Bruno Giordano è un magistrato vittoriese attualmente in servizio presso la Corte di Cassazione, docente di Diritto della Sicurezza del Lavoro all’Università di Milano e consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali del Senato. Gli abbiamo rivolto alcune domande sulla Stidda, che opera nello stesso territorio di cui la Commissione si è interessata in merito al sistema di sfruttamento e truffe nell’agricoltura.
Qual è la situazione della Stidda in provincia di Ragusa in questo momento?
La Stidda è stata sicuramente un’organizzazione presente in provincia di Ragusa negli ultimi decenni. È nata come contrapposizione rispetto ad alcuni clan che erano affiliati a Cosa Nostra o comunque facevano riferimento a famiglie palermitane e questo ha consentito un’alleanza per molti anni tra il clan Carbonaro-Dominante e una frangia dei clan gelesi che sicuramente ha rafforzato entrambi.
Oggi la presenza nel territorio ragusano di soggetti sicuramente legati ad organizzazioni mafiose non è detto che possa essere sicuramente attribuito a questa organizzazione parallela e contrapposta a Cosa Nostra. Sicuramente c’è un’originalità nella Stidda, cioè l’originalità geografica di queste formazioni, che non nascono per volontà di cosche palermitane, che poi si diramano sul territorio, ma esattamente al contrario: sono organizzazioni radicate nel territorio come appunto nel ragusano e che poi hanno cercato un’affiliazione esterna alla provincia esterna al territorio. Diciamo che è una malapianta che è nata spontaneamente anziché essere trapiantata.
Oggi il territorio ragusano non è attraversato da faide interne perché da molti anni sono molto attenti a non creare omicidi, a non creare allarmi nell’opinione pubblica e quindi ad agire in modo sotterraneo, subdolo, come un fiume carsico, e questo ovviamente, come sappiamo, avviene in tutta la Sicilia, avviene anche in Calabria. Deve tenere un profilo basso, non più ostentato, non più coreograficamente presente sul territorio, non più apparente ma sotterraneo, proprio per evitare che ci sia un’alzata di scudi da parte delle forze dell’ordine e della magistratura.
La Stidda si articola per sua struttura interna in più livelli, ne individuiamo almeno tre: gli affiliati, il nucleo storico; le persone avvicinate, ma non assunte all’interno dell’organizzazione; i cosiddetti “amici degli amici”, cioè le persone che sono contattate, ma che a loro volta non riescono ad avere un rapporto biunivoco, cioè bilaterale. Si tratta di tre cinture sanitarie e cioè di tre livelli per evitare che tutte le persone che vi operino conoscano il nucleo storico: questo è stato ed è lo strumento di difesa di queste organizzazioni criminali nei confronti del pentitismo, cioè è il modo di non far sapere a tutti i suoi addetti coinvolti chi sono i veri affiliati, i veri protagonisti. Teniamo conto che sulla base di alcune analisi condotte sulla base di alcune indagini sia siciliane che calabresi, soltanto il 10% delle persone che sono legate da questo vincolo associativo mafioso è il nucleo storico che poi incamera i proventi, cioè il 90% delle persone non contribuiscono al dividendo dell’organizzazione mafiosa e questo è molto importante. Si è creata nell’organizzazione mafiosa una gerarchia tale per cui soltanto un élite del 10% si arricchisce e tutti gli altri si espongono all’attività lavorativa.
Quindi non c’è una regia unica di questa organizzazione ovviamente, anche se possiamo supporre che i capi si incontrino anche se non regolarmente.
Questo è evidente. Cosa si intende per regia unica? Cioè di una sola persona o di un gruppo di persone? Questo cambia da territorio a territorio ed alcune volte è capitato anche all’interno di uno stesso territorio da periodo a periodo a secondo delle presenze, degli arresti, o di persone che si sono date alla latitanza e che quindi sono sparite lasciando il timone soltanto ad altri o soltanto ad una sola persona. Ma questo non è solo un fatto strutturale, organizzativo, è anche un fatto occasionale.
Quindi da questo punto di vista ha un ruolo all’interno della provincia nelle attività criminali, ma convive, come diceva lei, con gruppi criminali autoctoni che hanno comunque cercato affiliazione o legami con Cosa Nostra.
E certo. Questa convivenza indubbiamente ha dato luogo ad una sorta di pax mafiosa, come è evidente dal fatto che da diversi anni non ci sono omicidi di mafia, esclusi poi alcuni eventi su cui la magistratura sta indagando, come l’omicidio Brandimarte, per il quale ovviamente io non posso esprimere alcun commento perché ci sono delle indagini in corso.
Ci mancherebbe. Quindi possiamo dire che c’è una cooperazione sia a livello locale, però vista anche la natura del soggetto mafioso che è Cosa Nostra, anche una collaborazione con entità che hanno una forza regionale. Poi sappiamo che c’è stata una presenza della Camorra e quindi una partecipazione della ‘Ndrangheta. Diciamo che c’è una partecipazione di varie organizzazioni criminali che possono aver giocato un ruolo nel nostro territorio, in particolare per quanto riguarda il mercato ortofrutticolo.
Sì, questo perché per molti anni la presenza sul territorio di un’organizzazione mafiosa non corrisponde agli interessi su quel territorio, cioè noi possiamo avere di regola un’organizzazione che, per esempio, ha avuto le sue radici a Vittoria, ma interessi al mercato ortofrutticolo di Milano o di Fondi o presso attività di trasporto in provincia di Reggio Calabria. Il fatto che ci sia stata un’origine territoriale, non vuol dire che quello sia stato un limite territoriale e cioè che quell’organizzazione abbia fermati i propri interessi all’interno di quell’area, di quella zona, di quella provincia. Anzi, hanno cercato sempre di esportare e di relazionarsi con altre attività. Indubbiamente i rapporti che ci sono tra il commercio ortofrutticolo a Vittoria e quello di Fondi, dove forte è la presenza dei Casalesi, o i rapporti con alcuni imprenditori calabresi, indubbiamente ha reso queste organizzazione più avulse dal proprio territorio di partenza.
Quindi c’è una presenza anche documentata che può destare un allarme anche per l’entità economica che rappresenta il mercato ortofrutticolo. Da questo punto di vista, in una realtà comunque relativamente florida, come può essere la provincia di Ragusa dal punto di vista economico, esiste un fenomeno sgradevole che è lo sfruttamento nelle campagne. Sappiamo bene ed è ampiamente documentato, ad esempio, quello delle rumene. Questo tipo di clima può essere, ad esempio, connesso alla presenza di organizzazioni mafiose?
Sì, il clima senz’altro; la speculazione economica non tanto. Il clima, perché dove vi è sfruttamento, vi è debolezza, e dove vi è debolezza vi è l’area più fertile per gli interessi mafiosi. Qualsiasi fascia sociale che vive della debolezza dei propri diritti, in uno status di vulnerabilità sociale, alimenta quelle sacche che servono alla criminalità organizzata.
Ciononostante, dobbiamo distinguere, sul piano criminologico, gli interessi e i meccanismi criminogeni che danno luogo alla criminalità organizzata, dai meccanismi che danno luogo allo sfruttamento del lavoro. Questi interessi possono anche incrociarsi nel loro cammino, ma nascono da situazioni diverse: alla mafia non interessa sfruttare un lavoratore per 2,50€ all’ora, perché non è quello il profitto a cui mira l’organizzazione criminale. Alla mafia interessano i soldi dell’estorsione, del traffico di stupefacenti e soprattutto i profitti di quelle imprese che apparentemente lavorano in un sistema di concorrenza e invece rappresentano un oligopolio ben concordato, se non addirittura un monopolio su alcune attività. È lì che si guadagnano molti soldi: con le estorsioni e controllando le fabbriche che producono gli imballaggi, le aziende che assicurano i trasporti e altri servizi dell’indotto dell’agricoltura.
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Secondo lei il climache si è creato in questi ultimi giorni, in particolare mi riferisco all’incendio dei camion ma anche all’episodio che ha visto una persona che insultava e minacciava il sindaco di vittoria, anche le minacce al giornalista Borrometi. Tutto questo conguaglio di situazioni possono essere chiaro campanello d’allarme per la situazione della provincia, laddove per anni si è continuato a negare la presenza di organizzazioni criminali e anche oggi lo si fa a vario titolo e a vario livello.
Guardi, non è vero che per anni si è negata questa presenza, perché ci sono state molte indagini soprattutto sul territorio di Vittoria e di Scicli da parte della DDA di Catania e l’attenzione di questi organi investigativi non è mai venuta meno a nessun livello. È cambiato il tipo di criminalità: io non entro nel merito di questi episodi, perché sono episodi su cui si sta indagando, ma complessivamente io registro che, con il radicarsi della crisi economica, vi è una maggiore aggressività da parte delle organizzazioni e temo che questa aggressività non sia finita, temo che qualcosa possa ancora prodursi, perché vi sono le condizioni, perché si riproducano purtroppo altri fatti di questo tipo, cioè ci sono gli stessi appetiti, gli stessi interessi, le stesse persone e, quindi, le medesime attività. È una previsione molto triste e amara che purtroppo la mia esperienza di giudice e di investigatore mi porta a ritenere molto probabile.
Intervista di Giulio Pitroso
[…] «Infiltrazione mafiosa, a Ragusa, non credo che ce ne sia», questo dichiarava Antonio Tringali (allora presidente del consiglio comunale di Ragusa) durante l’intervista doppia di Generazione Zero ai candidati a sindaco. Ma a questa favola bella e popolare non siamo più tenuti a credere. Non solo la Provincia, ma la stessa città di Ragusa è stata interessata da operazioni di polizia contro organizzazioni mafiose. Sappiamo, inoltre, che la Stidda e Cosa Nostra convivono in questo territorio da decenni. […]