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Beni comuni – A Catania si occupano

Vivo a Catania da quattro anni, per motivi di studio, e ho conosciuto diversi angoli di una città che è profondamente diversa dalla mia. Una delle differenze che mi ha colpito maggiormente non sta tanto nell’estensione geografica o nel carattere delle persone, ma nel rapporto che la società civile dimostra di avere nei confronti dei beni comuni. Infatti, se nella mia città si continua ad attendere una risposta dalle amministrazioni (quasi fosse Becket a delineare i profili dei personaggi della vita sociale), a Catania si decide di rispondere al silenzio dei luoghi di governo con l’azione e la riappropriazione di diversi spazi, “rubati” all’incuria e all’indifferenza generale. Accade così che gruppi di giovani e meno giovani decidano di occupare questi beni comuni e avviare progetti sociali, utili alla vita dei quartieri: è accaduto così sia a Librino con i Briganti, sia alla Palestra Lupo, che al Centro Polifunzionale-Midulla. Ho incontrato, nei giorni scorsi, Veronica, una delle attiviste per il Midulla, e le ho chiesto di spiegarmi.

Cosa è il “Midulla – Centro polifunzionale”? 

Uno spazio pubblico, un bene comune, strappato all’abbandono e restituito alla quotidiana vita cittadina. Un centro polifunzionale al cui interno delle semplici persone, attivisti, abitanti di San Cristoforo e non, si adoperano per rendere migliore la propria città, offrendo attività settimanali gratuite per –  e con – il Quartiere.  Un’alternativa alla vita di strada, una risorsa insostituibile per San Cristoforo che, a meno di un mese dalla sua “riapertura”, offre musicoterapia, corsi di percussioni e samba, manualità creativa, danza classica, circo sociale e giocoleria, palestra per donne. E ci sono già molte altre attività che verranno attivate a brevissimo. Un luogo in cui bambini ed adulti, ogni giorno, possono vivere delle esperienze formative, educative, culturali ed artistiche del tutto diverse da quelle offerte normalmente dalla strada, dall’ambiente sociale, dalla scuola o dalla famiglia. Un bene pubblico che diventa luogo dei diritti e del poter fare, al di fuori dalle logiche prettamente commerciali. Un posto che risponde anche alla sete di spazi di cui soffrono associazioni, enti e collettivi che operano nel settore sociale e no-profit a Catania.

Come nasce questo progetto? 

Semplicemente dalla voglia di “fare” di quella parte di cittadinanza attiva che è figlia del desiderio di partecipazione sociale; che sperimenta l’opportunità di esistere e di prendersi cura della città che abita; che è in grado di mobilitare risorse umane, tecniche e finanziarie a prescindere dalle istituzioni di ogni colore; che agisce con modalità e strategie differenziate per tutelare diritti collettivi; che non ha paura di assumersi responsabilità e oneri volti alla cura e allo sviluppo di luoghi e beni comuni, così come è successo giorno 8 gennaio 2017 con il Midulla. Eravamo stanchi di attendere risposte, bandi e fatti, cinque anni son fin troppi, così prima che si rubassero anche i muri abbiamo scelto di aprire le porte del Midulla, riappropriarci dal basso di una struttura bellissima anche se vandalizzata e distrutta, sistemarla, coinvolgere abitanti ed associazioni e far in modo che la porta del Centro Polifunzionale di San Cristoforo rimanga aperta ogni giorno sul quartiere.

Cosa c’era prima dell’occupazione in quello stabile?

midulla distruttoLa storia del Midulla è lunga e tribolata. È stato innanzitutto il Cinema di San Cristoforo, nei tempi d’oro in cui avere un cinema rendeva un quartiere importante, finché nel 1979 il fuoco non l’ha distrutto. Negli anni ’90 l’Amministrazione Comunale lo ha acquistato e ristrutturato con i fondi del “Progetto Urban”. Nel 2001 l’inaugurazione come Centro Polifunzionale, che comprendeva una palestra, un’aula studio, un salone centrale e degli uffici al piano superiore. Nel 2009 fu inaugurata anche la biblioteca che constava di 3000 volumi, di cui sì e no adesso ne sopravvivono una scarsa metà.

Quando il Comune ha smesso di erogare fondi l’edificio è rimasto quasi del tutto inutilizzato perché nessun ufficio comunale è stato trasferito al suo interno, mentre per un po’ alcune Associazioni tenevano aperta la struttura, almeno un paio di volte a settimana, per portare avanti dei corsi di palestra per donne. Nel gennaio 2012 la definitiva chiusura e i seguenti 5 anni di abbandono e di vandalismo. Nel frattempo diverse associazioni ne hanno richiesto l’assegnazione al Comune con petizioni, manifestazioni, richieste formali ma a parte qualche breve apparizione – come quella dei bambini dell’Orchestra Falcone-Borsellino che ne usufruirono per un periodo brevissimo e che furono costretti a rinunciare perché non potevano permettersi i costi di manutenzione e assicurazione prescritti nel contratto che gli aveva proposto l’Amministrazione – null’altro, il centro Midulla è rimasto chiuso alla Città e aperto ai vandali.

Quando abbiamo aperto la porta, lo spettacolo che si è presentato ai nostri occhi è stato sconcertante: libri gettati per carta straccia ovunque, non c’era più nulla, né mobilio, né impianti, figuriamoci i pc e l’attrezzatura della palestra. Solo stanze devastate, con infiltrazioni d’acqua, tavoli e sedie divelti, sanitari spaccati a mazzate. Tutto l’impianto elettrico scippato dai muri e pure la ringhiera di ferro pronta per essere definitivamente staccata e rubata. Insomma l’abbandono ha dato i suoi frutti.

Quali sono state le reazioni del quartiere? 

Sono state d’entusiasmo. Abbiamo spiegato sin dal primo momento quale fosse il nostro intento, cioè quello di ripristinare un vero e funzionante Centro Polifunzionale, che offrisse servizi ed attività gratuite per tutto il quartiere e le persone del quartiere hanno reagito con felicità. Ci hanno raccontato di quando in quel posto si vedevano i film, pure dalla finestra di casa, e che adesso sono contenti di poterci portare i nipoti. I bambini si riversano a decine durante le attività pomeridiane: dai laboratori creativi alla danza classica, dalle percussioni al circo sociale, dalla chitarra creativa alla proiezione di film. In fondo è questo che ripaga il lavoro volontario di questo tipo: tastare con mano quanto sia diffuso il bisogno di conoscere e di compiere esperienze diverse, vedere i sorrisi sui volti, la curiosità con cui ti ascoltano, è così che si capisce che questa è una vera urgenza sociale che rende indispensabili strutture come quella del Midulla e sai che la fatica e l’impegno sono ben spesi.

 

Quali sono i rapporti con le altre realtà del quartiere e della città? 

Direi ottime. Il Midulla, all’indomani della riapertura dal basso, ha indetto un’assemblea pubblica proprio per coinvolgere tutte le realtà associative e i singoli cittadini che avevano voglia e tempo di prendere parte a questa riapertura, il risultato è stato che in meno di una settimana abbiamo avuto già un calendario di attività settimanali, fisse, da offrire. Ora stiamo capendo come organizzare nel tempo tutte le proposte arrivate, perché sono davvero tante e valide. Vorremmo anche creare, il prima possibile, un calendario mensile da appendere fuori dalle diverse realtà sociali che già da molti anni forniscono servizi a San Cristoforo: dal G.A.P.A. di via Cordai – che terrà anche lezioni di palestra per donne anche al Midulla – alla Comunità di Sant’Egidio, alla Chiesa Valdese, all’Ass. culturale Gammazita, proprio per creare un percorso e una proposta collettiva che riempia le giornate di tutti gli abitanti del quartiere.   Quante persone siete riusciti a coinvolgere in questi pochi giorni? Tanti ragazzi, associazioni, grup

midulla esterno

pi sportivi, maestri di musica, ballerine, professionisti, esperti di arteterapia e musicoterapia, pedagoghi, creativi. Non sappiamo quale sia il numero reale, perché neanche abbiamo avuto il tempo per contare quanti siamo e forse è meglio così.  

Perché a Catania, ancora oggi, si decide di occupare? Non sarebbe più semplice chiedere al Comune l’uso di determinati spazi?

Il nostro gesto ha sicuramente più a che fare con una vera “riappropriazione dal basso di uno spazio pubblico abbandonato” più che con un’occupazione intesa nel senso più utilizzato in lingua italiana. Alcuni degli “attivisti per il Midulla” h

anno già chiesto, negli scorsi anni, al Comune l’affidamento dello spazio ma non hanno ricevuto alcuna risposta, come è già successo anche con altre associazioni come l’Arci Catania e l’Orchestra Falcone Borsellino. La macchina burocratica e politica fa sì che un posto come il Midulla venga ristrutturato, dotato di confort, chiuso, abbandonato, vandalizzato, depredato e distrutto, prima che sia affidato.

Ad oggi tutte le associazioni che non mirano al profitto economico si trovano ad affrontare l’enorme tema degli spazi, perc

hé è di spazi che queste realtà vivono. Se la fruizione degli spazi è però subordinata alla legge del profitto, agli affitti da pagare, allora l’intera vita delle

associazioni è costretta a snaturarsi. La pubblica proprietà dovrebbe ritornare ad essere luogo dei diritti e del poter fare, contro le logiche prettamente commerciali, l’abbandono degli spazi pubblici e l’alienazione dei beni comuni operata dalle amministrazioni di ogni colore. Ma siccome siamo della politica del “fare” e ci siamo semplicemente

centro midulla

stufati di aspettare, abbiamo agito, prendendoci tutti gli oneri e le responsabilità del caso. Il risultato è che il Midulla è tornato non solo a vivere, ma anche al centro della discussione politica sul processo di affidamento dei beni abbandonati di proprietà comunale ad associazioni ed enti che operano n

el settore no-profit e sociale. Un buon risultato, no? Ora stiamo a vedere, ma nel frattempo la porta del Midulla deve restare aperta sul quartiere.   

Qual è l’idea di città che state provando a sviluppare dal basso? 

Una città in cui le persone si prendono cura dei beni comuni come se fossero i propri, semplicemente per vivere meglio e rendere migliore il quartiere che abitano. Una società in cui le pratiche di cooperazione sociale e di rigenerazione urbana dal basso, riescono a costruire ambienti comuni, attraverso cui promuovere diverse forme di arte, cultura, sport, educazione e socialità. Una città in cui gli spazi pubblici vengono sottratti al degrado e diventano presidi di socialità e di aggregazione fuori dalle logiche commerciali. Nella nostra città esistono già pratiche di impegno sociale che diventano un’alternativa per decine di bambini e ragazzi che vivono in quartieri disagiati. A Catania esiste già uno stato sociale, creato da decine di attivisti, che ogni giorno attraverso tantissime iniziative produce nei fatti una città migliore. Tutto questo esiste già e il Midulla è un tassello che si va ad aggiungere a questo bellissimo processo di rigenerazione urbana e sociale dal basso.

 

 

Simone Lo Presti

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