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Keynes ci aveva avvisato: educazione al tempo libero e meno ore di lavoro

Recentemente il Presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, ha rilasciato una dichiarazione che è stata sottovalutata e anche criticata, ma che ha una rilevanza importante: “la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, può funzionare come leva per ridistribuire ricchezza e aumentare l’occupazione”. In realtà uno dei primi, se non il primo, a parlare di diminuzione di ore di lavoro è stato il più importante economista del Novecento, John Maynard Keynes. L’inventore della macroeconomia, in un discorso tenuto nel giugno del 1930 a Madrid dal nome “Economic Possibilities for our Granchildren” ha espresso tutta la sua preoccupazione per il futuro mondo del lavoro in cui si troveranno le prossime generazioni. È un discorso talmente importante, efficace e rivoluzionario per quei tempi, che è stato inserito anche nel nono volume, dal titolo Essays in Persuasion, della raccolta di scritti (Collected writings) dell’economista britannico. Il discorso è stato tenuto un anno dopo il crollo della borsa di Wall Street, che ha messo in ginocchio non soltanto la finanza e l’economia statunitense ma anche quella europea che ne era dipendente. Proprio perché è stato sostenuto in un periodo di crisi il suo messaggio si poneva in controcorrente e come una voce fuori dal coro.

Il discorso

Keynes inizia il suo ragionamento accusando il crescente allarmismo di tutti quei pessimisti che considerano la crisi economica come irreversibile. Non è nemmeno d’accordo con chi è convinto che il progresso economico dell’Ottocento fosse in declino e che il tenore di vita borghese sarebbe andato in decadenza. Secondo lui il momento buio attraversato dalla finanza e dall’economia mondiale era il risultato di “una crescita fatta di mutamenti troppo rapidi” soffriamo di “dolori di riassestamento da un periodo economico a un altro”. “L’efficienza tecnica – continua Keynes – è andata intensificandosi con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a risolvere il problema dell’assorbimento della manodopera; il miglioramento del livello di vita è stato un po’ troppo rapido; il sistema bancario e monetario del mondo ha impedito che il tasso d’interesse cadesse con la velocità necessaria al riequilibrio”.

Una dura critica alla spaventosa crescita permessa grazie al sistema economico capitalistico che ha affondato le sue radici nel XVI secolo ed ha continuato ad evolversi nei secoli seguenti, sino ad arrivare al Novecento sostenuto da un ordine politico liberale. Tutto ciò ha portato ad una crescita incontrollata, basti pensare al boom economico degli anni 60 in cui una sovrapproduzione spietata ha diffuso un consumismo scellerato di beni di cui nemmeno se ne aveva il reale bisogno, riducendoci ad “un occhio che vede e uno stomaco che divora” come scrisse Terry Eagleton in un suo saggio sull’ideologia. Keynes pone e indirizza verso i suoi ascoltatori due importanti quesiti: “Quale livello di vita economica possiamo ragionevolmente attenderci fra un centinaio d’anni? Quali sono le prospettive economiche per i nostri nipoti?”.

In questo suo importante discorso, Keynes risulta profetico quando afferma che nelle prossimi decadi “potremmo essere in grado di compiere tutte le operazioni dei settori agricolo, minerario, manifatturiero con un quarto dell’energia umana che eravamo abituati a impegnarvi”. Non è infatti una rara eccezione l’automatizzazione del lavoro dovuto all’utilizzo di macchine e robot che sostituiscono le braccia dell’uomo. Proprio in questi giorni il CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) ha affermato che l’uso della robotica nel settore agricolo produrrà un business pari a 30 miliardi nei prossimi 3-5 anni. Infatti, terreni agricoli interamente gestiti da macchine sono già realtà. Il progetto “Hands Free Hectare” a Birmingham si pone l’obiettivo di arare e coltivare piante esclusivamente con macchinari e tecnologie avanzate. Inutile dire che questo avrà un impatto impressionante in termini lavorativi, dato che ad esempio in Italia i braccianti e i lavoratori impiegati nel settore agricolo ogni anno sono circa 1 milione e 385 mila (dati del 2017). Questi nuovi disoccupati sono e saranno il risultato di ciò che Keynes definì con il termine disoccupazione tecnologica. “Il che significa – spiega il macroeconomista- che la disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera”.

Strumenti economizzatori che miglioreranno il livello di vita nei paesi in progresso “da quattro a otto volte superiore a quello odierno” secondo l’economista. Se questa notizia può sembrare molto positiva possiede anche un aspetto che dobbiamo tenere in considerazione. Ovvero, dobbiamo essere guardinghi nell’assecondare i nostri bisogni che Keynes distingue in assolutie relativi. Quest’ultimi sono quelli più pericolosi, perché “soddisfano il desiderio di superiorità” il che li rende inesauribili “poiché quanto più alto è il livello generale, tanto maggiori diventano”. Invece, i bisogni assoluti sono quelli basilari della natura umana, quindi più facili da soddisfare. Secondo Keynes, nel momento in cui li soddisfiamo, siamo disposti a dedicare più tempo ad altre attività a scopo non economico. Da qui deriva la sua soluzione a questa contraddizione interna e morale dell’economia capitalista: lavorare meno per iniziare ad educarci al tempo libero.
Perché nel momento in cui risolveremo il problema economico “l’umanità rimarrebbe priva del suo scopo tradizionale” ovvero quello di risolvere il suddetto problema. Può essere un bene? “Se crediamo almeno un poco nei valori della vita -risponde Keynes- si apre per lo meno una possibilità che diventi un bene. Eppure io penso con terrore al ridimensionamento di abitudini e istinti nell’uomo comune, abitudini e istinti concresciuti in lui per innumerevoli generazioni e che gli sarà chiesto di scartare nel giro di pochi decenni”. Perché per la prima volta “l’uomo si troverà di fronte al suo vero, costante problema: come impiegare la sua libertà dalle cure economiche più pressanti, come impiegare il tempo libero che la scienza e l’interesse composto gli avranno guadagnato, per vivere bene, piacevolmente e con saggezza”. Le parole di Keynes pronunciate quasi novanta anni fa suonano di una attualità impressionante quando afferma che: “Per troppo tempo, infatti, siamo stati allenati a faticare anziché godere. Per l’uomo comune, privo di particolari talenti, il problema di darsi un’occupazione è pauroso, specie se non ha più radici nella terra e nel costume o nelle convenzioni predilette di una società tradizionale”. Perciò turni settimanale di 15 ore, con 3 ore al giorno, come proposto dall’economista britannico, è ciò che riuscirà a farci sentire parte della razza umana, sempre se riusciremo a godere i frutti del tempo che abbiamo a nostra disposizione. Parlare di 15 ore settimanali rimane abbastanza utopico e molto improbabile al momento, ma è il concetto di base che ci interessa di approfondire.

Lo scenario italiano

Ovviamente in Italia il problema è leggermente diverso, il lavoro manca, come ben ne siamo a conoscenza, e non solo per via dell’automatizzazione. Diminuire le ore di lavoro a parità di salario andrebbe a ridurre notevolmente l’alto tasso di disoccupazione italiano e si profilerebbe come una buona soluzione. Infatti, secondo il sociologo Domenico De Masi, se lavorassimo lo stesso ammontare di ore di quelle impiegate dai lavoratori francesi (35 ore), produrremo circa 4 milioni di posti di lavoro in più, proprio per questo iniziare a pensare ad orari ridotti di lavoro è importante e già accade in alcuni Paesi dell’Unione Europea. Basti pensare che in Olanda si lavora quattro giorni a settimana per 29 ore di lavoro a fronte di 33 ore settimanali in Norvegia. Numeri che sono abbastanza lontano dalle 40 ore italiane (che spesso e volentieri arrivano al tetto massimo imposto per legge di 48 ore), anche se c’è una leggera speranza che il nostro Governo abbia preso finalmente coscienza del fenomeno. In questo i 5 Stelle si sono appropriati dei pilastri fondamentali della sinistra che negli ultimi anni ha eliminato dal dibattito politico nazionale tematiche importanti quali ad esempio l’introduzione del salario minimo e l’aumento dei contratti a tempo indeterminato. Perciò, educare al tempo libero e ridurre gli orari di lavoro potrebbe essere una soluzione rivoluzionaria e necessaria. Altrimenti, ci riduciamo a “vivere per lavorare” senza godere dei frutti delle nostre fatiche.

Youssef Hassan Holgado

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