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Dall’America all’Italia al grido di “I can’t breathe”

“Il bianco moderato mi ha profondamente delusoscriveva in una lettera dal carcere di Birmingham Martin Luther King, il 16 aprile del 1963. Sono quasi giunto alla deplorevole conclusionecontinua il testoche lo scoglio più duro, nella marcia del Negro verso la libertà, non è un’appartenente al “White Citizens Council” o un membro del Ku Klux Klan, ma il bianco moderato, il quale mostra più devozione all’ordine che alla giustizia; che preferisce una pace negativa che è assenza di tensione a una pace positiva che è presenza di giustizia”.

Il leader delle proteste afroamericane per i diritti civili aveva scritto questa lettera in risposta alla dichiarazione pubblicata in un giornale da otto pastori dell’Alabama, i quali gli criticavano di aver violato la legge durante le marce pacifiche, condotte nella stessa Birmingham, contro la segregazione razziale. Oggi però, a distanza di quasi sessant’anni il bianco moderato a cui fa riferimento M.L. King sembra essere più vivo che mai. Per fortuna le nuove generazioni sembrano avere un atteggiamento diverso e lo abbiamo visto qui in Italia, dove nelle piazze di tante città studenti e giovani, bianchi e neri hanno protestato insieme al grido di “I can’t breathe”, richiamando le ultime parole dette da George Floyd prima di essere barbaramente ucciso. Un’onda giovane e fresca che in Italia, ma anche in Inghilterra, Belgio, Germania e Francia ha portato migliaia di ragazzi per le strade a sostegno della causa Black Lives Matter. Un movimento mondiale per combattere il razzismo, fattosi sistema negli Stati Uniti e anche in alcuni paesi europei, avvelenando le radici democratiche delle istituzioni.

Il bianco moderato a cui faceva riferimento M. L. King corrisponde alla generazione che fino a pochi anni fa era dentro le istituzioni e anche tutti quelli fuori dai palazzi che sono rimasti a guardare mentre i loro concittadini continuavano a subire ingiustizie sotto i loro stessi occhi. L’uomo bianco moderato ha fatto poco se non nulla per cambiare la condizione economica e sociale degli afroamericani, lasciati a combattere un sistema troppo più grande di loro. Nel migliore dei casi, l’uomo bianco si è sciacquato la bocca con proselitismi e parole poi andate dissolte nell’aria. E così, oggi, stupisce ancora vedere un video di un poliziotto bianco che con aria fiera soffoca fino alla morte un nero durante il suo arresto. Stupisce vedere che la maggioranza delle oltre 100,000 vittime di coronavirus negli Stati Uniti siano persone di origine afroamericana. Stupisce, ancora una volta, avere cittadini di serie A che grazie al loro reddito alto o medio alto possono accedere ai migliori servizi offerti dalla società americana e cittadini di serie B che a quei servizi (sanitari e d’istruzione in primis) non possono accedervi e a cui rimangono le briciole di un tramontato mito del successo americano.

Oggi però siamo noi giovani bianchi e neri i volti di queste proteste, quelli che prima o poi, quando i bianchi moderati lasceranno le loro grasse poltrone occuperanno i centri del potere decisionale in cui si possono cambiare realmente i passi della storia. Sta a noi, nei prossimi anni, non prendere le sembianze dell’uomo bianco moderato adagiato nel suo orticello e nel suo benessere a cui M. L. King attribuiva le complicità con un sistema segregazionista. Abbiamo la responsabilità di riscattare le prossime generazioni dalle disuguaglianze economiche, dal pregiudizio e dalla violenza dell’odio. Che sia però un processo democratico guidato dai neri, dagli emarginati e dagli esclusi. Forse, questa volta, la figlia di Floyd ha ragione quando sorridendo sopra le spalle di suo zio ha detto:“Dad changed the world”.

Youssef Hassan Holgado

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