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Internet: Public enemy?

Lo stato russo in transizione verso la democrazia non ha mai dimenticato le lezioni del suo passato sovietico: l’informazione è potere e il controllo della comunicazione è la leva per mantenere il potere. […] La storia della Cina è contrassegnata dall’infaticabile sforzo operato dallo stato per controllare la comunicazione.”

 

 

Manuel Castells – Comunicazione e Potere (2009, pp. 338 […] 350)

 

 

Il potere della comunicazione

 

 

Internet. Il World Wide Web. La comunicazione globalizzata, hic et nunc, here and now. Nel trionfo dell’Era dell’Informazione, della Network Society, coniata dal già citato sociologo spagnolo Manuel Castells, la comunicazione e la potenza dell’informazione come materia grezza da plasmare, riadattare e rivendere diventano la base necessaria di qualsivoglia tipo di cambiamento. La politica ed il potere costituito, spesso e volentieri, si appropriano di questo vero e proprio carro armato. Ma Internet, secondo un altro studioso statunitense del campo, Yochai Benkler, ha anche un grande potenziale di libertà nel suo DNA. Una sorta di potenziale anarchico che, talvolta, va a cozzare contro le politiche statali(ste) di parecchi establishment. Ed è allora che scatta la censura.

Nella Russia, capeggiata oggi dall’ex capo del KGB Vladimir PutinSorm 1 (1998) e Sorm 2 (1998) avevano già dettato legge in materia alla fine degli anni ’90. Con Putin al timone la recrudescenza si è fatta ancora più aperta: dal 2008 ad oggi sono state incrementate dalla Duma le pene sul presunto “terrorismo” perpetrato a mezzo Internet. Svariate norme sul cyberspazio sono, in modo celato, inserite all’interno di decreti legge contro la pornografia, contro la diffamazione o di leggi per la difesa della sicurezza nazionale. La censura, intanto, si allarga a macchia d’olio: nel mirino dell’intelligence russa sono oramai entrate a pieno titolo realtà virtuali oramai consolidate, quali Gmail e Skype. Nessuno sembrerebbe avere più il diritto alla libera espressione: “In Russia, una conversazione privata online non è privata, e se dà fastidio alla polizia, non è priva di conseguenze” (Castells, 2009, pag. 348). Fa piuttosto impressione come in un paese relativamente vicino quale l’ex Unione Sovietica ci sia una morsa così pesante sui gangli del cyberspazio. Certo non mancano esempi ancora geograficamente più limitrofi, se si considera la censura verso Twitter adoperata dal primo ministro turco Erdogan, ad esempio.  Ma la situazione nell’Estremo Oriente e al di là dell’Oceano Atlantico, invece, qual è?

 

 

Censura globale istituzionalizzata

 

 

mappa_cina_grandeLa Cina, abituata da secoli a passare da una sudditanza all’altra (ovviamente quasi sempre in modo endogeno, fatta eccezione durante la sanguinolenta occupazione giapponese), ha acquisito una certa maestria nel bloccare le porte d’accesso alla comunicazione. Ovviamente il mondo cibernetico non fa alcuna eccezione. Già all’inizio degli anni Duemila erano stati creati due enti di controllo: il Gruppo di Leadership di Stato sull’Informatizzazione e l’Ufficio Gestione Informazione Internet. In parole povere questi enti già si occupavano in concreto di tutte le problematiche relative alle attività cibernetiche ed al loro contenuto. Ovviamente, il Partito Comunista Cinese ha allungato sempre più, col passare degli anni, le proprie mani sul nuovo medium. Sulla Rete vi è una vera e propria attività di filtraggio continua. Un immenso firewall (beffardamente chiamato Grande Muraglia) è stato installato per bloccare centinaia e centinaia di siti, ritenuti “pericolosi” e “decine di utenti Internet sono stati rintracciati, arrestati e puniti (qualcuno con il carcere) per hacking informatico” (Castells, 2009, pag. 357). Addirittura la censura cinese si è spinta verso il paradosso: è arrivata a censurare lo streaming web (legale) di parecchie serie televisive statunitensi, non in linea con i dettami del governo centrale.
Un’altra zona d’ombra tutta asiatica è quella iraniana. In Iran la censura cibernetica è tutta rivolta verso gli strumenti di posta elettronica e verso i social network, veicoli veloci (e pericolosi) di notizie sgradite al regime. non va meglio ai blog, colpiti e vessati incessantemente con sanzioni di vario tipo, con pene pesanti come il carcere per tutti coloro che sono stati colti in fallo. L’Occidente è esente da questo peccato originale verso il web? Assolutamente no. Il caso Datagate e le rivelazioni di William Snowden sulla vicenda confermano questo continuo abuso di potere. Lo sfruttamento di dati fa assomigliare sempre più la rete virtuale ad una trama di una serie come Person of Interest. A questo punto la domanda che si pone è: Internet è il nemico, oppure sono i governi a costituire un pericolo per la libertà della Rete? La risposta è abbastanza scontata e ci fa, purtroppo, paventare un futuro sempre più difficile per la libertà di pensiero.

 

 

Simone Bellitto

 

 

 

 

 

 

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