogo e trovare una soluzione politica. Soprattutto quando da parte nostra abbiamo usato mezzi pacifici e democratici, perciò non c’è bisogno di attuare queste pene. Per tanti anni hanno detto che in assenza di violenza si poteva dialogare ma non è stato così. Perciò andiamo avanti, non molliamo, non ci sono alternative. Questo non significa interrompere il dialogo, ma che questo verti sull’autodeterminazione catalana.

Youssef Hassan Holgado

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