Riceviamo e pubblichiamo l’intervento del presidio di Libera Ragusa “Daphne Caruana Galizia ” in occasione della manifestazione “Ragusa non dimentica” del 19 luglio 2019.
Le settimane che hanno preceduto la giornata di oggi sono state intense e ci hanno costretto a uno sforzo di elaborazione non indifferente.
Vogliamo partire, come sempre, da un concetto che riteniamo fondamentale: parte della classe dirigente egemone in questa città, per connivenza forse, per incompetenza più semplicemente, ha preferito troppo spesso “mettere le fette di prosciutto sugli occhi”, rendendo opaca la propria capacità di analisi del territorio e la percezione da parte della popolazione.
Lo ha fatto e lo ha dichiarato – “io avrò le fette di prosciutto sugli occhi, ma la mafia a Ragusa non esiste” – per mantenere intatta la parvenza del quieto vivere, basato sull’individualismo puro, e producendo così quelle che noi chiamiamo (non ci stancheremo mai di ripeterlo) “salumerie delle coscienze”.
Ragusa è così diventata un “intestino silenzioso”, abituata a digerire tutto dalla bocca dell’indifferenza, della sopraffazione, della subordinazione alla cultura mafiosa. E non ce ne siamo accorti.
Eppure, non sono mancati i casi che ci avrebbero dovuto provocare un sussulto, come persone e come comunità. Senza dover ritornare indietro agli anni ’60 o alla storia della presenza mafiosa in provincia di Ragusa, ci basta segnalare alcuni fatti – nel caos delle opinioni, ripeto, fatti – più o meno recenti, che continuano a ripercuotere i loro effetti sul presente.
Tra la fine degli anni 2000 e l’inizio del 2010 Vito Nicastri, il re dell’eolico, prestanome di Matteo Messina Denaro – lo stesso Vito Nicastri che oggi è legato alle vicende che riguardano Paolo Arata – ex consulente della Lega per l’energia, accusato di corruzione, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni – e il deputato Armando Siri – già sottosegretario alle infrastrutture leghista, indagato per corruzione – aveva intenzione di proporre alcuni affari al nostro comune: l’eolico sarebbe stato, come amano ripetere certi politici, il volano dell’economia locale.
E per convincere la politica locale l’imprenditore Nicastri ha deciso di sponsorizzare uno dei più importanti eventi della città, quello che ci rappresenta nel mondo (per intenderci).
Poi, avrebbe pagato una cena con i dipendenti comunali, promossa dall’amministrazione di allora. Ciò, in particolare, era emerso in un Consiglio Comunale grazie a un coraggioso consigliere d’opposizione, subito messo a tacere. Negli anni, però, questo consigliere se n’è dimenticato, dovendo fare i conti con alcuni cambi di casacca.
Dell’eolico a Ragusa non se ne fece nulla. Si costruì un porto, turistico, fiore all’occhiello della nostra città, tanto da essere pubblicizzato nelle trasmissioni che fanno promozione del territorio. Ma non è stato tutto così semplice: da un lato, l’azienda che ha costruito quel porto è stata sequestrata prima, e confiscata poi, perché legata a doppio filo agli affari delle più importanti famiglie mafiose siciliane: da Angelo Santapaola a Matteo Messina Denaro, “avrebbe fatto da tramite per introdurre la mafia nel mercato economico”. Dall’altro lato, nel 2013, sono stati arrestati 3 appartenenti alla Stidda (Salvatore Fede, Salvatore Cannizzo e Filippo Ventura) per estorsione aggravata ai danni di una ditta che eseguiva, in sub-appalto, i lavori al porto. C’era persino stato un incontro tra gli stiddari ed esponenti del clan Santapaola per capire di chi fosse la competenza ad estorcere il denaro.
Ed ancora, non possiamo tacere del traffico di stupefacenti (cocaina, hashish e marjuana) e di armi (l’ultimo arsenale è stato sequestrato a fine maggio 2019, più di 2000 munizioni e 30 armi tra fucili e pistole) che interessa la nostra provincia da diversi anni ormai. Le rotte catanesi, che oggi sono più che mai legate alla criminalità albanese, e quelle maltesi, portano sul territorio ibleo fiumi di stupefacenti e armi che si tramutano in fiumi di denaro. Le operazioni di polizia sono state innumerevoli, eppure le organizzazioni criminali hanno sempre trovato strade alternative come, ad esempio, nella produzione in serra.
La nostra provincia, poi, è interessata da fenomeni criminali legati sia all’ambiente (sono decine le discariche abusive rinvenute negli ultimi mesi nel territorio di Ragusa), sia al riciclaggio di denaro.
Per quest’ultimo, è necessario citare le operazioni che hanno smantellato la fitta rete di relazioni tra criminali locali e i clan Santapaola-Ercolano e Cappello di Catania sui centri scommesse e il dato emerso dal rapporto della UIF – Unità d’Informazione Finanziaria -, autorità centrale antiriciclaggio istituita presso la Banca d’Italia, che vede Ragusa 1^ in Sicilia per numero di operazioni bancarie anomale, addirittura tra le province più attive in Italia: oltre 70 operazioni anomale ogni 100 mila abitanti!
Senza dover considerare, sia pure come indizio, l’elevata densità di sportelli bancari: 1 ogni 3200 abitanti; più di Palermo, dove ce n’è 1 ogni 3700 abitanti!
A fronte di tutto ciò assistiamo, forse finalmente, allo sgretolarsi della banale retorica sulla legalità, quella che ama riempirsi la bocca di parole come “leggi (“utilizzeremo gli strumenti di legge”), sicurezza, ordine”, salvo perdere di vista il ruolo che ha la legalità nell’ordinamento: quello di strumento per il raggiungimento della giustizia, della giustizia sociale in particolare.
Ed è così, anche a causa di questo disorientamento circa il sistema di valori inderogabili su cui è imperniato l’ordinamento costituzionale italiano, che assistiamo agli avvisi di garanzia nei confronti di certi magistrati, che hanno svolto servizio anche presso la Procura di Ragusa, perché, secondo l’accusa, avrebbero avuto un ruolo decisivo in quello che è stato definito, dalla sentenza Borsellino-quater, “uno dei più grandi depistaggi della storia repubblicana”.
Allo stesso modo, alcuni appartenenti alle forze dell’ordine vengono indagati per corruzione, accesso abusivo a sistemi informatici in uso alla polizia e rivelazione di segreto d’ufficio, come è avvenuto qualche giorno fa a Gela, durante l’operazione “Camaleonte”, che ha portato all’arresto per concorso esterno in associazione mafiosa e al sequestro dei beni della famiglia Luca, ritenuta dalla DDA di Caltanissetta vicina al clan Rinzivillo.
E lo capiamo, il nemico ci è innanzi, più forte che mai. Ha persino preso le nostre parole e ne ha tramutato il significato. E noi siamo costretti a trovarne altre di parole, a fare ancora una volta uno sforzo di elaborazione e di comunicazione.
Ma sappiamo che non esiste altra risposta se non la nostra, quella che procede dallo studio dei fatti e dall’analisi dei fenomeni, distinguendo per non fare confusione, penetrando nella complessità delle vicende: non tutto è semplice e immediato, non possiamo permetterci, come comunità sensibile al valore della legalità come giustizia sociale, di accontentarci della banalità della propaganda.
Questo è lo sforzo che stasera, come in ogni altra occasione, chiediamo a tutti e a ciascuno di noi.
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