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Gli errori e le bizzarrie d’Italia svelati da Paolo Mieli

Storico acclamato, giornalista di indiscussa capacità critica, scrittore libero da ogni recinzione: Paolo Mieli è un uomo di cui ci si può fidare quando affida alla carta le sue ricerche e le sue opinioni sulla storia. Intervistato a margine della presentazione del suo libro Il caos italiano, alle origini del nostro dissesto,in occasione dell’annuale appuntamento di “A Tutto Volume”, Mieli spiega come, ripercorrendo quasi 150 anni di storia dell’Italia, dalla fondazione del Regno al passaggio tra Prima e Seconda Repubblica, soffermandosi su eventi specifici e rovinosi quali il fascismo e tangentopoli, definiti come infarti del sistema politico italiano, si possano rintracciare le origini dei mali che affliggono il nostro paese, scovando negli angoli della storia alla ricerca dei numerosi errori della classe dirigente e le curiose abitudini di politicanti e simpatizzanti di qualunque fazione.

Dottor Mieli, fin dal titolo si intuisce quale sia sua l’opinione sulla situazione italiana: quale motivo la porta ad un tale giudizio e come l’Italia è diventato un paese disastrato?

Prevedendo ciò che sarebbe accaduto alle elezioni, in quanto il libro è stato scritto prima, ho cercato di spiegare quali sono i motivi che risalgono indietro alla storia d’Italia e che hanno portato a questo punto qui, perché tutti sono convinti che ciò che è accaduto, ovvero le difficoltà a fare un governo, sia relativo a faccende contingenti e a risultati dell’ultimo momento, ma in realtà ci sono delle cose che risalgono a 155 anni fa o molto tempo prima.
E la prima di queste cose è che noi, per la ristrettezza dell’élite che fecero l’Italia, fin dall’inizio non abbiamo imparato a dividerci con spirito di lealtà.
In tutti i paesi del mondo una volta vince la destra e una volta vince la sinistra, ci si rispetta sostanzialmente tranne in casi estremi, e danno vita a governi alternativi che poi nelle elezioni successive si contendono il potere.
Da noi invece ogni vittoria dell’avversario si vive come la fine del mondo e quindi gli elettorati di opposizione sono pronti di volta in volta a fare qualsiasi cosa per mandare all’aria l’esperimento degli avversari, mentre invece il modo regolare sarebbe quello di aspettare le elezioni successive, votare e quindi eventualmente mandarlo all’aria se si raccoglie il consenso.

Il suo libro scava molto indietro nella storia del nostro paese, ma così facendo non si corre il rischio di deresponsabilizzare gli attori attuali e scaricare le colpe sui politici del passato?

Beh si, onestamente questo rischio si corre, ma se non si correggono gli errori che risalgono indietro nella storia, incolpare questo o quello non risolve il problema.
Noi sono venti o trent’anni che incolpiamo ora questo ora quel soggetto, senza nemmeno metterci d’accordo su chi incolpare, ma quando lo incolpiamo alla fine rimaniamo al punto di partenza perché non abbiamo risolto le questioni che si propagano da un secolo e mezzo… quindi tanto vale correrlo questo rischio.

In una società dove regnano lo strapotere dei social e dei mass-media, qual è il ruolo della storia?

La storia ha un ruolo enorme perché i social non lasciano grandi tracce, vanno come vengono, sono fatti per lo più di efficacia di battute e di invettive, e anche se io li frequento abbastanza non è che mi lascino turbato o in preda a pensieri.
La storia, i libri, la carta stampata in generale, sono il luogo in cui si deposita qualcosa a cui la sera successiva o il mese successivo ripensi.

Intervista di Giovanni Massari
Salvatore Schininà

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