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Il business dei respingimenti

L’Eurosur

Il prossimo 2 dicembre entrerà in vigore, negli Stati dell’Europa mediterranea, un nuovo programma di sorveglianza delle frontiere, l’Eurosur (acronimo di European External Border Surveillance System), che avrà il compito, come afferma un rapporto dell’agenzia Frontex, di: “ridurre il numero degli ingressi dei migranti irregolari che entrano clandestinamente in UE; ridurre il numero di decessi di migranti irregolari, salvando più vite in mare; incrementare la sicurezza interna dell’UE, contribuendo alla prevenzione della criminalità alle frontiere”. Si tratta, brevemente, di una rete di sistemi militari e di comunicazione, del valore di diverse centinaia di milioni di euro, che setaccerà e controllerà l’intero bacino del Mediterraneo, mettendo in correlazione gli Stati europei con la già citata agenzia Frontex, l’agenzia militare istituita dall’Europa nel 2005, con il compito di pattugliare le frontiere continentali e respingere gli immigrati irregolari, accusata più volte, dalle organizzazioni non governative, di violazione dei diritti umani, (ndr). In poche parole, l’istituzione dell’Eurosur servirà solamente ad incrementare le risorse economiche e i poteri che l’agenzia Frontex possiede; l’agenzia dispone già di un ricco portafoglio (85 milioni per il solo 2013), che è servito e serve tuttora a mantenere attive le diverse missioni nel Mediterraneo, che hanno portato al respingimento di decine di migliaia di uomini, come la missione Poseidon, nel tratto di terra tra la Grecia e la Turchia, segnato dal fiume Evros; le missioni Indalo e Minerva, nello stretto di Gibilterra; e la missione Hermes, attivata per “fronteggiare i flussi migratori eccezionali” conseguenti alle primavere arabe, nel tratto tra la Tunisia, la Libia e le coste italiane.

Le altre operazioni nel Mediterraneo

Le missioni dell’agenzia Frontex rappresentano soltanto pochi tasselli nel mosaico delle missioni militari che si svolgono nel Mediterraneo, con lo scopo di frenare i traffici di vite umane. Anche la NATO, dal 2002, ha disposto un piano di pattugliamento nel Mediterraneo con lo scopo ultimo di intercettare eventuali carichi illeciti di armi e uomini. L’operazione, denominata Active Endeavour, è stata finanziata dall’Italia con ben 230 milioni di euro, ma, pur essendo state perquisite quasi 100mila navi merce, non ha prodotto i risultati immaginati.
Altre operazioni approvate, stavolta, dall’Europa sono state: la missione Seahorse, in collaborazione con i Paesi dell’Europa mediterranea e con gli Stati del Maghreb, progettata con lo scopo di addestrare nuove reclute in Libia, Egitto Tunisia e Algeria; o ancora il progetto EUBAM Libya, realizzato, su indicazione degli Stati Uniti, “per sostenere le autorità libiche a migliorare e sviluppare la sicurezza dei confini del Paese” e costato alle tasche europee 30 milioni di euro.

Insomma, il numero di missioni militari susseguitesi negli anni è aumentato esponenzialmente, come, del resto, sono aumentate le risorse economiche disposte per finanziare progetti così impegnativi. Come si legge dall’indagine indipendente realizzata dall’Associazione Lunaria con il sostegno di Open Society Foundation, le cifre stanziate dallo Stato italiano, nell’arco di tempo che va dal 2005 al 2012, per la sorveglianza delle frontiere e il respingimento dei migranti irregolari si aggirano attorno agli 1.3 miliardi di euro. Cifre estremamente alte stanziate per finanziare missioni che non solo non sono riuscite minimamente a bloccare i traffici umani nel Mediterraneo, ma che, anzi, hanno messo gli schiavisti nelle condizioni di avere nuova “merce” da spedire in Europa ad ogni giro, grazie al gioco dei respingimenti. Siamo ancora convinti che respingere gli immigrati sia un bene per le tasche dello Stato?

Giuseppe Cugnata

 

 

 

 

 

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