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Referendum catalano, parla il delegato del Governo catalano in Italia

“Fora fora” sono questi i cori che si sentono gridare a Barcellona, capitale della Catalogna, dai catalani ai rappresentanti del Governo spagnolo. Ma come è possibile che una parte della Spagna, la Catalogna, sia arrivata a gridare questo al suo stesso governo? La causa è un referendum voluto dal Presidente catalano Puigdemont che chiede ai propri cittadini se vogliano rimanere parte della Spagna o diventare indipendenti. Questa votazione non è stata riconosciuta dal Governo spagnolo che l’ha portata davanti alla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato il quesito incostituzionale. Puigdemont è comunque andato avanti scatenando una reazione da parte del Governo di Rajoy. Il primo ottobre, dunque, si dovrebbe tenere un referendum molto contestato e dai risvolti più che mai incerti. Per avere un’idea di ciò che potrebbe accadere e dei motivi che hanno generato questa situazione abbiamo intervistato il Dottor Luca Bellizzi, milanese, ma residente da anni in Catalogna e che attualmente ricopre il ruolo di “Delegato del Governo catalano in Italia”.

Dottor Bellizzi perché la Catalogna vuole questo referendum?
Per capire la storia di questa votazione bisogna fare riferimento a due date. Una, quella del 2006, quando il Parlamento catalano prima e quello spagnolo poi, approvarono lo Statuto d’autonomia catalano che fu infine ratificato da un referendum in Catalogna. L’altra è quella del 2010 quando il Governo del Partito Popolare portò davanti alla Corte Costituzionale spagnola vari punti del suddetto Statuto che furono giudicati incostituzionali rendendo di fatto la legge inapplicabile. Fu allora che il popolo catalano scese in piazza pacificamente con lo slogan “siamo una nazione e vogliamo poter decidere il nostro futuro”. E’ questo il mandato che è stato dato nelle ultime elezioni regionali dagli elettori il 27 Settembre 2015 al governo di Carlòs Puigdemont ed è per questo abbiamo chiamato il nostro popolo a votare sul proprio destino.

Come rispondete a chi accusa questa votazione di essere incostituzionale?
Per prima cosa bisogna dire che ci sono vari costituzionalisti che giudicano il referendum compatibile con la Costituzione spagnola. Inoltre bisogna mettere in chiaro che il problema è politico anche se spesso il governo spagnolo ha usato anche il potere giudiziario. Quella che manca è la volontà politica di trovare un accordo e ci si fa scudo con la Corte Costituzionale che fra l’altro nel 2010 aveva come capo un giudice con la tessera del partito popolare. Non voglio entrare in polemica con questo organismo, ma è chiaro che il problema è politico non giudiziario.

Come giudicate il comportamento del governo Rajoy?
Credo debba essere preso a esempio di ciò che un governo non dovrebbe fare in queste situazioni. Le ultime azioni sono state da vero governo autoritario, spiace dirlo, ma quando si entra con la polizia in associazioni culturali e giornali, si arrestano 14 persone tra cui esponenti dell’amministrazione catalana e si chiamano a comparire davanti al giudice 750 sindaci solo per intimidirli, non si può che essere definiti tali.

Non temete che queste azioni del governo spagnolo possano impedire lo svolgimento del referendum?
Assolutamente no. Secondo gli ultimi sondaggi l’82% della popolazione catalana vuole votare e le recenti azioni di Rajoy sono un incentivo a far capire che non siamo disposti a far soffocare la nostra voce. 

Le opposizioni invece che linea hanno?
Podemos è l’unico che vuole far esprimere il nostro popolo mentre il PSOE aveva precedentemente sostenuto l’idea di uno Stato federale, ma ultimamente non sembra in grado di portare avanti nessuna vera linea praticabile. Per rendere la Spagna un paese federale infatti servirebbe una legge costituzionale con maggioranza di due terzi nelle due camere, ma la maggioranza è in mano ai popolari che non sono certo favorevoli.

Ipotizziamo vinca il “Sì” all’indipendenza. Non vi preoccupa la situazione economica che potrebbe venire a crearsi? E come sarebbero i rapporti con l’UE? Riuscireste a reinserirvi nonostante l’ostilità spagnola?
L’economia catalana è dinamica e ci sono studi fatti da università anche non catalane che dimostrano che essa reggerebbe benissimo all’indipendenza. Per quanto riguarda l’Europa la nostra volontà è di rimanere in tutti i patti di cui già facciamo parte. Sappiamo che la Spagna potrebbe creare problemi, ma l’Europa ha sempre dato risposte politiche concrete a problemi politici concreti. E sono sicuro che Paesi come l’Italia che ha l’80% delle proprie imprese in Spagna proprio in Catalogna e la Germania le cui banche detengono il 70% del debito pubblico spagnolo non avranno problemi a interfacciarsi con noi.

E sul fronte della sicurezza? Cosa vorreste cambiare dopo le polemiche post attentato di Barcellona?
Vorremmo far sedere al tavolo dell’Europol (il meeting dove le forze di sicurezze si scambiano dati sensibili specialmente sul terrorismo ndr.) il MOS, la nostra polizia, ma il governo spagnolo lo impedisce dicendo che è riservato solo a polizie di Stati sovrani. Curioso però che sia propenso a farvi partecipare la polizia basca…

Cosa rispondete a chi dice che queste proteste sono solo per ragioni economiche? E a chi vi accosta alla Lega Nord?
La Catalogna è attualmente la terza regione per contributi e la tredicesima quanto si tratta di ripartire. Noi vogliamo continuare a essere solidali, ma vorremo fosse applicato il principio di ordinalità come nei Lander tedeschi. Ciò detto la Catalogna e le sue rivendicazioni non sono accostabili ad altri movimenti indipendentisti in Europa il nostro governo ha una lunga tradizione e Puigdemont è il suo 130° presidente. Inoltre noi siamo inclusivi e aperti non ci interessano questioni meramente economiche o razziali, ma siamo consapevoli della nostra diversità e che il problema sia ben più complesso.

Quindi cosa succede il 2 ottobre se vince il “Sì”? Vi separate?
Siamo consci della gravità della situazione e come già detto cercheremo il dialogo. Vogliamo poter parlare con qualcuno che ci ascolti e speriamo fino all’ultimo che il governo dei popolari cambi passo dopo sette anni in cui ha posto un muro a qualsiasi richiesta. Vogliamo poter parlare liberamente del nostro futuro e siamo pronti al confronto fino all’ultimo, speriamo Rajoy ci dia la possibilità di farlo.

Giunio Panarelli

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