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Khan Al Ahmar: esistenza è resistenza

Khan Al Ahmar è un piccolo villaggio, composto da 173 persone, appartenenti alla tribù Jahalin, che vivono in quel territorio dal 1970, dopo essere stati espulsi dall’esercito israeliano dai territori del Negev. Si trova nella periferia est di Gerusalemme, in Cisgiordania, a metà strada tra gli insediamenti israeliani di Ma’ale Adumim e Kfar Adumim. In questo piccolo villaggio c’è anche una scuola, la Scuola di Gomme, costruita da “Vento di Terra”, un’organizzazione italiana, frequentata non solo dai 92 bambini di questa piccola comunità, ma anche da studenti provenienti dai villaggi limitrofi. È l’ultimo insediamento palestinese prima del deserto di Giuda, nonché punto di passaggio tra il Nord ed il Sud della regione.

I territori della Cisgiordania sono divisi tra le tre aree A, B e C previste dagli Accordi di Oslo: in particolare, l’area A comprende sia le città palestinesi, sia i centri rurali distanti dalle città israeliane nel Nord della Cisgiordania, sia, infine, la parte Sud nei pressi di Hebron e di Salfit; l’area B comprende zone rurali al centro della Cisgiordania; l’area C contiene gli insediamenti israeliani e le cosiddette zone cuscinetto.

La posizione del villaggio è strategica: nella compressione centrale della Cisgiordania, con ad est il deserto e ad ovest Gerusalemme, rappresenta l’unico punto di contatto tra il Nord ed il Sud dell’intera regione, garantendo la continuità dei territori sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Per quale motivo il destino di un villaggio così piccolo suscita un interesse particolare nella comunità internazionale?

Il Cogat, la struttura militare israeliana di governo dei Territori Palestinesi, ha annunciato che entro il 1 Ottobre quel piccolo villaggio e la scuola di Gomme devono essere improrogabilmente demoliti (erano stati avviati i lavori di demolizione già nel Luglio 2018, ma diverse proteste non violente, represse con l’arresto dei manifestanti, e una petizione avevano rallentato il processo), a seguito di una sentenza della Corte Suprema israeliana, in cui si ravvisa la mancanza di permessi israeliani (vigenti, secondo la Corte, su territorio palestinese) per la costruzione di un pozzo e della scuola, e di conseguenza dell’intero villaggio. La decisione è stata, tuttavia, rinviata sine die dal Primo ministro Netanyahu, anche a fronte delle recenti reazioni internazionali (UE e ONU in primis).
Le conseguenze più importanti sarebbero da registrare in termini geopolitici. In primo luogo, dividere a metà la Cisgiordania, impedendo la continuità territoriale della Palestina è un chiaro segnale di destabilizzazione dell’intera area e dei rapporti tra lo Stato d’Israele e la stessa Palestina, resi già aspri dai quotidiani scontri tra civili palestinesi e militari israeliani, in un contesto già teso per via dell’aggressiva politica coloniale israeliana. In secondo luogo, un simile atto potrebbe configurare una violazione del divieto di deportazioni sancito dal diritto umanitario internazionale che può realizzarsi sia attraverso l’espulsione da un territorio, sia attraverso la creazione di condizioni di vita talmente insostenibili da forzare i residenti ad abbandonare una determinata comunità.

La resistenza di Khan al Ahmar non riguarda solo 173 persone, di cui 92 bambini, ma rappresenta una sottile linea di equilibrio relativo ad un mai sopito conflitto e che, oggi forse più che mai, si ritrova, sebbene le dichiarazioni pubbliche siano di altro tenore, sull’orlo di una terza Intifada.

Simone Lo Presti

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