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DDL Pillon: sguardo in avanti o salto all’indietro?

Sono passati cento anni da quando le prime femministe si facevano coraggio per contrastare un mondo che le aveva da sempre poste qualche scalino più in basso rispetto al sesso opposto; movimenti e slogan si sono susseguiti nel corso di tutto il ventesimo secolo alla ricerca di conquiste sociali, tutele e sicurezza. Eppure nel 2019 e nella decantata società occidentale, sinonimo di progresso, iniziano a suonare dei campanelli d’allarme. É il caso dell’Italia che per lunghi periodi è stata l’incarnazione dello sviluppo sociale, patria di innumerevoli innovatori in svariati campi, ma che adesso sta vivendo un periodo storico caratterizzato da una visione chiusa e bigotta, pronta a fare un salto all’indietro di parecchi secoli. Non a caso a questo clima quasi da inquisizione si accompagna la simpatica rivisitazione da parte di molte attiviste di un motto usato negli anni ’70: “tremate tremate le streghe son tornate”.

I principali artefici di questa ventata di bigottismo sono coloro che compongono l’odierna classe dirigente, scelta e votata democraticamente dal popolo italiano, tra i quali troviamo la figura del senatore leghista Simone Pillon. Quest’ultimo è stato al centro di molte contestazioni, soprattutto in occasione dell’8 marzo scorso, a causa del disegno di legge (DDL) che prende il suo nome e che è stato presentato alle Camere il 1 agosto del 2018. Il senatore Pillon, cattolico convinto ed aderente al Cammino neocatecumenale (itinerario di formazione cristiano-cattolico nato in Spagna negli anni ’60 e che si pone l’obiettivo di riportare la fede tra le persone che l’hanno persa), è stato l’organizzatore di ben tre “Family Day”, tra i quali spicca quello del 2007 per la partecipazione di Kiko Arguello, il quale si rese protagonista in negativo dopo un apologo al femminicidio ed una critica al divorzio. Non a caso, proprio il DDL 735 presentato dal senatore leghista introduce nuove norme in materia di divorzio, mantenimento ed affido, andando a riformare il diritto di famiglia in quattro punti fondamentali: mediazione obbligatoria e a pagamento, bigenitorialità perfetta, mantenimento diretto ed alienazione genitoriale.

La nuova riforma

La mediazione obbligatoria implica l’inserimento di procedure ADR (Risoluzione Alternativa delle Dispute) con, in caso di figli minorenni, la presenza obbligatoria di un mediatore familiare al fine di salvaguardare l’unità della famiglia. Lo stesso art.1 del disegno di legge istituisce un albo professionale per la figura del mediatore, il quale sarà a carico esclusivamente dei genitori. Inoltre, viene imposto un “piano genitoriale”, strumento già usato in alcuni casi di divorzio e che si compone di alcune regole fondamentali, quali ad esempio quella di mantenere comunicazioni regolari con l’ormai ex coniuge, e quella di definire i luoghi frequentati abitualmente dai figli (attività extrascolastiche, vacanze e così via). Imponendo l’obbligatorietà del mediatore (lo stesso Pillon lo è) e del piano genitoriale a pagamento, la separazione diventa più complicata ed onerosa, accessibile solo per le famiglie più agiate le quali sarebbero le uniche a poter ricoprire determinate spese. Inoltre potrebbero nascere ulteriori problematiche per tutte le donne che sarebbero costrette a continuare a mantenere rapporti con i mariti violenti a causa dell’uso del piano genitoriale e delle nuove regole sopra citate.

Per quanto riguarda la Bigenitorialità perfetta, invece, il DDL dispone che vi sia il doppio domicilio per il minore ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute. L’idea di Pillon sarebbe quindi di far mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e la madre “indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due genitori” (art.11), riducendo notevolmente la libertà del minore, divenuto ormai un oggetto spartito in due pezzi. A proposito si è espresso anche il Coordinamento italiano per i servizi maltrattamento all’infanzia (CISMAI), definendo che “la divisione a metà del tempo e la doppia residenza dei figli ledono fortemente il diritto dei minori alla stabilità, alla continuità e alla protezione”.

Al discorso sulla bigenitorialità perfetta si collega quello sul mantenimento diretto: il piano genitoriale contiene ciascun capitolo di spesa, sia ordinaria che straordinaria, ripartita tra padre e madre. Viene precisato come le scelte siano effettuate in base alle esigenze del minore, così come il suo tenore di vita, in virtù della divisione tra genitori per quanto riguarda le somme da versare. Purtroppo è statisticamente provato che in media le madri il più delle volte non percepiscono lo stesso stipendio dei padri. Così facendo, il decreto non terrebbe conto del gap salariale che potrebbe esserci tra uomo-donna, trasformando la bigenitorialità a vantaggio del genitore economicamente più forte e obbligando l’altro a fare una scelta: non separarsi (accettando un compromesso) oppure intraprendere spese sempre più crescenti.
Infine, il suo disegno di legge è volto a contrastare la cosiddetta alienazione parentale: l’art.9 del testo legislativo permetterebbe al giudice di togliere la responsabilità genitoriale, con annesse sanzioni economiche, nei casi di “manipolazioni psichiche o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore” e di calunnia, qualora vengano riscontrate “accuse di abusi e violenze false ed infondate”. Il DDL non specifica alcun grado di violenza domestica bensì la considera tale solo se sistematica, ripetitiva ed esplicata a cadenze regolari, non tutelando appieno le donne che invece spesso sono vittime di aggressioni, i quali vengono tacitamente accettati.

Incapace di garantire una salvaguardia a 360 gradi nei confronti di donne e minori, il disegno di legge ha suscitato molte preoccupazioni e dubbi esternati non soltanto dal mondo giuridico (avvocati e giudici), ma anche da psicologi, operatori e movimenti femministi; perfino due relatrici delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, Dubravka Simonovic e Ivana Radacic, hanno espresso un parere negativo nei confronti della misura legislativa. A livello nazionale, le critiche sono arrivate anche da alcuni parlamentari, in particolare dalla senatrice Emma Bonino, appoggiata dall’ex Presidente del Senato Pietro Grasso (LeU), la quale ha definito la legge come un salto che ci riporta agli anni ’70. Persino Massimo Gandolfini, attuale Presidente dell’associazione “Family Day“, ha definito la proposta “fatta di luci e ombre”. Parere completamente opposto per quanto riguarda il fronte Lega, a partire dal leader Matteo Salvini che lo ha definito come “un buon punto di partenza” ed emendabile.

Non si è fatta attendere a questo punto la risposta delle vere interessate al testo di legge, ovvero le migliaia di donne che in tutta la penisola sono scese in piazza in occasione dell’8 marzo scorso. A Roma ad esempio si sono rese protagoniste un gruppo di attiviste che fanno capo all’organizzazione “Grande come una città”, le quali, vestite da ancelle (costume preso spunto da una serie tv che si basa sulla soggiogazione del genere femminile) hanno manifestato tutta la loro disapprovazione contro il decreto Pillon, inaugurando nel III Municipio della capitale dodici panchine di colore rosso, come simbolo di denuncia contro quella violenza che ancora oggi, nel 2019, molte donne devono subire. In un paese dove i femminicidi sembrano essere ignorati e lasciati in secondo piano, Pillon ha dimostrato, insieme a coloro che condividono le sue idee, che parte del popolo italiano abbia ormai frenato ed inserito una vera e propria retromarcia per tornare indietro. É forse vero che la speranza dovrebbe essere l’ultima a morire, motivo per cui sarebbe meglio considerare ciò che dice Salvini: “un buon punto di partenza”, sì ma per rimettere la prima e andare nella direzione opposta.

Riccardo Lucentini

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