È risaputo che chi siede ai vertici del potere politico provoca spesso contrastanti emozioni in chi li osserva e li contempla. Un contrasto così forte da togliere la lucidità al pensiero, poiché si scatena in noi uomini moderni una sorta di venerazione, vestigia ultima di un sentire religioso. Questo è (ed è stato) il caso di alcuni uomini politici del nostro tempo, che fanno leva su questa forma di sentire religioso come V. Putin, D. J. Trump, R. M. M. Khomeini, la dinastia dei dittatori Nordcoreani o R. T. Erdoğan.
Erdoğan rappresenta infatti uno degli uomini di punta nello scacchiere mediterraneo e mediorientale. Un uomo conosciuto principalmente per la sua ambiguità politica, per la sua notevole capacità di manipolazione dei media e per la sua politica fortemente autoritaria tenuta in patria. Non è esattamente un uomo amato all’estero, né dai suoi alleati della NATO né dai vicini Curdi, come mostrano le recenti operazioni effettuate in Afrin, l’enclave curda tenuta sotto attacco in queste settimane. Tuttavia è un uomo-chiave che gioca un ruolo primario in parecchi scenari geopolitici, da quelli socio-economici (come gli accordi sul blocco dei migranti stilato con la UE, a quello sulla questione per il passaggio di South Stream) a quelli più propriamente politico-militari (l’accoglienza dei profughi siriani; il ruolo nella guerra contro l’Isis). Non è un personaggio di facile chiarificazione, data anche l’antipatia suscitata dalle sue politiche repressive nei confronti di giornalisti, intellettuali e insegnanti all’alba del tentato colpo di stato: un golpe su cui parecchi in Occidente speravano per poter trattare con qualcuno un po’ meno duro e forte del Sultano di Ankara. L’unico risultato ottenuto è stato l’avvicinamento della Turchia alla Russia: uno smacco fortemente ironico dato che la Turchia è membro NATO. Inoltre ha svelato l’ipocrisia dei paesi Occidentali che si sono crogiolati nell’idea di una sua facile eliminazione. Abbiamo fatto i conti senza l’oste, ma da vero erede dei conquistatori di Bisanzio, Erdoğan non porta rancore e nella visita lampo fatta in Italia, intelligentemente, dichiara eccellenti le relazioni tra i due Paesi, facendo presente che il volume degli affari è alquanto consistente e che potrebbe crescere in futuro.
Dato che si tratta di una visita lampo, pochi gli impegni di questa agenda, anche se di un certo peso: prima una visita in Vaticano, dove il tema principale è la questione di Gerusalemme e il problema che il cambiamento del suo status quo potrebbe far nascere. Una questione che non riguarderebbe solo i Paesi Musulmani, ma l’intero mondo: qualsiasi progetto di pace nel Medioriente e nel Mediterraneo passa da Gerusalemme. Non sono mancati i richiami alle violazioni dei diritti umani, cavallo di battaglia di questo Papato. Non è neanche mancato un accenno al massacro degli armeni perpetrato dai Turchi di Atatürk. Ma immagino che sia passata un’immagine diversa del colloquio attraverso i media. Interessante notare quanto l’incontro con il Papa sia stato fortemente voluto dal Sultano. Dato da non sottovalutare.
Colloqui poi istituzionali si sono svolti nel corso della giornata con Gentiloni e il Presidente Mattarella. Colloqui strettamente politici e attinenti al ruolo NATO giocato dalle due potenze in stretta collaborazione. Ma sono cose risapute. Più interessante è il sostrato che soggiace ai dialoghi di questa visita; la prima nota riguarda il rapporto che passa tra UE e Turchia: sono decenni che i dialoghi per l’entrata del paese anatolico vanno avanti, e solo da qualche tempo sono completamente bloccati. Il viaggio in Italia potrebbe raffigurare la volontà di Ankara di aderire all’Unione, appoggiandosi alla mediazione di un Paese poco ostile come l’Italia. Ma potrebbe anche solo trattarsi di una visita strategica atta a tastare il terreno in Europa: parecchi infatti sono gli scogli istituzionali e ideali da affrontare per poter anche solo riaprire le trattative tra Bruxelles e Ankara. I contrasti maggiori si giocano soprattutto sulla percezione dei curdi, sulle loro libertà e sullo status del PKK e del YPG (considerate come organizzazioni terroristiche da Erdoğan).
Ma malgrado il gelo tra Europa e Turchia, sappiamo tutti che quest’ultima gioca un ruolo geopolitico fondamentale (funge da tappo nella Regione) e lo stallo sull’adesione all’Unione sta avvicinando il Paese turco verso Oriente, dove Russia e Cina sembrano alleati più appetibili e accomodanti. Non è mai stata nascosta la volontà di diventare una potenza regionale, e noi, lentamente lo stiamo spingendo a fare questa scelta. Che la visita a Roma sia un ultimo ponte lanciato prima di intraprendere una strada completamente diversa?
Una nota di colore folkloristico: nella visita di oggi Erdoğan si è portato un assaggiatore ufficiale. Che significa? Al di là di un paranoico sospetto, tipico di chi detiene il potere ad altissimi livelli, si tratta di una fondamentale dimostrazione di forza e allo stesso tempo di disprezzo. Un modo per far capire a chiunque guardi che la fiducia riposta in questo dialogo è più una questione di facciata che la ricerca di un vero dialogo costruttivo. Ma questa è solo un’opinione personale.
Giovanni Busà
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