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Le macerie del Paese più giovane del mondo

Ceneri di una guerra infinita

La storia ci insegna che solitamente i conflitti fra popoli si estinguono con una pace: gli eserciti, stremati da anni, a volte decenni, di bombardamenti, esecuzioni e rappresaglie, hanno solamente voglia di recuperare i propri caduti, di curare, se possibile, i propri feriti, e di ritornare alle proprie vite. Ma c’è un luogo, nel mondo, dove questa esigenza sembra venir meno alla volontà delle parti, dove anni e anni di lotta intestina non hanno fatto altro che generare altri rancori e altre invidie: questo luogo è il Sudan del Sud. Per chi proviene da Khartoum, dalla capitale del Sudan settentrionale, oltrepassare il confine con la regione meridionale deve essere uno spettacolo sensazionaleSouth Sudan Map Oil. Il polveroso ocra della sabbia del Sahara cede il passo istantaneamente alle verdi e rigogliose foreste del sud, bagnate dalle vitali acque del Nilo Bianco; coloro che avevano battuto i piedi sulle grigie pietre del Sahel si ritrovano con le caviglie affondate nelle paludi del Sudd. È incredibile la varietà di mondi che la natura può offrire nell’arco di poche centinaia di chilometri. Scendendo verso sud anche l’interno della Terra subisce una variazione: è qui che si concentra la maggiore quantità di petrolio dell’intera area, motivo dei maggiori cataclismi sociali verificatisi nella regione negli ultimi cinquantanni.

La Repubblica del Sudan del Sud si costituisce formalmente nel 2011, in seguito al referendum per l’indipendenza dal Sudan del Nord, successivo agli accordi di Naivasha, firmati nel 2005 al termine della seconda guerra civile sudanese. La prima guerra civile sudanese, durata dal 1955 al 1972, era sorta dal contrasto tra il Sud, povero e a maggioranza animista/cattolica, e il Nord, popolato da ricchi latifondisti islamici. Dopo un breve e precario momento di tregua, il conflitto riesplode: scoppia la seconda guerra civile sudanese che accompagnerà il Paese dal 1983 al 2005. Il maestro del giornalismo Ryszard Kapuscinski si riferisce al secondo conflitto sudanese con queste parole: “Si tratta del conflitto più grande e più lungo della storia dell’Africa e, probabilmente, in questo momento anche del mondo intero; ma svolgendosi in una sperduta provincia del nostro pianeta e non minacciando direttamente né Europa né America, non suscita alcun interesse”. È dalle ceneri di un conflitto insanabile, dalle sue infinite contraddizioni che nasce il moderno Stato del Sudan del Sud.

Una guerra periferica

Nel Sudan del Sud vivono circa otto milioni di persone, suddivisi in decine di gruppi etnici e tribù, che praticano diversi culti e parlano diverse lingue. Di questa innumerevole varietà di etnie se ne distinguono tuttavia due, che, sebbene spesso in conflitto, costituiscono più della metà della popolazione: i dinka e i nuer. Nel 2005, al termine della seconda guerra civile, il Sudan del Sud può considerarsi praticamente uno Stato autonomo, benchè non sia stato ancora formulato il referendum per l’indipendenza. Il nuovo Presidente, Salva Kiir, di etnia dinka, decide di nominare vicepresidente Riek Machar, di etnia nuer. I ruoli vengono mantenuti anche durante il secondo mandato presidenziale, ma nel luglio del 2013 i contrasti all’interno del partito di governo portano alla destituzione di Machar e dell’intero consiglio dei ministri. Nel dicembre dello stesso anno alcuni reparti paramilitari di ribelli appoggiati da Machar attaccano i maggiori centri sud-sudanesi: è l’inizio di una nuova guerra civile, la stessa che imperversa tuttora nella regione. Dal mese di gennaio ad Addis Abeba, capitale della vicina Etiopia, sono iniziati i colloqui di pace, che non hanno ancora portato, però, ad una vera cessazione dei conflitti: le maggiori città continuano ad essere preda degli attacchi dei ribelli di Machar da una parte e dei lealisti di Kiir dall’altra. Della città di Bentiu, capitale dello Stato dello Unity, area ricca di giacimenti petroliferi, non rimane che la polvere sollevata dal crollo delle ultime macerie.

Alle devastanti perdite generate dal conflitto (quantificabili nell’ordine delle migliaia) si aggiunge anche un’altra piaga, forse ancora più tragica: il dramma dei bambini-soldato. Per l’ONU sono oltre 9mila i bambini che i due schieramenti hanno disposto sul campo di battaglia; mentre nell’arco dei sei mesi di guerra, un milione di persone è stato costretto all’esodo nei Paesi confinanti.

Agli occhi di uno spettatore superficiale la questione sud-sudanese potrebbe apparire come una semplice faida tra due primitive tribù pronte a scannarsi per un pezzo di terra fertile nella sterminata distesa desertica dell’Africa Orientale, mentre, in realtà, le motivazioni di una simile ecatombe andrebbero ricercate altrove: le debolezze di un apparato statale fin troppo giovane e autoritario; gli interessi economici delle compagnie petrolifere orientali e occidentali; le lotte intestine ai vertici dello stato maggiore sud-sudanese e le pressioni da parte delle aree confinanti (Darfur, Uganda) hanno fornito la benzina. I conflitti di etnia sono stati soltanto la miccia.
Ad incendiarsi un enorme scacchiere di interessi economici e contrasti sociali destinati ad accompagnare la storia di questo periferico e contraddittorio microcosmo per chissà quanti ancora.

 

Giuseppe Cugnata

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