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“Io Khaled vendo uomini e sono innocente”

Khaled è un trafficante di esseri umani, il suo business sono i migranti. Li compra dai dirigenti delle carceri, dove sono imprigionati in attesa di partire, e poi li carica sui gommoni, quelli che arrivano sulle nostre coste. Assiste a pestaggi e stupri, a volte è lui stesso l’autore di atti così aberranti. Nonostante ciò, Khaled è diverso, è cinico e indifferente, ma cerca di non diventare un mostro come gli altri trafficanti ed è astuto tanto da non essere mangiato dagli squali libici, alti funzionari e smugglers d’affari. Il suo scopo è fare i soldi, tanti, sistemare la sua famiglia e poi, forse, smettere.

Khaled è il protagonista del nuovo libro di Francesca Mannocchi “Io Khaled vendo uomini e sono innocente” edito da Einaudi. Attraverso questo racconto, risultato di anni di lavoro sul campo, la giornalista freelance e collaboratrice de L’Espresso, ci restituisce l’immagine di una Libia frammentata, fortemente divisa al suo interno, dove i territori sono controllati da milizie diverse e ingovernabili.

Il personaggio di Khaled prende forma attraverso un racconto in prima persona, in cui il trafficante si confessa, si racconta, ci mostra il suo lato più oscuro e quello più nascosto, quello del cittadino libico che prima di diventare carnefice ha imbracciato le armi della rivoluzione contro Gheddafi, sulla scia della Primavera Araba. Dalle sue parole, infatti, si percepisce tutta la delusione per il tradimento degli ideali della rivoluzione. Ideali traditi da chi ha combattuto per fare fuori ciò che fino a quel momento era il male della Libia: Santana. Questo il nome in codice usato da Khaled quando da piccolo parlava del colonnello libico, per evitare di essere scoperto.

È un libro forte, ma da leggere perché racconta un pezzo dell’Odissea di chi è alla ricerca di vita e umanità e invece si ritrova ad essere imprigionato e venduto come uno schiavo. Tutto ciò grazie al consenso del mondo Occidentale, che ha un volto istituzionale nell’Unione Europea e nei suoi leader, in particolare quelli italiani, che con i libici ci hanno stretto accordi per fermare i barconi. Un Europa troppo sorda per sentire le grida dei migranti e troppo ceca per vedere i corpi distesi (torturati o meno), gonfi come palloni, di chi non ce l’ha fatta ad attraversare il mare ed è rimasto disteso e morto, nelle rive libiche. Lo scenario è quello di una Libia contemporanea che ha cessato di esistere come Stato. Ed è proprio Khaled a dirlo: “La Libia è una giungla, un mare dove il pesce grande mangia il piccolo e non è colpa nostra. È sempre lui, Santana. Ci ha insegnato la paura e quando lui è morto, il demone che ha lasciato in ognuno di noi è emerso. Siamo tutti piccoli Santana, tutti piccoli dittatori di noi stessi”. Ma questo perché “anche se Gheddafi era un tiranno, teneva a bada tutti i demoni di questo Paese”. E ora che Gheddafi è morto, tutti i demoni sono usciti allo scoperto, ognuno alla ricerca del suo piccolo o grande pezzo di potere e siamo usciti allo scoperto pure noi, che proprio come Khaled non siamo immuni dai nostri peccati. Perché se Khaled esiste è anche grazie a noi.

Youssef Hassan Holgado

 

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