Il 28 gennaio il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha reso pubblico un piano per risolvere la questione israelo-palestinese. Una soluzione a due stati, in elaborazione da giugno. Il piano prevede il riconoscimento di Gerusalemme come capitale indivisibile dello Stato di Israele che potrà annettere parti dei Territori Occupati in Cisgiordania parallelamente ad alcune concessioni territoriali. In cambio verrà riconosciuto uno Stato Palestinese che potrà stabilire la propria capitale nei quartieri arabi di Gerusalemme Est con la promessa di un’ambasciata americana e un piano di investimenti di 50 miliardi per lo sviluppo dei territori palestinesi.
L´offerta apparentemente generosa è stata definita dallo stesso Trump come l’accordo del secolo. Un accordo che, però, si è svolto solamente in presenza dell´attuale premier israeliano, Benjamin Nethanyahu, e del suo principale competitor alle imminenti elezioni di marzo, Benny Gantz. Assente il presidente dell’ANP Maḥmūd ʿAbbās, che dal dicembre 2017 ha sospeso i rapporti diplomatici con gli USA in seguito al riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele e del trasferimento dell’ambasciata statunitense.
La ʺCittà Santaʺ delle tre grandi religioni monoteiste è tuttora rivendicata sia da Israele sia dall’Autorità Nazionale Palestinese come propria capitale. Ma Tel Aviv e Ramallah sono quelle riconosciute a livello internazionale. I conflitti armati degli ultimi tre decenni del 2000 hanno portato al riconoscimento della sovranità israeliana su Gerusalemme Ovest. Per quanto riguarda la parte orientale diverse risoluzioni ONU e il Tribunale dell’Aia hanno definito Israele come una forza occupante. Una occupazione che si è inasprita con la continua costruzione di insediamenti riservati agli israeliani a Gerusalemme Est e in Cisgiordania (vedi la mappa di Aljazeera America). Abbastanza recente (dicembre 2016) è del resto la risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che condannava la politica di insediamenti nei territori palestinesi definiti in seguito agli Accordi di Oslo.
I cosiddetti Confini del ´67, ovvero quelli precedenti alla Guerra dei Sei Giorni, comprendono Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza e sono quelli riconosciuti dalle Nazioni Unite in mancanza di altri tipi di negoziato. Un negoziato che non vede d´accordo i palestinesi non può definirsi tale: “Trump vuole imporci qualcosa che non vogliamo. Non mi resta molto da vivere e non voglio essere un traditore. Abbiamo detto no e continueremo a farlo, a qualsiasi accordo che non preveda la soluzione di due stati basata sui confini del 1967” ha dichiarato il presidente dell´ANP .
Il piano di spartizione annunciato da Trump stravolge questi confini, distribuisce in maniera sbilanciata le risorse della regione e non pone le basi per un reale processo di pacificazione. Questo per almeno due motivi: l´ostilità annunciata dall’organizzazione fondamentalista di Hamas e le conseguenze sugli attuali rapporti di forza nel Medio Oriente. Un accordo del genere, favorevole ad Israele e sostenuto da alcuni paesi sunniti come l’Arabia Saudita, metterebbe altra carne sul fuoco. Forse l´Iran non è stato ancora punzecchiato a dovere? (Qui le reazioni dei vari leader mondiali)
Secondo i malpensanti l´annuncio dell´accordo seguirebbe una tempistica squisitamente politica: in settimana la parola alla difesa nel processo per l´impeachment di Trump e a marzo le elezioni per il rinnovo del Knesset in Israele dove il presidente Nethanyahu è anche incriminato per corruzione.
Mentre migliaia di palestinesi protestano inaugurando ʺGiorni di rabbia e lotta illimitataʺ, l’ANP si appella alla Comunità internazionale per “l’immediato riconoscimento di uno Stato palestinese entro i confini del 1967 con capitale Gerusalemme est”. Particolarmente importante sarebbe il riconoscimento da parte dell’Unione Europea che non è ancora avvenuto ufficialmente. Diversi stati membri hanno già seguito l’iniziativa della Svezia, che è stata la prima tra i paesi europei a riconoscere la Palestina nel 2014. E l’Italia? Ancora no. Sebbene nel 2015 sia stato avviato un dibattito per il riconoscimento della Palestina all‘epoca la Camera dei Deputati approvò due mozioni tra loro contrastanti.
Massimo Occhipinti
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