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L’Honduras e la sconfitta della società civile

È stata una lotta a quattro quella avvenuta domenica 24 novembre tra i candidati alla Presidenza dell’Honduras. Dal colpo di stato del 2009, che depose il presidente Zelaya del Partito Liberale, è la seconda volta che il popolo honduregno viene chiamato alle urne. Oltre al rinnovamento della Presidenza, gli elettori hanno dovuto votare per eleggere tre vicepresidenti, 128 deputati al Congresso nazionale e 20 parlamentari al Parlamento centroamericano.

Le elezioni

Da una base di nove candidati, le elezioni sono state vinte, almeno formalmente, con il 34% dei voti, da Juan Orlando Hernandez del Partido Nacional (l’attuale partito al governo, di destra), contro il 28% della principale sfidante Xionara Castro, moglie dell’ex Presidente deposto dal golpe Zelaya e rappresentante del partito di sinistra Libertad y Refundacion (LIBRE); risultati positivi sono stati raggiunti anche da Mauricio Villeda del Partido Liberal (21%) e da Salvador Nasralla del Partido Anti Corrupcion (15%). Nonostante le segreterie di LIBRE e degli altri partiti abbiano contestato l’esito delle votazioni, se il risultato dovesse rimanere questo, sarebbe un duro colpo all’opera di riscatto sociale del Paese.
Il nuovo Capo di Governo avrebbe, infatti, il dovere di affrontare le innumerevoli e complicatissime sfide di un Paese in preda ad una profonda crisi sociale ed economica: il debito pubblico che ha superato i 7000 milioni di dollari (pari al 42% del PIL), la disoccupazione e la povertà che hanno raggiunto livelli insostenibili (il 70% della popolazione vive sotto la soglia di povertà), la corruzione dilagante nei pubblici uffici e l’intensa attività criminale dei cartelli del narcotraffico. Ma, come dimostrato durante la campagna elettorale, il nuovo Presidente Hernandez ha come unico punto in programma il rafforzamento di alcuni organi di polizia, a lui vicini, con lo scopo di mantenere il Paese sotto una cappa militarizzata irremovibile.

“La repubblica delle banane”

Con le ultime elezioni il Paese ha gettato via un’altra volta la possibilità di rottura con il passato e con la mala politica: lo scenario politico honduregno degli ultimi trent’anni è stato, infatti, dominato da due soli partiti: il Partito Liberale e il Partito Nazionale, entrambi tendenti a destra, che hanno portato il Paese al collasso, mantenendolo in una posizione di subordinazione rispetto alle politiche statunitensi e favorendo la svendita dei propri patrimoni alle multinazionale straniere.
Il colpo di stato del 2009, pur essendo stato organizzato dall’esercito e dal Partido Nacional, sembrava aver risvegliato le coscienze di molti honduregni (dal 2009 sono stati creati quattro nuovi partiti aventi accesso alle elezioni, e ciò è un fatto di importanza straordinaria in un Paese abituato al bipartitismo); inoltre la svolta a sinistra di molti governi sudamericani sembrava dover far virare il Paese verso i nuovi mercati della regione come ALBA e UNASUR, lontano dalla sfera di influenza di USA e UE. Evidentemente non tutta la popolazione ha sentito il bisogno di rovesciare il sistema marcio, complici il predominante analfabetismo e la dilagante ignoranza in materia politica, voluta e praticata dai governi nel corso degli anni. È quindi colpa delle direttive di questi despoti istituzionalizzati, di questi dittatori del XXI secolo, bravi soltanto a svendere i patrimoni di un’intera nazione agli acquirenti occidentali, se il Paese soffre di una crisi sociale insostenibile, costretto ancora a portare addosso l’orrendo appellativo di “repubblica delle banane”.

Giuseppe Cugnata

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