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La retorica sulla ripartenza e quei ragazzi dimenticati dallo Stato

Mentre il nostro Paese continua a fare i conti con l’emergenza sanitaria, mentre l’orrido carrozzone politico va avanti discutendo sulle misure economiche da adottare, sulla ripresa di questo o quel campionato, come all’interno di una bolla di sapone estranea alla realtà, chi ha sempre vissuto ai margini della società continua ad essere ogni giorno più escluso da ogni tipo di polemica e di riflettore mediatico.

Al netto di ogni retorica e degli “andrà tutto bene” l’emergenza sanitaria non ha fatto altro che emarginare i più deboli, i precari, i lavoratori, in particolare quelli delle campagne, le donne, gli stranieri, gli studenti.
Ha allargato lo spettro delle periferie dentro e fuori le città, presentando il conto più salato a chi, all’interno dei Paesi più sviluppati, arrancava già da prima, tra l’assoluta precarietà e la mancanza di solidità sociale.

Uno dei comparti della nostra società sui quali gli effetti della pandemia si sono abbattuti più violentemente è certamente quello scolastico. Il 10 marzo 2020 vengono chiuse le scuole di ogni ordine e grado e sospese, a tempo indeterminato, le lezioni in classe. Questo ha senza ombra di dubbio sconvolto la prassi scolastica e le abitudini di chi la scuola la vive ogni giorno, vale a dire docenti e alunni e in modo non meno importante i genitori di questi ultimi.

Al di là di ogni tipo di aspetto legato alla socializzazione, la didattica a distanza ha avuto l’infelice compito di sostituire le lezioni frontali in classe, la più democratica forma di accesso all’istruzione. Nessuno ha gridato allo scandalo, ma lo scandalo c’è.
La didattica a distanza ha impedito a migliaia di studenti la partecipazione quotidiana alla vita scolastica, alle lezioni, alle interrogazioni e agli esami. Escludendo gli inevitabili problemi legati all’emergenza sanitaria, il Ministero dell’Istruzione non ha minimamente tenuto conto dell’emergenza scolastica, sociale ed educativa legata alla somministrazione della didattica a distanza.
Sono tantissime le famiglie a non possedere ancora un computer e spesso gli smartphone presenti in casa, quando ci sono, sono troppo obsoleti o semplicemente non ce ne sono abbastanza per garantire a genitori e figli di svolgere tutte le attività quotidiane. In più, soprattutto nelle aree rurali, manca l’accesso ad una connessione Internet.

Come operatore volontario in servizio civile presso la Caritas di Ragusa, ho avuto prova dei grossi limiti del sistema della didattica a distanza, avendo fornito il mio contributo come insegnante di doposcuola ad alcune ragazze e ad alcuni ragazzi di diverse età.
Ho notato come l’assenza della vita quotidiana di classe, del supporto di un docente, abbiano avuto pesanti ripercussioni in queste poche settimane sul livello di apprendimento di questi ragazzi e la mancanza di pc e smartphone, forniti successivamente dalla Caritas, avrebbe senza ombra di dubbio compromesso fortemente il loro rendimento a scuola. Drammatica, poi, nella zona della fascia trasformata, l’assenza di qualsiasi tipo di supporto ai figli dei braccianti agricoli che senza questo genere di aiuto non avrebbero avuto modo di concludere l’anno scolastico.

Gli interrogativi, però, restano. Quante ragazze e quanti ragazzi sul territorio italiano non hanno potuto usufruire di alcun tipo di contributo per aderire alla didattica a distanza? Quanti siano rimasti privi della possibilità di partecipare alle lezioni o fare i compiti per la mancanza di un pc e una stampante? Quanti non possano usufruire di una connessione internet.
Se la situazione scolastica dovesse rimanere invariata anche a settembre, si rischia di permettere solo a chi possiede i mezzi informatici l’accesso all’istruzione, fatto che creerebbe danni inimmaginabili all’intera società e ne acuirebbe ancora di più la frammentazione e gli attriti tra le parti sociali.

Sebastiano Cugnata

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