Il termine ecomafie racchiude tutte le attività illegali, di stampo mafioso, che recano danni all’ambiente. Il rapporto di Legambiente del 2016 attesta una situazione che sicuramente è migliore rispetto a quella dell’anno precedente, ma i reati ambientali certificati sono ancora migliaia lungo tutta la Penisola. La Campania rimane sempre in testa alla classifica delle regioni con più reati commessi: è ancora troppo forte la morsa dello smaltimento illecito dei rifiuti della “Terra dei fuochi”, che tormenta il territorio sin dagli anni 90. Il Lazio è sempre la prima regione del Centro, e la Liguria primeggia al Nord.
Agromafie
Crescono e preoccupano i dati relativi al settore agro-alimentare. Nel 2015 sono stati commessi più di 20 mila reati e sono stati sequestrati beni per un valore di oltre mezzo miliardo di euro.
La maggior parte dei reati comprendono la contraffazione dei prodotti a marchio protetto (come l’olio extravergine d’oliva e il parmigiano), ma numerosi sono anche i casi di coltivazione su terreni inquinati, che danno vita a prodotti nocivi e velenosi.
Nella presentazione del rapporto, Rosella Muroni, presidente nazionale di Legambiente, esordisce: “Anche quest’anno il Rapporto Ecomafia ci racconta il brutto dell’Italia, segnata ancora da tante illegalità ambientali, ma in questa edizione 2016 leggiamo alcuni fenomeni interessanti che lasciano ben sperare. Dati e numeri, in parte in flessione, che dimostrano quali effetti può innescare un impianto normativo più efficace e robusto come i nuovi ecoreati, in grado di aiutare soprattutto la prevenzione oltreché la repressione dei fenomeni criminali. La prevenzione è la moneta buona che scaccia quella cattiva: è necessario creare lavoro, filoni di sviluppo economico e produttivo nei territori più a rischio, sostenere le centinaia e centinaia di cooperative e di imprese, che anche nel sud stanno cercando di invertire la rotta, puntando su qualità ambientale e legalità. E nel prevenire le ecomafie, oltre all’impegno dei territori e dei singoli cittadini, è importante una presenza costante dello Stato che deve essere credibile e dare risposte sempre più ferme, perché quando lo Stato è assente la criminalità organizzata avanza con facilità invadendo i territori, l’ambiente e le comunità locali”.
Caporalato
Dal rapporto di Legambiente emerge che anche il fenomeno del caporalato è in espansione. Sono dati che vengono riconfermati anche dal “Terzo rapporto Agroalimentare e Caporalato” della FLAI CGIL. Lo scorso maggio, in occasione della presentazione del rapporto, Ivana Galli (Segretaria generale Flai CGIL) ha dichiarato che ci sono “oltre 400.000 lavoratori sfruttati, sottopagati, agli ordini dei caporali e delle aziende che a loro si rivolgono. Sono un dato non degno di un Paese civile e moderno. Per quei Lavoratori che vedono calpestati diritti e dignità in nome del maggior profitto chiediamo giusti salari e provvedimenti che rendano possibile l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro senza passare nel furgone dei caporali, senza dover essere costretti ad accettare 3 euro l’ora per un lavoro duro e faticoso in violazione di ogni contratto esistente. Dalle colline del Chianti alle campagne di Ragusa il caporalato segue le stesse regole ed il circuito dell’illegalità alimenta tutta un’economia illegale che parte proprio dai campi e segue la filiera dell’agroalimentare.”
Ragusa e le Agromafie
E proprio a Ragusa, noi di Generazione Zero ci siamo occupati di questi temi, organizzando nel 2013 e nel 2014 le conferenze “Agromafie: dal produttore al consumatore” e “Agromafie e Nuovi Mercati” presso l’auditorium della Camera di Commercio di Ragusa. Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, ai nostri microfoni dichiara: “Le agromafie sono un grosso problema del Paese, e lo sono anche dal punto di vista economico. Ogni anno il business delle agromafie aumenta: attualmente siamo a 18 miliardi di euro l’anno. Le mafie sono presenti in tutti i settori, in tutti i segmenti della filiera agroalimentare: dal controllo dei terreni alla produzione, dal trasporto alla commercializzazione, allo sfruttamento dei ragazzi grandi e piccoli alla ristorazione. Non c’è segmento della filiera che possa dirsi aprioristicamente immune dal pericolo dell’infiltrazione mafiosa.”
La normativa sul “delitto ambientale” e i beni confiscati
Fa ben sperare la legge n. 68, entrata in vigore il 29 maggio del 2015, che introduce e disciplina la materia del “delitto ambientale”, prevedendo pene certe e multe salate per chi commette tali reati. Viene prevista “la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commetterlo” e tali “beni confiscati o i loro eventuali proventi sono messi nella disponibilità della pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per la bonifica dei luoghi”. Una prima soluzione appare quindi quella di riutilizzare le aziende agricole confiscate, ma non sempre questo accade. Il “Quarto rapporto sui crimini Agroalimentari” fa infatti emergere come l’enorme patrimonio di circa 25 miliardi di euro dei beni confiscati alle ecomafie non venga sfruttato a causa dei lunghi e confusi iter che prevedono il sequestro e il riutilizzo di tali beni.
Vista la gravità della situazione è importante che ci sia un rinnovamento e un cambio di tendenza per la creazione di sistemi economici impermeabili al malaffare. La presenza dello Stato, specialmente laddove più necessaria, deve poterci garantire una prospettiva di prosperità e salute. Speriamo perciò che il prossimo rapporto di Legambiente ci racconti una storia migliore di quella che abbiamo dovuto raccontare fino ad oggi.
Youssef Hassan Holgado
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