Press "Enter" to skip to content

Tra coloni e “nuovi” sciclitani.

Intervista di Giovanni Padua a due anime della comunità albanese di Scicli – Terza parte.

Nella precedente parte dell’intervista dalle risposte di Helena e Isa emergono le emozioni della rabbia, dello sconforto, la sensazione di disagio e da una parte la voglia di resistere per essere accettati, dall’altra di fuggire via. Sullo sfondo l’immagine idilliaca dell’Albania, il paese di origine, dipinto con colori teneri e rassicuranti, come una culla in cui si vuole tornare; ma allo stesso tempo, attraverso i tratti somatici e le sonorità del proprio nome e cognome, l’Albania è il marchio che identifica come “stranieri”. Questa parola è vissuta con malessere da Isa che la ritiene fonte di discriminazione e che vorrebbe semplicemente essere considerato una persona, mentre Helena sembra più consapevole della difficoltà di cancellare questo marchio e dunque più cosciente del proprio destino. L’idea che mi sono fatto è che la differenza tra i due modi in cui Helena e Isa vivono il loro status è dettato da una differenza di genere che inevitabilmente rende diverso il dolore di Helena rispetto a quello provato da Isa.

4) Ci sono dei discorsi fatti dai tuoi coetanei che ti danno particolarmente fastidio o da cui ti senti ferito/a perché mancano di sensibilità o di tatto?

Helena Sina. I discorsi fatti dai miei coetanei sono ciò che mi spaventa di più, perché dovrebbero avere una visione del concetto di immigrato diversa, visto che hanno la possibilità di avere delle conoscenze e informazioni in più sulle altre popolazioni ed etnie diverse. Penso che sia molto importante informarsi prima di esporre una propria opinione, perché è importante fare delle domande e magari trovare delle risposte prima di parlare; solo così si può evitare di utilizzare termini inadeguati che potrebbero ferire l’altro. Una cosa che inviterei a fare i miei coetanei è proprio questo e non stare sempre lì a puntare il dito su chi è “diverso” in quanto questo provoca razzismo anche in modo indiretto che non è altro che lo spontaneo cercare di sentirsi qualcosa di più. E per realizzare questa elevazione di sé si sceglie chi escludere.

5) Sei in possesso della cittadinanza italiana? Secondo te perché i vari governi rendono difficoltoso alle seconde generazioni di famiglie non italiane il percorso per votare ed essere considerati cittadini/e italiani/e?

Helena Sina. Sono nata in Italia esattamente a Modica, e no non sono in possesso della cittadinanza italiana, nonostante abbia fatto domanda un mese dopo aver compiuto 18 anni. Credo che sia una cosa insensata il fatto che io nonostante sia nata e cresciuta qua non ne sono ancora in possesso e quindi vengo messa alla pari delle persone che sono qui solo da qualche mese e tutto questo mi fa sentire ancora più umiliata e disprezzata. Molti ragazzi, nati in Italia da genitori stranieri o arrivati in Italia da piccolissimi, rischiano di dipendere fino ai 18 anni dal permesso di soggiorno dei genitori: se il permesso scade e se i genitori perdono il lavoro diventano irregolari. Ma la cosa ancora più scoraggiante è che finché non raggiungono il 18° anno di età, alcuni ragazzi non possono iscriversi a campionati sportivi in cui esistono limitazioni per i giocatori stranieri in rosa. La legge permette ai minori stranieri di fare sport, ma non dà la possibilità di essere inseriti nelle selezioni nazionali. Se non si è cittadini italiani non si può votare e candidarsi, ma nemmeno partecipare a numerosi concorsi pubblici, quando invece nel mio caso ne ho il pieno diritto. Il punto non è questo, ma se nel mio caso non riesco ad ottenere la cittadinanza entro 2 mesi (ovvero il tempo che mi rimane fino ai 19 anni) questo mi impedisce anche il mio futuro perché dovrò aspettare altri 4 anni per averla. E tutto questo perché? Perché lo stato Italiano ha paura e “siamo troppi” però allo stesso tempo vogliono dei cittadini che siano un arricchimento per il Paese, un arricchimento che nel mio caso e di tanti altri non si può avverare perché abbiamo le mani legate. E allora tutti i soldi che versiamo per avere questa cittadinanza che fine fanno?

6) Ritieni che l’Italia abbia un problema con le minoranze etniche presenti nella società italiana? Cosa ti senti di dire a chi, a Scicli, favorisce questa “caccia all’untore” e accusa la comunità albanese di essere responsabile del numero così alto di contagi?

Helena Sina. Più che un problema io penso che l’Italia sia stanca di vedere tutte queste popolazioni diverse. Questo perché il razzismo non è un problema di “razza” ma di diversità culturale e di diversità sociale. La cosa che la gente teme di più non è il diverso colore di pelle o le origini straniere degli “immigrati” ma la povertà in cui vivono. E come se la povertà possa essere contagiosa. A provocare tanto odio è il messaggio che è passato attraverso i mass media, messaggio secondo cui l’immigrazione è per forza immissione di povertà, di ignoranza e di tanto altro. Il mio appello a Scicli è quello di smetterla di dire sciocchezze sulla base del nulla, perché è facile puntare il dito quando si è in maggioranza. Sul discorso del contagio nessuno ha colpe, il virus non si diffonde a causa dello straniero ma per le disattenzioni, per l’immaturità e per i comportamenti scorretti; quindi perché puntare il dito? Mi chiedo ancora come sia possibile che nel 2021 venga data la colpa ad una fetta di popolazione come se tutti sapessimo cosa fa l’altro che ci sta accanto. Questo periodo di lockdown ci ha insegnato tante cose ma soprattutto ci ha dato molto tempo libero, tempo che invece di essere utilizzato con intelligenza o come occasione per riflettere, per informarsi e per coltivare nuovi hobby, viene usato male e si passano le giornate a commentare, postare e incitare l’odio sui social.

Isa Kaja. Parlando di Scicli appunto però è da un po’ che per via della pandemia che sta colpendo molte famiglie sta succedendo un po’ un casino mediatico. Dico questo perché ci sono state famiglie albanesi che solo per il semplice fatto che, per disgrazia, sono risultate positive ad un virus che non fa certo differenza tra etnie, religioni o colore della pelle differente, si sta discriminando un popolo colpevolizzandolo della diffusione del virus a Scicli.

Da premettere comunque che anche se fosse stato un albanese ad aver contagiato un italiano a Scicli non può farsene una colpa perché è un virus che appunto non sceglie la vittima in base alla popolazione ma a caso; quindi come poteva accadere a noi albanesi così poteva accadere il contrario, cioè che un italiano contagiasse un albanese. Di questo però non si parla perché non fa notizia, il contrario invece sì. È da qui che si capisce che il razzismo esiste. Con questo voglio dire che quando l’ignoranza si fonde con il pettegolezzo si sfiora la dinamica del razzismo. Questo accade a Scicli e non solo e ci fa sentire fuori luogo in tali argomenti, quando secondo il mio modesto parere dovremmo semplicemente essere più responsabili in questo momento di difficoltà, nel mondo e a Scicli. Senza considerarci nessuno migliore dell’altro, creando una coesione tra popoli senza venire meno alla distanza sociale. Bisogna fare questo per far sì che il virus rimanga solo un brutto ricordo e per riportare serenità nelle famiglie di Scicli e del mondo.

7) Ti è mai accaduto di guardare le foto della Nave Vlora che attracca al porto di Bari nel 1991? Potresti parlarmi dei tuoi sentimenti a riguardo?

Helena Sina. Mi è capitato spesso di vedere sia le foto che i video di quell’8 agosto 1991 dove 20.000 persone, ammassate in una nave con delle ridotte capacità con una insostenibilità della situazione a bordo, con il caldo che cresceva e la sofferenza delle migliaia di persone ammassate sui ponti e nelle stive. Fu comunicato che la nave non poteva fare ritorno e soprattutto vi erano troppi feriti anche se l’ordine arrivato da Roma fu quello di tenere gli albanesi al porto e farli ripartire entro qualche ora; ma prima che la nave accostasse alla banchina centinaia di uomini si buttarono in acqua in cerca di una fuga pur di ritornare in patria.

L’Albania usciva dall’esperienza comunista in condizioni di miseria. La possibilità di guardare i canali italiani captati dagli apparecchi televisivi offrì alla popolazione albanese una visione abbacinante e illusoria della società consumistica. Questo fa capire quanto era grande la disperazione di quel paese dove la gente preferiva morire in mezzo al Mar Adriatico che far rientro in patria. Oltre ad avere visto i filmati ho avuto la possibilità di ascoltare le storie di molte persone e penso che fino a quando una cosa non si prova non si può mai capire la reale sofferenza dell’altro, per molti sono degli immigrati come tanti altri che rubano il lavoro ma io penso che sia gente tanto coraggiosa che ha lasciato tutto per un futuro migliore ,che ha tirato su una famiglia partendo dallo zero arrivando in Italia con solo due vestiti addosso e senza che nessuno gli spiegasse nulla.

Proviamo finalmente a rispondere alla domanda: “Perché si è ben predisposti verso i nuovi coloni sciclitani, pur non conoscendoli ed essendo a tutti gli effetti stranieri e invece si continua a diffidare di quei vecchi “nuovi sciclitani” di provenienza e origine albanese nonostante abitino fianco a fianco con gli sciclitani da più di vent’anni?”.

L’immagine del turista che si trasforma in residente innesca il desiderio di “successo” e realizzazione dello sciclitano medio e allo stesso tempo evoca l’immagine del piccolo borgo e la fa apparire un luogo sicuro: lo sciclitano medio vuole entrare in contatto con il Colono del nord Italia o del nord Europa perché spera di essere “contagiato” e di essere illuminato come un satellite opaco dal sole del benessere, della cultura e delle buone maniere, spia di una classe benestante fra i fantasmi di una classe media che boccheggia morente. Al contrario lo stereotipo che esclude la comunità albanese dai “giri buoni” della città è utile ad allontanare l’immagine di un passato non troppo lontano. È esattamente ciò che mette in evidenza Helena nella risposta alla sesta domanda: il razzismo non è causato da pregiudizi razziali ma dal rigetto della povertà. La paura è in questo caso quella di tornare ad essere ciò che si era un tempo, membri di una comunità imprigionata in un passato premoderno.

Il pregiudizio verso il nuovo sciclitano “straniero” è la faccia illuminata della vergogna per le proprie radici contadine.

Giovanni Padua

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *