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Università bandita: non è un caso isolato

L’Università bandita

Nel mondo universitario catanese la giornata di ieri non verrà dimenticata facilmente dopo le indagini della Digos di Catania che hanno portato alla sospensione del Rettore Francesco Basile e di altri nove docenti a capo di diversi dipartimenti dell’Ateneo. L’operazione denominata “Università bandita”, illustrata durante una conferenza stampa presso la procura di Catania, ha scoperto l’irregolarità di almeno 27 concorsi (per le posizioni di professore ordinario, associato e ricercatore) che hanno costruito un vero e proprio sistema clientelare.

Secondo le ricostruzioni, infatti, i bandi di concorso sarebbero stati ritagliati ad hoc sul profilo del vincitore designato in anticipo da una “élite culturale” con a capo il Magnifico Rettore. I membri esterni delle commissioni venivano indirizzati sulla scelta del candidato che avrebbe dovuto prevalere e nel caso in cui queste misure non si fossero rivelate ancora sufficienti sarebbero state esercitate delle pressioni sugli aspiranti candidati meritevoli, per non presentare o addirittura a ritirare la propria candidatura. Ma la questione non si ferma ai concorsi perché le intercettazioni hanno evidenziato come il sistema fosse diffuso anche nella gestione degli organi accademici, in particolare la formazione del CdA dell’Università sarebbe stato deciso a tavolino da Basile e dall’ex Rettore Pignataro, uniti da un accordo d’intenti sulla spartizione degli incarichi, che avrebbero consegnato dei “pizzini” con le indicazioni di voto da distribuire a tutti i membri del Senato Accademico. Queste indicazioni sono pervenute non soltanto ai membri della componente docenti, ma anche a quelli del personale tecnico-amministrativo e agli rappresentanti degli studenti. 
Infine, nell’indagine sono stati riconosciuti gravi indizi di colpevolezza per altri 40 docenti di altre università italiane (Bologna, Cagliari, Catania, Catanzaro, Chieti-Pescara, Firenze, Napoli, Messina, Milano, Padova, Roma, Trieste, Venezia e Verona) anche se il procuratore Carmelo Zuccaro ha precisato che non è ancora opportuno «parlare di un coivolgimento di altri atenei in mancanza di un giudice che dia l’avallo della gravità indiziaria» così com’è già avvenuto per l’ateneo catanese.

I precedenti

Tutto sommato lo scandalo UniCt non è piovuto improvvisamente da un cielo completamente terso. In un passato abbastanza recente si erano già manifestati dei fenomeni che rappresentavano delle significative spie di allarme.
La vicenda di Riccardo Cavallo inizia nel 2010 quando in seguito ad una ingiusta esclusione dal bando per un assegno di ricerca in Filosofia del Diritto vennero viste riconosciute le sue ragioni dalle sentenze del TAR del 2012 e del CGARS l’anno seguente. I Tribunali avevano ritenuto la procedura illegittima e condannato l’ateneo a un risarcimento per “perdita di chances”, mentre la sua controparte continuava comunque a percepire l’assegno di ricerca provocando un ingente danno erariale.
Nel giugno 2017, quindi, Cavallo si candidava per un posto di ricercatore nella stessa disciplina e inoltrava all’ateneo un’istanza di annullamento in via di autotutela, in cui sosteneva che la formulazione dei criteri del bando avrebbe favorito, come di fatto è accaduto, la solita controparte (quella del 2010). L’istanza però è stata respinta senza una precisa motivazione. Successivamente Cavallo venne ritenuto non idoneo alla partecipazione al concorso, nonostante fosse in possesso di specifica abilitazione scientifica nazionale per professore associato nella disciplina, di altri titoli specifici e pubblicazioni. Per di più il vincitore “designato” dopo poco tempo è stato dichiarato decaduto e la procedura si è conclusa così senza un vincitore. L’Ateneo non ha fornito delle spiegazioni attuando una strategia elusiva che ha danneggiato Riccardo Cavallo e privato il Dipartimento di Scienze Giuridiche di un ricercatore in un settore sotto organico. Proprio nell’aprile del 2019 Riccardo Cavallo aveva richiesto al Rettore Basile l’accesso agli atti, l’annullamento del bando e comunicato l’intenzione di rivolgersi alla Procura.

Nello stesso periodo arriva la sentenza di condanna in primo grado per la commissione giudicatrice del caso Sciré, lo storico originario di Vittoria che nel 2011 partecipò al bando per l’assegnazione di un posto di ricercatore in Storia Contemporanea. Il bando venne vinto da un’architetta, l’unica tra i candidati a non avere un dottorato in quella disciplina e – come emergerà dalle indagini – in evidente conflitto d’interessi con il presidente della Commissione giudicatrice. Nonostante la sentenza di annullamento del TAR la donna continuerà a lavorare ancora per due anni e mezzo in quella posizione prima di essere sospesa, nel frattempo Sciré rimasto inoccupato otterrà un’altra sentenza che lo riconosce vincitore di quel concorso senza però essere ancora stato reintegrato definitivamente in ottemperanza alle sentenze della giustizia amministrativa.

Quale speranza?

In attesa dei dovuti chiarimenti in sede processuale della vicenda non si vuole saltare a conclusioni affrettate. Certo è che le misure cautelari prese sono importanti, le intercettazioni sono inequivocabili e qualora i discorsi in oggetto non costituissero reato non farebbe di certo piacere sapere che la gestione dell’Università di Catania avvenga in questi termini. Inoltre, visto il numero e la provenienza degli iscritti al registro degli indagati sembra un’ingenuità sperare che il sistema clientelare sia limitato soltanto al caso catanese, nonostante le comprensibili cautele della Procura. Così come le indagini sono in corso di valutazione di un altro centinaio di procedure concorsuali che lasciano intravedere quanto ancora possa essere esteso un sistema che appare già pervasivo.
Sicuramente l’azione repressiva della magistratura è uno strumento importante per eliminare le illegalità che si stanno rivelando parecchio urgenti; così come i casi di Cavallo e di Sciré sono degli esempi importanti per trovare il coraggio di denunciare, amministrativamente e penalmente, le situazioni di ingiustizia anche a costo dell’isolamento e della calunnia. Tuttavia c’è un aspetto che appare marginale nella vicenda ma che, se confermato, risulta probabilmente il più dannoso per il futuro ed è il fatto che anche i rappresentanti degli studenti abbiano recepito le indicazioni di voto tramite i “pizzini”. Se così fosse, le condanne e le sentenze sarebbero soltanto dei palliativi nei confronti di una mentalità sempre più lenta a cambiare.

Massimo Occhipinti

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