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Quale “Ricordo”?

Con il termine “Foibe” si indicano i massacri compiuti ai danni della popolazione italiana della Dalmazia e della Venezia Giulia durante la seconda guerra mondiale da parte dei partigiani e dei servizi segreti jugoslavi. Queste zone erano già state rivendicate dall’irredentismo italiano, ma vennero ufficialmente annesse al Regno d’Italia soltanto dal 1920 al 1947 e sottoposte a un processo di italianizzazione con il trasferimento forzato di popolazione italiana dopo l’ascesa del fascismo nel 1922.
Nel 2004 il Parlamento Italiano ha istituito il “Giorno del Ricordo” che si celebra il 10 febbraio per commemorare le vittime di questi massacri, provocando un fiume di polemiche per gli attacchi all’antifascismo contenuti negli argomenti degli estensori. Gli accorati messaggi di solidarietà in favore degli esuli istriani e dei congiunti degli infoibati del deputato di AN Roberto Menia vennero accompagnati da riferimenti alla “difesa del confine orientale” da parte della X^ Mas e del battaglione Mussolini o all’”infame diktat di Parigi”, lasciando trasparire una precisa nostalgia geopolitica. 
Quest’ultima riaffiora anche nella scelta della data della commemorazione. Perché scegliere il 10 febbraio come simbolo di eventi concentrati in due riprese dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e nel maggio 1945?
Il 10 febbraio sembra più adatto a ricordare un altro evento. Il Trattato di Parigi del febbraio 1947 che assegnava quei territori alla Jugoslavia e che la pubblicistica neofascista dell’immediato dopoguerra biasimava come memoria di un’ingiustizia subita, ovvero la fine del fascismo. Il sospetto è, quindi, che la commemorazione delle vittime delle Foibe sia l’occasione per ritagliarsi nella scena pubblica una ritualità nostalgica che facesse da contraltare politico al Giorno della Memoria, istituito in Italia a partire dal 2000 e inevitabilmente legato ai valori dell’antifascismo. Non si vuole negare in nessun modo il ricordo e il rispetto delle vittime italiane legate a questi eventi né la solidarietà nei confronti dei loro congiunti, ma non è accettabile che questo possa essere veicolo di una retorica revancista che guardi con nostalgia al fascismo. Abbiamo già visto entrare i carri armati americani ad Auschwitz, non fateci vedere i fascisti dipinti come dei santi.

Massimo Occhipinti

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