“Durante una manifestazione organizzata da Libera ho detto che mio fratello Salvatore e Rosario si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato: mi sbagliavo, loro erano nel posto giusto a differenza dei loro assassini”. Le parole commosse di Rosalinda Ottone, pronunciate lo scorso 2 Gennaio, sono una pietra nella coscienza di ciascuno dei presenti, dentro la chiesa di San Giovanni a Vittoria. La chiesa è piena a metà e ciascuno ascolta la ricostruzione storica del giornalista Di Gennaro e la testimonianza di Rosalinda in rigoroso silenzio.
Sono trascorsi venti anni dalla strage di San Basilio: 5 morti dentro il bar della stazione di rifornimento Esso, alle porte di Vittoria. La strage era stata ordinata dai clan Piscopo (ancora in attività e legato a Cosa Nostra), di Niscemi, ed Emanuello, di Gela, stiddari in concorrenza con i clan vittoriesi. Obiettivi dell’agguato erano Angelo Mirabella, referente del clan vittoriese della Stidda, Rosario Nobile e Claudio Motta, legati al clan Dominante. Insieme a loro sono stati crivellati di colpi anche Rosario Salerno e Salvatore Ottone, due giovani vittoriesi, estranei alle dinamiche criminali, entrati per un caffè in quel bar.
Dopo 14 anni di indagini ed un lungo processo sono stati condannati all’ergastolo Alessandro Piscopo ed i cugini Giovanni (dopo una latitanza in Germania) ed Alessandro Piscopo (omonimo del primo), in qualità di mandanti. Stessa condanna per Enzo Mangione, in qualità di basista, avendo informato i killer sugli spostamenti delle vittime. Trent’anni, invece, è la condanna per gli esecutori materiali della strage, Gianluca Gammino e Carmelo Massimo Billizzi (divenuti poi collaboratori di giustizia). In manette finirono anche Salvatore Siciliano, boss di Mazzarino, Claudio Calogero Cinardo (assolto nel 2017) e Giuseppe Selvaggio (legato al clan di Mazzarino), Alfonso Scozzari (ritenuto colui che fornì le armi) e Orazio Buonprincipio.
Secondo una ricostruzione del giornale online La Spia, tra le vittime ci sarebbero dovuti essere anche i fratelli Di Mercurio.
L’obiettivo della strage era quella di allargare l’egemonia gelese sul territorio di Vittoria, dopo che la storica alleanza era stata messa in discussione dall’atteggiamento del capoclan Angelo Mirabella.
A vent’anni dalla strage, a Vittoria, ancora oggi, è presente una capillare rete criminale che ha legami con il clan dei Casalesi e della ‘Ndrangheta: una joint venture mafiosa che ha messo le mani sugli snodi cruciali dell’economia locale, dal mercato ai trasporti, dal racket al traffico di stupefacenti. Inoltre, è singolare la presenza sul territorio di Vittoria di ex collaboratori di giustizia, come Claudio Carbonaro, i quali pare abbiano riallacciato rapporti con il tessuto criminale della città e raggiunto accordi con i clan di Gela.
La pervasività del fenomeno è stata tale da aver condotto il Consiglio dei Ministri a sciogliere il Consiglio Comunale per i rapporti che la classe politica, di ieri e di oggi, pare avere avuto con pezzi della criminalità organizzata. “Purtroppo ho dovuto prendere atto di come anche in questa triste occasione la città abbia fatto un passo indietro. […] Il vuoto istituzionale è stato registrato nella mesta cerimonia durante la quale venivano ricordati i giovani uccisi da cosa nostra. Triste vuoto. Da parte di tutte le istituzioni”. Questo il commento dell’ex sindaco di Vittoria, Giuseppe Nicosia (avvocato di parte civile), cui sono stati contestati, dalla DDA di Catania nell’ambito dell’operazione “Exit Poll”, episodi di corruzione elettorale.
“In un territorio come il nostro, – afferma Vittorio Avveduto (Libera Ragusa) – in cui la mafia, in modo camaleontico, agisce in sordina, è facile dimenticare eventi drammatici come quello che 20 anni fa determinò la morte di due giovani vittoriesi, ferendo in modo indelebile i loro familiari e gli amici. Abbiamo bisogno di fare memoria per riconoscere quei giovani uccisi come “nostri”. La mafia “ci” ha ucciso due giovani, ce li ha strappati, per questo abbiamo la responsabilità del testimone che loro stessi simbolicamente ci consegnano e che nella nostra vita deve necessariamente essere tradotto in impegno concreto. Libera Ragusa, in collaborazione con altre associazioni, ha voluto ricordare, assieme ai familiari e ai tanti cittadini intervenuti, Salvatore Ottone e Rosario Salerno, per ribadire, con loro e per loro, che occorre impegnarsi nella lotta contro le mafie promuovendo anzitutto una nuova cultura che abbia il sapore della giustizia, della libertà e di quella umanità che oggi da più parti è tradita se non addirittura minacciata”.
Simone Lo Presti
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