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#100passiversoil21marzo: il punto sui beni confiscati

Il tema della confisca e il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie è tornato al centro del dibattito pubblico viste le ripercussioni sociali sui lavoratori, sulle famiglie e sul tessuto economico di intere comunità in cui le mafie gestiscono dei capitali. Per questo motivo a Ragusa lo scorso 28 febbraio le sezioni locali di Libera, CGIL e Banca Etica si sono incontrate presso il Centro Polifunzionale della città per un evento dedicato alla “storia, gestione, futuro” dei beni confiscati, in vista della lunga marcia verso la “Giornata della Memoria e dell’Impegno”. Una marcia che si allunga ulteriormente in seguito allo slittamento dal 21 marzo al 23-24 ottobre deciso di concerto con le istituzioni per motivi di sicurezza sanitaria legati alla presenza del Coronavirus sul territorio nazionale.

Tatiana Giannone, segretaria nazionale di Libera, ha ripercorso le tappe di un processo avviato dalla legge 109/1996 e che si intreccia strettamente con la stessa nascita di Libera. L’associazione nasce nel 1995 come coordinamento di associazioni, scuole, università e sindacati in un periodo storico fortemente segnato dallo stragismo mafioso. Per questo motivo il ricordo di tutte le vittime innocenti della mafia è stato da sempre al centro della sua attività, ma non solo. Un altro impegno della prima ora è stata la raccolta di firme per chiedere di affiancare al 416-bis la possibilità di riutilizzare socialmente i beni confiscati promossa da Don Ciotti: una legge di iniziativa popolare da oltre un milione di firme, dunque, che divenne poi la legge 109/96. Una storia che ha condotto fino al Nuovo Codice Antimafia del 2017 che introduce la novità degli amministratori giudiziari e una maggiore trasparenza per i comuni, obbligati a rendere pubblici gli elenchi dei beni confiscati nel loro territorio. Una disciplina toccata anche dai due decreti “sicurezza” del precedente governo che hanno introdotto la vendita dei beni confiscati. Una misura fortemente criticata da Libera poiché la vendita “al miglior offerente” senza procedure controllate potrebbe vanificare il lavoro delle forze di polizia. Una digressione sui numeri da parte della Giannone ha messo in evidenza di come le confische siano avvenute in tutto il territorio nazionale e abbiano fatto emergere la presenza di attività mafiose anche in Regioni che ne sembravano immuni. La segretaria di Libera ha sottolineato come la mappatura dei beni e la loro gestione da parte di associazioni, scuole e della comunità locale ha restituito esempi di riqualificazione di quartieri degradati (vedi Genova e Roma) con un ritorno sociale ed economico che è passato attraverso il dialogo delle realtà locali con le istituzioni. Un dialogo non sempre facile, pieno di incomprensioni e difetti ma che si rivela fondamentale per la corresponsabilità della comunità e il monitoraggio civico di questi beni.

Salvatore Lo Balbo, responsabile del dipartimento “territorio aziende sequestrate e confiscate” di CGIL Sicilia, ha riflettuto sulla necessità di non isolare la repressione poliziesca del fenomeno mafioso, che dopo gli attentati a Falcone e Borsellino, ha cominciato a dare i suoi frutti. Lo Balbo si rifa ai numeri, denunciando il mancato aggiornamento dei dati del 2017 da parte del Ministero della Giustizia. Stando a quei dati, i beni sequestrati e confiscati in via definitiva sono all’incirca 7.000, ma questo non significa automaticamente che siano riutilizzati. Di quei circa 7.000 beni la metà si trova in Sicilia. Nella ex provincia di Ragusa, le aziende confiscate in via definitiva sono soltanto quattro, di cui due sono le aziende ancora attive e gestite dall’ANBSC (l’agenzia nazionale dei beni confiscati).

“Può la montagna partorire questo topolino?” si interroga Lo Balbo che, seppur riconoscendo il valore delle esperienze positive messe in luce dalla relatrice che lo ha preceduto, risponde lapidariamente al titolo della conferenza:“Storia? Positiva. Gestione? Fallimentare. Futuro? O cambiamo, o chiudiamo”. L’appello per un futuro di forte autocritica da parte delle istituzioni e dello stesso movimento antimafia chiude, in sintesi, il suo intervento.

Gabriele Vaccaro, consulente finanziario di Banca Etica, riporta nuovamente l’attenzione sulle difficoltà relative all’amministrazione giudiziaria di beni confiscati come le aziende, nelle quali “si entra in un treno in corsa che va messo nei binari della legalità il più velocemente possibile”. Come venirne fuori? Vaccaro propone due esperienze positive di amministrazione giudiziaria nel territorio, come Geotrans ed M.P. Trade che si sono avvalse di un modello ispirato alla stabilità della sedia. “Servono quattro piedi” dice Vaccaro: amministratore capace; empatia con i lavoratori; il voto-portafoglio, ovvero la paura che la maggior parte dei clienti dell’azienda vada via in conseguenza dell’amministrazione giudiziaria e una banca etica che non si tira indietro a fornire dei prestiti ad un’impresa sequestrata e in amministrazione giudiziaria.

Le risorse per supportare la restituzione di questi beni alla società, dunque, non mancano. Ci sono delle realtà cooperative che puntano sull’economia civile, i PON sicurezza e legalità per le imprese delle regioni meno sviluppate, i fondi strutturali europei, i fondi provenienti dai soldi sequestrati ai mafiosi. Non si può dire che “i soldi non ci sono”, non si può più ricorrere alla narrazione di una crisi economica perenne quando questi fondi pubblici in Sicilia registrano giacenze di quasi il 60%. Manca piuttosto una volontà politica.

Il dibattito è confluito, infine, sulla necessità di completare l’intervento giudiziario ed economico con una battaglia culturale che parte fin dall’educazione scolastica e che serve a liberarsi di una certa mentalità individualistica e prevaricatrice che è più diffusa di quanto pensiamo. L’iniziativa ha riportato l’attenzione di coloro che si interessano all’antimafia su problemi concreti e, evitando delle vuote retoriche, ha fatto sorgere delle criticità e riattivato l’esigenza di comunità che sembra essersi gravemente smarrita nel gioco economico neoliberista, persino in un territorio mediterraneo che si è sempre fondato sui rapporti di solidarietà.

Massimo Occhipinti

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