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La necessità di un sindacato nuovo: parla Maurizio Landini

Abbiamo colto l’opportunità di intervistare Maurizio Landini, ex segretario generale della FIOM, adesso nella segreteria nazionale della CGIL, in occasione della serie di iniziative organizzate dalla FLAI-CGIL Sicilia. La campagna, che si è tenuta nei giorni 24, 25 e 26 luglio nelle province di Siracusa, Catania e Ragusa, ha posto al centro il tema dello sfruttamento dei lavoratori nelle campagne, dei migranti e della politica italiana. All’incontro del Comitato Direttivo provinciale avvenuto giovedì 26 all’interno della camera del Lavoro di Ragusa, e sul quale pubblicheremo presto l’articolo completo, erano presenti anche il segretario generale CGIL Sicilia Michele Pagliaro e il segretario generale della provincia di Ragusa Peppe Scifo.

Segretario, esiste ancora un ruolo della sinistra in Italia dopo la vittoria elettorale delle destre del 4 marzo?

Credo che il 4 marzo non abbia vinto solo la destra, ma c’è stata anzi una rivoluzione che ha cambiato il quadro politico. C’è sicuramente l’affermazione di una destra, ma c’è anche l’affermazione del Movimento 5 Stelle, che è il primo partito, e che definire di destra è secondo me sbagliato. Sicuramente è stato un voto che ha visto una sconfitta molto pesante della sinistra. Se in dieci anni 20 milioni di italiani cambiano il proprio voto e aumenta addirittura il numero delle persone che a votare non vanno, vuol dire che non si sentono rappresentati da nessuno, neanche dai nuovi movimenti e dalle nuove forze che oggi hanno il consenso. Dal mio punto di vista è necessario ricostruire una unità sociale del mondo del lavoro, e soprattutto ricostruire un progetto di trasformazione sociale che rimetta al centro i lavoratori e c’è bisogno che questo processo avvenga con una ripresa di partecipazione dal basso.

Qual è in riflesso internazionale sulla politica italiana e sulla condizione dei lavoratori in italia?

 Stiamo sicuramente vivendo una fase di trasformazione degli equilibri internazionali. Assistiamo oggi ad una situazione nella quale nulla si decide se non c’è anche un coinvolgimento della Cina. Vent’anni fa non era così. Allo stesso tempo siamo di fronte al fatto che il pensiero unico che in questi anni si è affermato, al centro del quale c’è il mercato e la finanza, ha cambiato la natura stessa del capitalismo e ha determinato un aumento delle disuguaglianze sociali senza precedenti. Credo dunque che da un lato il punto sia individuare quali politiche servono oggi per combattere le disuguaglianze sociali. Dall’altra parte c’è secondo me un ruolo esplicito che deve giocare l’Europa. La questione quindi non è quella di rinunciare all’idea che l’Europa debba svolgere un ruolo, ma fare una battaglia per il tipo di Europa sociale che noi vogliamo costruire a partire da tutte le esperienze positive, ma anche riconoscendo la necessità di mettere in discussione le politiche di austerità e la logica attraverso la quale è stata costruita, che è una delle cause che ha determinato la crisi che stiamo vivendo.

In che modo si pone il sindacato nei confronti dell’attuale governo e come sta agendo nei confronti dei lavoratori in questo momento storico?

 Io credo che il sindacato, e parlo della CGIL, debba essere un soggetto autonomo dalle forze politiche, dalle imprese e dai governi. Autonomo non nel senso che sia indifferente, ma nel senso che riesca a costruire le sue proposte, i suoi progetti e le sue azioni, coinvolgendo democraticamente tutte le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare, in qualsiasi forma di rapporto di lavoro siano essi chiamati ad agire. Questo vuole anche dire produrre dei cambiamenti rispetto a come è organizzato il sindacato e quello che è il sistema contrattuale. Oggi ad esempio se guardo in Italia, noi dobbiamo da un lato ridurre il numero di contratti nazionali e dall’altro affermare il loro valore estendendolo anche in giro per l’Europa, in modo da impedire che due persone che svolgono lo stesso lavoro non hanno gli stessi diritti e le stesse tutele. Mentre oggi il capitale e la finanza sono globali, il lavoro non è neanche locale. Credo quindi che debba essere fatta una battaglia perché sia a livello europeo, sia a livello mondiale, si lavori per un’azione comune dei sindacati e dei lavoratori, per affermare regole sia sul piano fiscale, sia sul piano dei diritti del lavoro, sia sul piano dei diritti sociali che diventino vincoli sociali al mercato. Bisogna rimettere vincoli sociali al mercato per difendere le persone dalle contraddizioni che questo determina.

Nei confronti del governo, noi vogliamo avere un rapporto che non sia pregiudiziale e che valuti i contenuti concreti attraverso i quali questo governo si muove tenendo anche conto del fatto che si sono messi assieme due soggetti, Lega e 5S, che durante la campagna elettorale erano divisi e che avevano programmi diversi. Dai primi provvedimenti che hanno messo in campo ci sono segnali che a noi preoccupano molto perché hanno, usando una categoria classica, un carattere molto di destra, penso all’attacco ai migranti, penso all’idea della sicurezza riarmando le persone, l’attacco alla legge sugli appalti. Da un lato penso che questa cosa non vada bene e debba essere contrastata, dall’altro noi siamo per giudicare quello che fanno perché, ad esempio, vediamo positivamente, sul piano del lavoro, il tentativo di mettere in discussione il jobs act, tentativo che troviamo tuttavia troppo timido. Tuttavia non condividiamo la reintroduzione dei voucher, fatto che dimostra i limiti di questa compagine e il rischio di una cultura sociale e politica che mantiene al centro l’impresa e non le persone che lavorano.

Data la progressiva scomparsa della sinistra strettamente politica e l’indebitamento del ruolo del sindacato negli strati più deboli della società, non sarà necessario ripensare ad un nuovo linguaggio per arrivare anche a questi?

 Io continuo a pensare che occorra uscire ad una cultura politica che ha segnato il novecento, che assegnava ai partiti della sinistra il ruolo di governare e ai sindacati semplicemente di fare i contratti. Penso che ci troviamo di fronte ad una ridefinizione del ruolo del sindacato nei confronti della politica. Da una parte penso che ci sia bisogno di ricostruire una rappresentanza politica del lavoro, dall’altra penso che il sindacato debba sicuramente rinnovarsi, perché vuol dire aprirsi a tutte le forme di lavoro e lo può fare utilizzando il meglio della sua storia e della sua tradizione. Le sue radici gli permettono di porsi il problema dell’unificazione di tutte le forme di lavoro e deve cambiare rispetto a come è strutturato in questo momento, rafforzando il ruolo delle camere del lavoro, agendo su una contrattazione che abbia altre caratteristiche e non avendo paura di aprirsi e far diventare centrale il rapporto con le nuove generazioni e le forme attraverso le quali si rapportano al mondo del lavoro. Credo che le persone abbiano ancora bisogno di sindacato, cioè mettersi assieme per tutelare meglio la propria condizione. I sindacati passano, ciò che resta sono le persone.

Alberto Lucifora

Sebastiano Cugnata

 

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