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Il cinema racconta le mafie: parla Francesco Munzi, regista di Anime Nere

In occasione della settimana della legalità, iniziata il 14 Marzo e che durerà fino al 21 di questo mese, il Cinema America Occupato, in collaborazione con l’Osservatorio della legalità della Regione Lazio, ha organizzato una serie di proiezioni cinematografiche contro le mafie nelle periferie della Capitale e a Rieti.
Noi siamo andati a Corviale, nella sede di Calciosociale, un’associazione che opera per la legalità e per la riqualificazione del quartiere attraverso il calcio giocato con regole solidali e che sta portando avanti un progetto di web-radio notturna per la promozione del volontariato chiamato “Radio Impegno”, insieme a decine di altre associazioni che operano a Roma. La sede di Calciosociale (che lo scorso novembre è stata luogo di un attentato incendiario di stampo mafioso) è stata infatti scelta come luogo per la proiezione del film di Francesco Munzi “Anime Nere”. 
Il film, tratto dal romanzo di Gioacchino Criaco, ha riscosso un enorme successo vincendo ben 9 premi al David di Donatello del 2015, tra cui quelli per il miglior film e per la migliore sceneggiatura. La trama racconta le vicende e le faide di una famiglia della ‘ndrangheta calabrese, in un clima drammatico e forte che accompagna tutta la visione. 
Francesco Munzi, giovanissimo regista del film, ha riscosso un applauso lungo una decina di minuti alla mostra cinematografica di Venezia e si è aggiudicato le prime pagine del New York Times. Abbiamo avuto la fortuna di poterci scambiare due chiacchiere, ed ecco qui le sue parole:

Perché si è deciso di trasmettere il suo film qui a Calciosociale? Lo ha scelto lei?

No, non l’ho scelto io. È stata una iniziativa che hanno preso il cinema America e la regione Lazio, ma è un’iniziativa a cui ho aderito con molto entusiasmo, perché sono contento quando si aprono nuovi spazi cinematografici anche se solo per poche serate e soprattutto anche in posti dove ci sono poche occasioni come qui a Corviale. Spero che ciò possa essere non solo una scheggia impazzita ma possa avere un seguito.

Anime Nere è un film che narra la realtà mafiosa calabrese: secondo lei, rappresentare una realtà così importante e spesso trascurata può aiutare a sensibilizzare l’opinione pubblica?

Io non so se i film hanno questo potere di aiutare la comprensione. Sicuramente se sono fatti in una certa maniera possono creare in chi li guarda degli spunti di riflessione. Io però non cerco mai di fare un film sociale, cerco di fare un film che parli di personaggi, di racconti e che mostri anche le contraddizioni della realtà. In questo caso, in Anime Nere, ho fatto un viaggio all’interno di una famiglia mafiosa senza però giudicarla con pregiudizio, pur distinguendo e giudicando ciò che è bene da ciò che è male. Infatti ho mostrato che all’interno di una stessa famiglia possono esserci delle realtà più composite anche con degli elementi positivi.

Secondo lei, si parla troppo poco di mafia e antimafia nel cinema?

Io penso che se ne parli tantissimo, ma non sempre nel modo corretto. Spesso ci sono molti slogan, molti luoghi comuni, molta poco conoscenza e molte belle parole che rimangono delle porte aperte se non aggiungono nulla. Invece se ne parla un po’ troppo poco in termini complessi e contraddittori.

Nel film recitano anche degli attori locali di Africo (paesino dell’Aspromonte, ndr): come è stato lavorare con loro?

È  stata un’esperienza unica perché ho abbattuto alcuni pregiudizi che avevo. Mi avevano detto e temevo che sarebbe stato impossibile lavorare in quel posto, invece la storia del film ha dimostrato il contrario. Non esistono posti perduti, semmai sta alle persone insistere e non arrendersi. Noi da una iniziale diffidenza abbiamo avuto, alla fine, una partecipazione importante.

Perché le dicevano che era impossibile lavorare in un posto del genere?

Beh questo ce lo dicevano le istituzioni. Siccome Africo è considerato uno tra i posti con più alta densità mafiosa, ci dicevano che era impossibile fare un film in maniera tranquilla e soprattutto onesta, e invece noi ci siamo riusciti perché non ci siamo fermati alle voci e a quello che ci dicevano. Abbiamo cercato di instaurare un rapporto con le persone e ce l’abbiamo fatta, anche se con un po’ di fatica.

Il suo film ha ricevuto numerosi riconoscimenti ed è stato trasmesso in 20 paesi diversi: si aspettava un successo così importante?

No, assolutamente non ci pensavo. Ho pensato sempre a fare il mio lavoro e quello che più mi piaceva, mi sono fatto guidare dall’istinto senza pensare al dopo. Poi è arrivato il dopo, e ci ha fatto molto piacere ovviamente, ma non era assolutamente nelle previsioni.

Ha in cantiere progetti futuri sempre sul tema “mafia”?

Ho progetti futuri di cui non parlo per scaramanzia, ma non credo che verteranno su questo tema.

Intervista di Youssef Hassan Holgado

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