Tutte le declinazioni di cui il decreto si compone in materia di immigrazione, terrorismo e pubblica sicurezza sono l’effetto ingenerato dagli sproloqui del capo della Lega: che il Decreto Sicurezza sia rappresentazione legislativa di un’esigenza irreale è cosa assai evidente. L’insorgere di un clima di tensione e timore del resto, benché allestito dal nulla e immotivato, richiede ugualmente che ci si scervelli a trovare e offrire delle soluzioni. Nel decreto convergono molti dei cardini dell’impegno retorico del Ministro dell’Interno: dall’immigrazione alla pubblica sicurezza, in merito alla quale si segnalano l’introduzione del reato di blocco stradale, lo stanziamento di fondi straordinari a Polizia di Stato e Vigili del Fuoco e l’estensione alla Polizia Municipale dei centri con più di 100.000 abitanti della sperimentazione del taser.
Proprio la sperimentazione di pistole a impulsi elettrici è ascrivibile a una mai celata disinvoltura del Ministro in merito all’uso e alla diffusione delle armi sia per la pubblica destinazione che per quella privata, in riferimento al pur spinoso dibattito sulla legittima difesa. Il decreto, in questa sua porzione, dunque, si configura come uno dei tanti momenti di un iter che da tempo rende molto più semplice reperire e accumulare armi da fuoco per privati e rappresentanti dell’ordine costituito, e l’ulteriore diffusione dei taser è solo l’attestazione più recente di questa tendenza. In seguito all’avvio della sperimentazione di quest’ultimi, tra la primavera e l’estate del 2018 in 11 città (tra cui i capoluoghi di Campania, Lombardia e Sicilia), Amnesty International fece pervenire un comunicato in cui veniva ribadita la necessità, prima di valutare ogni provvedimento, di effettuare rigorosi controlli sulle armi e sulla loro potenziale letalità, nonché di addestrare adeguatamente gli utilizzatori, pur restando comunque inalterata una certa percentuale di rischio.
L’iter è proseguito in agosto con la pubblicazione del decreto legislativo n.104, stavolta in materia di detenzione d’armi private, il quale, in adempimento a direttive Europee, facilita sostanzialmente l’acquisto e la detenzione di armi in numero piuttosto alto (la normativa precedente consentiva la detenzione di 6 armi, ora è possibile arrivare a possederne 12, ndr), mentre a livello burocratico rende più semplice l’acquisizione del certificato di idoneità psico-fisica e del relativo rinnovo. Il decreto facilita oltretutto il processo di denuncia di detenzione d’arma da fuoco.
Appare da ciò evidente che le istituzioni stiano assecondando e agevolando una deriva pericolosa dei cui potenziali effetti proliferano evidenze negli Stati Uniti. Oltreoceano si sta pagando il fio per la fiacchezza e superficialità con cui è stata gestita la diffusione delle armi in passato e le ormai consuete carneficine, non solo a sfondo razziale, che si consumano per opera di forze dell’ordine o semplici cittadini ne sono la prova più evidente. L’Italia si sta sempre più addentrando in questo sentiero sia in merito all’uso del taser da parte delle forze dell’ordine che riguardo alla detenzione privata di armi, senza contare l’indefinitezza della regolamentazione della legittima difesa. Sull’impiego del taser sussistono del resto numerosi dubbi: benché, infatti, esso sia ritenuto generalmente meno pericoloso e più pratico in determinati contesti rispetto alle normali armi da fuoco ne è stata comprovata la potenziale letalità su soggetti schizofrenici, affetti da patologie cardiache, nonché portatori di dispositivi cardiaci quali i pacemaker.
Secondo Amnesty International sarebbero 334 i casi di morte occorsi dal 2001 al 2008 in seguito all’impiego di pistole elettriche negli USA (la autopsie sui corpi delle vittime hanno inoltre fatto rilevare che esse prima di venire colpite erano disarmate o non costituivano una minaccia tale da giustificare l’impiego del taser). Questi dati unitamente all’impossibilità dell’agente di valutare immediatamente eventuali rischi per l’incolumità del soggetto limitano e non di poco la convenienza logistica del dispositivo di coercizione. In sostanza, c’è l’effettiva probabilità che l’eccessiva fiducia nei nuovi strumenti sfoci in abusi dalle drammatiche conseguenze in maniera analoga a quanto avviene con le armi da fuoco, la criticità d’uso d’altra parte induce gli agenti a una certa prudenza. “Abbiamo chiesto al capo della Polizia – afferma Riccardo Noury portavoce di Amnesty – rassicurazioni sulla formazione degli agenti dotati del taser e anche l’inserimento, in tale formazione, di elementi clinico-sanitari sulle possibili conseguenze derivanti dall’uso del taser nei confronti di persone in condizioni fisiche pregiudicanti. A monte di questo, c’è la preoccupazione che la classificazione di “arma non letale” possa rendere disinvolto l’uso del taser, quasi fosse un’arma giocattolo, e che essa possa finire per essere l’alternativa non alla pistola classica ma al manganello”.
Dunque ogni ulteriore dotazione in termini di strumenti di coercizione, per quanto rassicuranti possano mai essere le premesse che ne accompagnano l’introduzione, pretende che si dispongano accertamenti e studi ponderati volti a verificarne la non letalità, o almeno la riduzione dei rischi, la convenienza logistica e che si organizzino corsi di preparazione mirata per il personale interessato. Ciò non scongiura, tuttavia, rischi per l’incolumità: rischi la cui percentuale, se questa tendenza ad agevolare la diffusione e modificare le dotazioni di armi non si dovesse invertire, aumenterebbe ineluttabilmente.
Vincenzo Criscione
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