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“Sogni di un uomo”: la storia di Soumaila Diawara

“Di Bamako ricordo la mia famiglia, i miei amici e di quando, dopo il lavoro, andavamo a prendere il tè insieme” racconta Soumaila con gli occhi lucidi. Soumaila Diawara è un ragazzo maliano appena trentenne, dagli occhi scuri e dal fisico aitante. Laureato in Scienze giuridiche a Bamako, gestisce la comunicazione della Solidarité Africaine pour la Démocratie et l’Indépendance, partito marxista con 5 seggi nel Parlamento maliano. Accusato di aver tentato di aggredire il Presidente dell’Assemblea legislativa, a seguito del colpo di Stato del 2012, fugge dal Paese. Nel 2014 parte dalla Libia a bordo di un gommone e dopo il soccorso della Marina italiana approda in Sicilia. Ottiene lo status di rifugiato e pubblica in maniera indipendente Sogni di un uomo, cui seguirà un secondo libro di poesie, La nostra civiltà. Incontriamo Soumaila all’isola pedonale del Pigneto, a dieci minuti dalla stazione centrale di Termini.Il vento picchia forte e le cartacce del mercato volano dappertutto. Ci rintaniamo in un caffè letterario.

Dopo essere fuggito dal Paese decidi di imbarcarti dalla Libia, perché hai scelto l’Italia?
L’obiettivo era quello di salvarmi la vita. In Libia, stavo per comprare il biglietto per la Svezia, per la quale ero riuscito ad ottenere un visto, ma sono stato arrestato e incarcerato per dieci giorni, perdendo tutti i miei documenti. Una volta arrivato in Italia, a causa del regolamento di Dublino non potevo spostarmi e così mi sono integrato.

Qui porti avanti varie iniziative; la militanza politica è parte importante della tua personalità: da chi ti è stata trasmessa?
Mia nonna faceva parte del primo movimento femminista del Mali. Sono cresciuto con questa educazione e formazione politica. Per me è un dovere civico combattere un sistema che oggi non va bene né per gli africani né per gli occidentali. Ovunque sarò, continuerò la mia lotta politica contro il sistema capitalista.

A proposito di lotta politica, cosa significa essere attivista e militante d’opposizione in Mali?
Non è facile conoscendo i rischi che puoi correre. Continue sono le sparizioni di attivisti e giornalisti. Dopo sei anni di lavoro con il partito avevamo creato una rete con la gioventù all’interno di altri partiti. Questa rete dava molto fastidio al governo perché forniamo una comunicazione chiara alla gente, raccontandogli come stavano realmente le cose.

E poi, cosa è successo?
Abbiamo continuato a combattere il sistema, fin quando non è scoppiata la guerra in Libia. Da quel momento la Nato ha messo in mano ai ribelli 40 tonnellate di armi, che sono arrivate fino in Mali dove è scoppiata la guerra, a cui, ancora una volta, è seguito un colpo di Stato nel marzo del 2012. Durante la transizione democratica abbiamo organizzato una conferenza nazionale dove avremmo deciso chi fosse il Presidente, carica occupata nel frattempo dal Presidente del Parlamento. L’aggressione a quest’ultimo era una scusa per far fuori l’opposizione e così tante persone sono finite in carcere o scappate come me.

Attraverso la scrittura hai trovato un modo per denunciare le ingiustizie anche da qua. Quando hai iniziato a scrivere?
All’inizio era un modo per denunciare, come facevo in Mali, la situazione politica africana. Poi i miei amici mi hanno incoraggiato a pubblicare i miei pensieri. Inizialmente, ero titubante ma poi mi sono detto che forse le persone sono interessate a leggere ciò che scrivo. E così, una volta che ho raccolto tutto il materiale ho scritto questo libro che è una raccolta di poesie. Ma quando mi chiedono che tipo di poesie sono gli dico che le mie sono diverse (ride ndr.), sono politiche, non siete abituati a sentirle.

Sogni di unuomo” è il tuo primo libro. Quei sogni, sono i tuoi?
Mi rivolgo all’essere umano in generale, non soltanto me stesso.

E qual è il tuo sogno invece?
Il mio sogno è che ognuno possa vivere in sicurezza, abbia il diritto alla casa, all’istruzione, non muoia di fame o sia costretto a dormire per strada, come accade in Africa, soprattutto ai bambini. Bambini che sono il futuro di questo mondo e che invece di essere sfruttati nelle miniere dovrebbero andare a scuola.

Sta uscendo un tuo secondo libro…
Il titolo sarà “La nostra civiltà”, si concentra su tematiche spesso imposte nella nostra società come la religione, la politica, il denaro. C’è una parte in cui critico l’ipocrisia della politica italiana. 

A proposito di politica, cosa significa oggi essere un immigrato in questo Paese?
Oggi si vive una situazione abbastanza difficile. Sento dire che essere un immigrato è sinonimo di inferiorità e che è colui che deve lavorare nei campi o fare lavori sottopagati. Negli ultimi anni sono cambiate tante cose nella politica italiana e questo ha portato molte persone, che non capiscono quali siano i reali problemi del Paese, ad avere un atteggiamento d’odio nei confronti di altri esseri umani come loro, che non hanno colpe e vivono la stessa condizione di povertà.

Cosa può fare la politica italiana per cambiare la rotta?
Non potrà cambiare tante cose, è il popolo che potrà farlo. La politica si adegua a quello che il popolo vuole, quando questo fa delle proposte e la politica non si adegua, quest’ultima se ne va a casa. In questo Paese è il popolo che deve dire “ci siamo stufati delle vostre balle”.

Cosa pensi della critica del M5S sul Franco Cfa?
Il Franco Cfa è un problema, ma non è l’unico. Le banche finanziano le guerre, i dittatori sono sostenuti a livello internazionale e le multinazionali sfruttano e inquinano i territori. Dobbiamo riconoscere le colpe di ogni Paese, che hanno portato il continente alla situazione drammatica di oggi.

Ritorneresti in Mali?
Se avrò la sicurezza che potrei ritornare, un giorno lo farò. Non avendo alternative, continuerò la mia battaglia da qua.

Youssef Hassan Holgado

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