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Lega in piazza: racconto di un dialogo surreale

La piazza soleggiata, come spesso accade la domenica mattina, è quasi vuota. Arrivo allo scoccare del mezzogiorno, scandito dal suono delle campane della cattedrale di San Giovanni: mentre i preti si affrettano nel concludere le celebrazioni. Al lato della scalinata centrale della piazza è stato allestito un gazebo. C’è un uomo di mezza età, capelli lunghi legati dietro e grigi, che, telefono alla mano, passeggia nervosamente. Percorre più volte lo spazio tra il gazebo e il limite della piazza, consumando la suola delle sue scarpe a punta, di camoscio marrone, con il tacco. La gente che vedo passare, invece, si affretta e disegna traiettorie ampie per evitare di transitare vicino al gazebo.

Sul lato sinistro della piazza, quello coperto dall’ombra del palazzo, seduti su una panchina, ci sono due signori di mezza età che chiacchierano in una lingua che non riconosco. Avvicinandomi, gli chiedo se sapessero cosa stesse accadendo davanti a loro. Sono seduti, infatti, esattamente di fronte al gazebo, popolato, in quel momento, da dodici persone. L’uomo con cui parlo mi racconta di essere di origine tunisina e di essere in Italia da 25 anni. Una vecchia giacca a quadri, con il gilet coordinato, lo coprono dal freddo ed il folto baffo bianco, da cui non riesco quasi a distogliere l’attenzione, gli contorna la bocca. Mi spiega che si tratta di “un’iniziativa della Lega di Salvini che vuole fermare l’invasione, che vuole bloccare tutti in Libia”. Gli chiedo cosa ne pensa a riguardo e la sua risposta mi colpisce particolarmente, perché utilizza le stesse parole della retorica politica. “È l’Europa che se ne dovrebbe occupare” mi dice. “L’Italia deve salvare, ma poi dove li mette? Bisogna che se ne occupa l’Europa”.

Mi avvicino al piccolo gruppo radunato attorno al gazebo e mi è ormai chiaro che l’iniziativa ha l’obiettivo di raccogliere delle firme a sostegno del Ministro dell’Interno, in riferimento al caso Diciotti, per il quale rischia fino a 15 anni di carcere.
Riconosco immediatamente Massimo Iannucci, ex vicesindaco di Ragusa con il Movimento 5 Stelle, ora esponente di spicco della Lega a Ragusa: giallo-verde ante litteram. “A Ragusa, la percezione dell’immigrazione non è positiva: la gente percepisce che non c’è controllo, perché ci sono le persone in giro”. Mi limito a segnalare il fatto che la classe politica dovrebbe avere una visione più ampia rispetto agli umori della gente. Mi dà ragione, in parte, così come quando gli chiedo cosa ne pensa circa la presunta incoerenza tra la posizione assunta dall’Italia sulla “relocation” e la propaganda del ministro.
Per farla breve, dal 2015 al 2017 l’allora governo (Renzi, prima, e Gentiloni, poi) aveva, insieme ad altri capi di Stato europei, proposto una redistribuzione obbligatoria dei migranti tra gli Stati membri a fronte di una sanzione economica per gli Stati che non avessero rispettato gli accordi: c’era stata anche una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
A giugno 2018 il governo Conte si schiera contro la revisione dell’Accordo di Dublino
(che, appunto, prevedeva la redistribuzione obbligatoria). Allo stesso modo, altri Stati europei non approvano la revisione, mantenendo in vigore il sistema previgente: redistribuzione su base volontaria e nessuna sanzione economica. Quest’ultima soluzione è la posizione dei Paesi europei cosiddetti di Visegrad (Polonia e Ungheria, soprattutto), forti alleati di Matteo Salvini in Europa. “È vero, ci sarà anche qualche discordanza – mi risponde Iannucci – tra Salvini ed Orbàn, ma io penso che si metteranno d’accordo: Salvini è un uomo risoluto e troverà sicuramente una soluzione”. Leggo nelle sue parole un affidamento totale, quasi un culto della persona di Salvini, come in passato è già stato per altri leader politici.

Ormai la discussione ha virato sugli argomenti legati alla campagna elettorale per le prossime elezioni europee. Mentre discutiamo si avvicina Grazia Di Giacomo, altra esponente del partito a Ragusa. “L’autonomia della Regione Sicilia è sicuramente il tema che porteremo avanti nelle prossime elezioni europee” mi dicono, quasi all’unisono. Rimango un po’ perplesso dalla risposta (per quale motivo l’Europa si dovrebbe occupare di una questione tra uno Stato ed una regione?) e chiedo se ci sono altri temi. “L’autonomia è sicuramente quello più forte” ribadiscono.
Nel frattempo, il gazebo si è riempito: ci sono una ventina di persone attorno ai banchetti per firmare. Si avvicinano anche due signori che chiedono informazioni. “Pensavamo fosse qualcosa di più importante” chiosano e si allontanano sorridendo.
La discussione con i due leghisti sta volgendo al termine e chiedo loro cosa ne pensano delle previsioni normative, contenute nel cosiddetto Decreto Sicurezza, sulla vendita all’asta dei beni confiscati alle mafie e sul pericolo che possano rientrare, attraverso dei prestanome, nei patrimoni delle famiglie criminali. “Bisogna proprio pensar male per immaginarsi una cosa del genere” mi ribatte Massimo Iannucci. “E poi è chiaro che ci vogliono più controlli” incalza Grazia Di Giacomo, “anche da parte del partito”. Un partito, dunque, che non solo si propone come centro d’impulso dell’azione governativa, ma che persino si fa amministrazione, si fa strumento di controllo della legalità diffusa, della giustizia, accentrando su di esso (almeno secondo quanto io abbia capito) quanti più poteri pubblici possibili.

Mi congedo da loro e mi allontano, salendo le scale che portano al sagrato della cattedrale. “Vedi di scrivere un bell’articolo, altrimenti ti vengo a cercare”, con questa battuta mi salutano dalla piazza. In cuor mio, forse, lo spero.

 

Simone Lo Presti

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