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Catalogna in carcere – Intervista ad Isarn Bassa

È trascorso più di un anno dal referendum per l’indipendenza della Catalogna (1 Ottobre 2017). Da allora la situazione è cambiata parecchio: diversi politici catalani sono stati incarcerati e accusati di ribellione, malversazione e sedizione. Il governo locale è cambiato, ma le pulsioni sociali, legati anche alla richiesta di indipendenza del popolo catalano, non si sono sopite.
Ho incontrato Isarn, un ragazzo catalano, di Figueras (un paesino vicino Girona), a Ragusa e gli ho fatto alcune domande.

Cosa è successo in Catalogna e qual è la situazione attuale?
Io stavo studiando in Erasmus quando è successo tutto, ho vissuto tutto da fuori e per me è stato molto peggio che in Catalogna. In Catalogna c’è stato un referendum, (che si suppone sia legale): c’erano le urne, c’erano gli scrutini e c’era la gente che andava a votare. Il 10 di ottobre c’è stato uno sciopero generale e dopo questo abbiamo passato dei giorni molto duri perché non sapevamo se c’era l’indipendenza o no, se ce l’avevamo fatta o no, e alla fine ce l’abbiamo fatta, abbiamo dichiarato l’indipendenza però solo per 2 secondi, massimo 5 secondi.
Adesso la situazione è molto complicata perché dopo questo fatto il Governo di Madrid ha attivato un articolo della Costituzione, cioè l’articolo 155, e tutti i politici coinvolti sono stati incarcerati, o meglio alcuni sono andati in esilio e altri messi in carcere.

Quali sono le ragioni dell’indipendenza? Sono solo ragioni economiche o ce ne sono altre?
Non sono solo ragioni economiche, perché la Catalogna è una potenza economicamente molto forte, dalla quale dipende molto lo Stato spagnolo. Pesa anche il fatto che in futuro io non voglio vivere in un paese in cui puoi andare in carcere per il tuo modo di pensare. Ci sono anche ragioni culturali, ma non è proprio un problema perché tutte le Comunidad hanno la loro cultura, alla fine. I problemi sono principalmente economici e relativi alla libertà di pensiero.

Esiste, anche in Catalogna, un voto polarizzato per generazioni, come è stato in Gran Bretagna per la Brexit?
No, no… Tutte le persone hanno la loro idea di votare, di restare o di andarsene. In effetti, a ottobre mi ricordo di un ragazzo con la bandiera spagnola che ha votato per l’indipendenza, perché non poteva sopportare che la polizia picchiasse un popolo per la sua volontà di votare. Però anziani e giovani hanno sempre votato a modo loro e hanno i loro criteri per votare.

Cosa è cambiato dopo la caduta del governo Rajoy e l’insediamento del governo Sanchez?
La situazione è la stessa e, a dire il vero, dico che Sanchez è l’ombra di Rajoy. 

L’ombra di Rajoy?
Sì, l’ombra di Rajoy, perché pensavamo fosse un cambio di governo a nostro favore ma dopo quelli che credo siano circa 150 giorni di governo ci sono ancora politici in carcere e ancora politici in esilio.

Quanti sono i politici in carcere?
Nove. E in tutta la questione ne sono coinvolti 17: nove in carcere e i restanti in esilio.

E perché sono in carcere? Abbiamo detto, perché è stata dichiarata l’indipendenza?
Sì, perché è stata dichiarata l’indipendenza e perché la Spagna desidera essere una sola nazione (ndr, non una nazione di nazioni, come suggerito dalla Costituzione del 1978), non si preoccupano per le altre nazionalità e difatti, perché per loro fare un Referendum vuol dire “rompere” l’unità di Spagna e romperla in un tal modo, che non la si possa sistemare.

Tra i politici coinvolti c’è anche Dolors Bassa, che, oltre ad essere deputata del Parlamento catalano, è anche tua zia.
Mia zia è una politica catalana ed è entrata in carcere per la prima volta il 2 Novembre 2017, a Madrid. Per un periodo l’hanno rilasciata ed è venuta a stare a casa. Poi, non so per quale motivo, il giudice ha detto che per il rischio di fuga e reiterazione del crimine, sono ritornati a incarcerarla a Madrid, il 4 giugno l’hanno trasferita in Catalogna e ieri (23 Novembre 2018, ndr) ha compiuto nove mesi di carcere.

Cosa rischia? Quali possono essere le conseguenze del processo per tua zia?
La accusano di ribellione, di malversazione e di sedizione. Sono tre accuse e possono comportare, secondo la procura, sedici anni, anche se io spero siano di meno.

A parte questo ci siamo organizzati con un’altra associazione, che è la “Commissione Carceraria“, per coordinare le attività affinché la ascoltino da dentro, organizziamo dei discorsi pubblici, concerti e altri tipi di attività. L’altro giorno ad esempio ci sono stati anche i fuochi artificiali da guardare dalla finestra ed è stato incredibile.

Com’è la vita in carcere?
La vita in prigione è dura. È una perdita totale di identità. Il giorno inizia molto presto. Difatti alle 7:30 devono essere già vestiti e con la stanza fatta. Alle 8 si fa colazione e dopo scelgono se passare tutto il giorno in cella o nel patio. Quello che si sceglie vale per tutto il giorno. Non si può cambiare.

Grazie alle attività occupa alcune ore del giorno e sa che giorno della settimana è perché fa un’attività diversa ogni giorno. Grazie alle lettere che riceve, riesce a riempire le restanti ore della giornata. Per il momento ha ricevuto circa 23.000 lettere. Queste le danno la forza necessaria per andare avanti.
In prigione non pensi tanto ad uscire presto quanto a concludere la giornata per arrivare al mattino successivo e vedere se ricevi una chiamata. Sono tutte ripartite tra la famiglia: 8 minuti, né più né meno. E non importa se hai finito di spiegare tutto ciò che volevi dire o no, la chiamata si interrompe e devi aspettare la settimana successiva per tornare a sentire la sua voce.
La cosa più difficile, però, è la comunicazione con i locutori. Sono 30 minuti con un vetro davanti che impedisce il contatto da persona a persona. Solo in vis a vis possiamo abbracciarci e toccarci. Si sente una voce fuori campo che dice “5 minuti alla fine della conversazione”, è in questo momento che arriva lo stress. Se gli avrai detto tutto, se ti manca qualcosa di importante…E arriva il momento più crudele, la fine, tu esci in strada per tornare a casa e lei deve restarsene lì. È un sentimento infernale, in cui il tuo cuore si spezza.
Cerchi di fare la vita normale ma è impossibile pensare che lei stia dentro e tu fuori. E ancora di più quando la distanza tra due cuori è di soltanto due km.
Prima la vedevo solo come una prigione qualsiasi, adesso ci vedo mia zia.

In Catalogna, adesso, c’è un nuovo governo. Che ne pensi?
Penso non sia come il vecchio governo, perché il governo di prima aveva molto chiaro quello che doveva fare. Adesso, dopo le conseguenze che ci sono state in Catalogna, tutti i politici che ci sono non vanno alle urne e hanno paura che gli succeda quanto successo agli altri.

A metà novembre sono state chieste le pene per Puidgemont, 25 anni, e Jordi, 20 anni. In primavera ci sarà il processo e a giugno 2019 si prevede la sentenza. Se ci saranno condanne qual è la prospettiva del movimento indipendentista?
La prospettiva è che quando ci saranno le sentenze quello che dovremo fare sarà uno sciopero nazionale di una settimana e, se faremo questo, dopo il governo spagnolo dovrà quanto meno negoziare con noi, perché perderebbe molto a livello economico.

Un’ultima domanda: sembra che lo strumento del carcere lontano da casa (Madrid, ad esempio) sia il medesimo utilizzato per i terroristi dell’ETA. Cosa ne pensi di questo parallelismo?
Il governo li incarcera come terroristi, ma non lo sono, perché hanno solo organizzato un referendum, hanno messo una scheda elettorale in un’urna e basta, senza far nulla di scellerato. Gli unici a picchiare sono stati quelli della Polizia Spagnola. E il fatto di andare a Madrid per noi è stato un duro colpo, ma ci siamo fatti forza e ci siamo detti ‘possiamo incontrarli, stanno bene’, andavamo a incontrarli con il TAV ogni fine settimana. Andiamo a Madrid a vederla una volta la settimana, dormiamo lì e torniamo.

Simone Lo Presti

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