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Gli USA tratterranno 65 milioni destinati ai rifugiati palestinesi

Lo strano gioco di D.J. Trump in Medioriente e nei delicati processi di pace tra Israele e Palestina ha portato a una rottura degli Accordi di Oslo del 1993 e ad escludere gli USA dalle future trattative di pace. Questo secondo quanto annunciato dal premier palestinese Abbas, come conseguenza degli atti perpetrati dal governo americano. Il Presidente Donald J. Trump, ha firmato il 6 dicembre scorso il Jerusalem Embassy Act, una legge del 1995 votata e approvata dal 104° Congresso degli Stati Uniti il 23 ottobre. Alla suddetta legge mancava solo la firma presidenziale per essere attuata. Firma ripetutamente rinviata ogni sei mesi dalle amministrazioni Clinton, Bush e Obama. L’atto prevede il riconoscimento di Gerusalemme come città unica e legittima capitale dello Stato di Israele. La legge prevede inoltre un fondo stanziato per il ricollocamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Si tratta di un atto assolutamente rivoluzionario rispetto alla consuetudinaria prassi diplomatica statunitense, che negli anni passati aveva lasciato che fossero i diretti interessati a trovare una soluzione al problema nato dopo l’occupazione israeliana della parte orientale di Gerusalemme nel 1967.

Gli avvenimenti che sono seguiti alla dichiarazione del 6 dicembre scorso hanno portato a un’ulteriore deterioramento della situazione, già di per sé caotica, della regione. Anziché cercare di arginare l’errore, l’amministrazione americana ha deciso di agire in maniera del tutto muscolare contro i palestinesi. Atteggiamento che gli USA hanno adoperato anche in seno alle Nazioni Unite, dove hanno fatto sapere che eseguiranno alcuni tagli ai programmi ONU per i rifugiati palestinesi.
Avrebbe dovuto essere una manovra strategica atta a rilanciare i colloqui di pace, fermi fin dal 2014 dopo il tentativo fatto da John Kerry, invece l’azione americana si è trasformata in qualcosa di goffo e totalmente contraria. Alle dichiarazioni di Trump, sono seguite le parole dell’ambasciatrice Nikki Haley, la quale prometteva ritorsioni e gravi conseguenze verso quei Paesi che non avessero appoggiato la decisione statunitense e il suo riconoscimento unilaterale di Gerusalemme come capitale dello stato di Israele. Ritorsioni ribadite poi dallo stesso Trump a cui ora fanno eco le parole della portavoce delipartimento di Stato, Heather Nuaert, la quale ha spiegato che gli Stati Uniti bloccheranno le donazioni al UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestinian Refugees). La cifra trattenuta si aggira intorno ai 65 milioni di dollari: più della metà dei fondi promessi all’ONU. Soldi destinati ai rifugiati palestinesi e alla costruzione di una serie di infrastrutture utili a migliorare le loro già precarie condizioni di vita. Il Governo americano ha sottolineato che la decisione del taglio dei fondi non è una manovra punitiva.
Alcune fonti anonime americane rivelano che la mossa dovrebbe portare a una rivalutazione totale del sistema dell’UNRWA, dei modi in cui riceve i finanziamenti e della sua modalità di azione. Senza le somme annualmente versate, il programma di aiuti umanitari (che ha un bilancio annuo di 1,1 miliardi) rischia di dover porre fine a molteplici attività. Una simile possibilità era già stata paventata dalla Haley che aveva chiesto una chiusura totale dell’Agenzia per i Rifugiati Palestinesi, sostenuta in questa sua battaglia dal premier israeliano Netanyahu. Secondo quest’ultimo al posto della UNRWA, ad occuparsi dei rifugiati avrebbe dovuto pensarci (solo ed esclusivamente) UNHCR.

Due potrebbero essere le motivazioni al blocco dei fondi umanitari. La prima motivazione è che gli americani sono consapevoli di essere i maggiori donatori dell’Agenzia. Trump stesso aveva chiesto agli altri Paesi di sostenere spese maggiori in campo umanitario per il programma ONU in maniera tale da bilanciare la disparità di contributi.
La seconda motivazione è che la mossa di Trump sia un ricatto “bello e buono” per costringere le Nazioni Unite ad accettare un fatto ormai compiuto. In ogni caso, quale che sia la reale motivazione, la decisione è stata accolta n grande sconcerto da parte degli altri Stati-donatori che sovvenzionano il programma. Negativamente colpito anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che si è detto costernato dall’atteggiamento aggressivo da parte dell’amministrazione statunitense.
Il premier palestinese Abbas si è completamente ritirato dal tavolo delle trattative e rifiuta ogni mediazione statunitense per instaurare un possibile accordo di pace. Inoltre, da parte palestinese verrà sospeso ogni riconoscimento allo stato israeliano e alle sue istituzioni.
L’atteggiamento del presidente americano rappresenta un ricatto che dimostra la collusione tra gli Stati Uniti giudicati parziali, e Israele, che da anni attua una politica di colonizzazione sfrenata dei territori palestinesi. Si apre così la strada verso un nuovo possibile conflitto trasversale, proprio ora che i cannoni cominciavano a tacere con la recente sconfitta militare di IS in Siria e si apriva uno spiraglio per una situazione più stabile in Medio Oriente.

Giovanni Busà

 

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