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No MUOS – In cammino verso Marzo

Nuvole all’orizzonte

Il vento della contestazione ha ripreso a spirare con decisione. Qualche settimana fa, il 27 gennaio, nel cuore della notte, quasi a protezione da occhi indiscreti, sono stati ultimati i lavori per la collocazione delle tre parabole satellitari, strumento essenziale per il funzionamento dell’impianto satellitare di difesa tanto contestato in terra sicula. Il MUOS (Mobile User Objective System) di Niscemi rappresenterà il quarto “angolo” di altre tre basi satellitari già esistenti nel mondo: quelle di Nolfork in Virginia, a Geralton in Australia e nelle Hawaii. Gli ultimi dettagli per l’allestimento in grande stile di quello che è stato definito il MUOS-TRO, un’eco “bestia” potenzialmente micidiale, sia dal punto di vista geopolitico che da quello degli effetti di lungo corso sull’ambiente (in particolare sulla riserva naturale della Sughereta), sono previsti dopo il collaudo sul radar centrale dell’impianto. Effettuato questo esame di “maturità”, da parte del ministro della Difesa statunitense, il nuovo prodotto del business della difesa militare targato stars and stripes verrà ufficialmente lanciato. Qualcuno avrà pensato che il dissenso si possa essere leggermente attenuato, visto il poco rumore sorto attorno ai movimenti NO MUOS nell’ultimo periodo, soffocate dalla routine cronachistico-politica quotidiana degli ultimi giorni, costellata da urla, scenate e buffonate degne della cortigianeria più becera. In realtà, però, le cose stanno in modo ben diverso. Il dissenso si propaga imperterrito ancora.

Stendardi issati a sventolar ancora

Si prepara, pertanto, una nuova ondata di cortei, manifestazioni e iniziative. Negli scorsi giorni a Piazza Armerina (Enna) si è svolto un interessante incontro tra studenti dell’Istituto di Istruzione Superiore Leonardo da Vinci e membri locali appartenenti al movimento anti MUOS. Il nobile obiettivo è quello di sensibilizzare le giovani menti, le nuove coscienze, su un problema attuale della nostra isola, troppo spesso lasciato sfilare nel silenzio più assoluto. Sempre a Piazza Armerina, mercoledì 12 febbraio, il giornalista Antonio Mazzeo, da sempre schierato in prima linea contro questa colossale e controversa opera, presenterà il suo ultimo libro sul MUOS, dal titolo Il MUOStro di Niscemi. Le iniziative dal basso proseguiranno, con veemenza, nelle settimane successive. In un clima molto caldo, con la speranza che non avvenga una temuta degenerazione della protesta, il 22 febbraio il movimento contro il MUOS si riunirà a Caltanissetta per manifestare e creare un’assemblea davanti al luogo simbolico della prefettura con un sit-in, per mettere nero su bianco le denunce, definite ingiuste, subite dagli attivisti. Il culmine di quest’onda lunga della contestazione avverrà il primo marzo, data per la quale è programmata una grande manifestazione, in contrada Ulmo a Niscemi, per ribadire la totale disapprovazione nei confronti dell’installazione, con un vigoroso appello all’unità e alla resistenza nei confronti di quello che, da più parti, è inteso come un vero e proprio sopruso. Il Movimento No Muos ha lanciato anche l’evento della manifestazione come appuntamento sulla piattaforma social di Facebook. Nelle intenzioni del comitato organizzatore il gelido inverno verrà spazzato via dalla calda opposizione. Marzo si avvicina. L’augurio resta quello di un evento condito dai contenuti, dalle proposte e dal duro, ma pacifico, contrasto. Che l’opera di pochi agitatori non distrugga il laborioso e splendido operato di comitati che hanno lottato per rendere le ragioni della protesta a portata del maggior ampio raggio di uditori possibile. Il sipario non è ancora calato. Ciak! Si va in scena!

Simone Bellitto      

        

 

One Comment

  1. Gianni Sartori Gianni Sartori 28/05/2014

    ALTRO CHE LE NUTRIE!
    NUOVA BASE AMERICANA E ALLUVIONI
    Con una tecnica del “capro espiatorio” da manuale, sindaci e assessori leghisti (sostenuti dalle associazioni dei cacciatori) hanno elaborato una versione moderna del “gatto nero” medioevale (o di altre povere bestie criminalizzate e sterminate nel corso dei secoli: lupi, salamandre, rapaci notturni…). Stavolta è toccato alla pacifica e vegetariana nutria, cugina del castoro, accusata di aver provocato con le sue tane il crollo degli argini (in particolare quelli del del Timonchio e del Bacchiglione un paio di anni fa e più recentemente quelli del Retrone).
    Altri presunti colpevoli, i tassi (praticamente scomparsi nelle campagne, sopravvivono solo sui Colli Euganei e Berici!) e le volpi. Per il momento nessuno ha ancora tirato in ballo le tane del martin pescatore. Tra le soluzioni proposte, rifornire di “buoni -benzina” (sarebbero già stati stanziati 13mila euro dalla Provincia) un migliaio di cacciatori vicentini (a cui finora venivano date solo munizioni) che potranno agire indisturbati contro i poveri roditori.
    Se “la domesticazione degli animali ha posto le basi del pensiero gerarchico e fornito un modello e l’ispirazione per lo schiavismo” (“Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto” Charles Patterson, Editori Riuniti – 2003), questo atteggiamento spietatamente specista evoca i metodi delle pulizie etniche.
    Quella delle nutrie è una balla. Gli argini si trovano a parecchi metri dalle rive e le poche nutrie rimaste in circolazione (quelle sfuggite alla campagna di sterminio iniziata già da qualche anno) preferiscono avere una tana sulle sponde, con facile e immediato accesso all’acqua.
    Il Coordinamento protezionista vicentino aveva condotto una propria indagine nelle zone colpite dall’alluvione verificando come “l’acqua abbia rotto esclusivamente in zone dove di recente erano stati effettuati interventi”. Per esempio il Timonchio (un torrente a fondo sassoso dove non si segnalano nutrie) “ha trascinato a valle imponenti lavori di consolidamento e imbrigliamento realizzati a Molina di Malo da pochi mesi”. Questo per quanto riguarda Caldogno e Cresole. In altre zone l’acqua ha semplicemente esondato, superando le barriere a muro esistenti (a Vicenza, Debba, Montegalda…).
    Sicuramente una delle cause principali delle devastanti alluvioni è la quasi totale cementificazione di una provincia dove il terreno non è più in grado di assorbire. Ormai si vorrebbe costruire zone artigianali e villette a schiera anche nel greto dei torrenti. In pochi anni il colore del territorio vicentino è passato decisamente dal verde dei campi al grigio dei capannoni. Chi in questi anni ha espresso allarme per il rischio inondazioni è stato, nella migliore delle ipotesi, tacciato di essere una “Cassandra” (dimenticando che, purtroppo per i Troiani, Cassandra aveva visto giusto). La situazione rischia di diventare ulteriormente drammatica nel Basso Vicentino, un’area a sud di Vicenza appena sopra il livello del mare, ricca d’acqua e destinata a diventare, grazie alla nuova autostrada in costruzione, un’immensa teoria di capannoni e depositi (nuove zone industriali tra Longare e Noventa, momentaneamente sospeso il progetto della Despar che avrebbe ricoperto un’area corrispondente a duecento campi, il nuovo poligono di tiro ad Albettone, oltre ad una infinità di caselli, raccordi, strade di collegamento, rotatorie, distributori…). Lo spettacolo lacustre di Montegalda, Montegaldella e Cervarese in seguito alla penultima alluvione dovrebbe aver mostrato cosa ci riserva il futuro se si continua a cementificare.
    Per Vicenza e Caldogno (uno dei paesi più devastati a nord della città), dove l’acqua aveva toccato livelli mai raggiunti, appariva evidente che un elemento decisivo era rappresentato dalla nuova base americana Dal Molin. Per chi non conosce la zona, va ricordato che alcuni fiumi a carattere torrentizio scendono dalle alte montagne (Carega, Sengio Alto, Pasubio, Novegno, Pria Forà. Summano…) al confine tra la provincia di Vicenza e quella di Trento raccogliendo acque copiose provenienti dalle piogge e dalle nevi. Tra questi il Leogra, l’Orolo, il Timonchio e l’Astico (quello che poi confluisce nel Tesina). Le acque scorrono anche in profondità, attraverso i depositi di ghiaia, tornando in superficie nelle risorgive come il Bacchiglioncello che sgorga a Novoledo. Diventa poi Bacchiglione prima di entrare a Vicenza dove riceve l’Astichello e, dopo Porta Monte, il Retrone e la roggia Riello. Dopo pochi chilometri, a San Piero Intrigogna, incontra il Tesina dove è appena confluita la roggia Caveggiara. Insomma. un ambiente dove l’acqua non manca, anche per la presenza di una falda acquifera tra le più grandi d’Europa. Forse non è stato un caso che gli Usa abbiano tanto insistito (come confermano documenti divulgati da Wiki Leaks) per appropriarsi del Dal Molin che “poggia” (galleggia?) sulla falda stessa.
    I lavori al Dal Molin (attorno a cui scorre il Bacchiglione alimentando, insieme alle piogge, la falda) hanno comportato, oltre alla cementificazione di una vasta area, uno spostamento del fiume, l’ampliamento dell’argine sul lato della base e l’inserimento nel suolo di un enorme quantità di pali in cemento (vere e proprie palafitte, stile Venezia) che, molto probabilmente, hanno funzionato come una “diga” sotterranea costringendo l’acqua a fuoriuscire. Con i risultati che sappiamo.
    In origine i pali (mezzo metro di diametro) dovevano essere solo ottocento, ma alla fine ne sono stati utilizzati circa tremila. Piantati fino a18 metri di profondità.
    Sembra che inizialmente i pali non reggessero proprio per la presenza della falda acquifera. Sarebbe interessante scoprire in che modo siano riusciti poi a piantarli.
    Un’altra considerazione sulla nuova autostrada a sud di Vicenza (A31, Valdastico Sud), costruita in quattro e quattro-otto, dopo anni di polemiche e contenziosi, nonostante i vincoli paesaggistici. Osservando una carta topografica salta agli occhi come sia destinata a diventare un ottimo raccordo tra le varie basi statunitensi. Se la Ederle era già prossima al casello di Vicenza Est, la nuova base Dal Molin è comodissima alla Valdastico Nord. Restava defilata solo la base Pluto, a Longare, ma qui ora sorgerà un casello. Un altro casello verrà costruito ad Albettone, dove è previsto un poligono di tiro che utilizzeranno soprattutto i militari.
    Altra ipotesi. Si sa che l’autostrada finisce in provincia di Rovigo, praticamente nel nulla. Però in quel “nulla” c’è una vecchia base militare abbandonata. Scommettiamo che non resterà tale per molto? Tra cementificazione, militarizzazione, sterminio di animali…tutto si tiene.
    Parafrando quanto viene attribuito a Seattle “quando avrete ammazzato l’ultima nutria, sradicato l’ultima siesa (siepe, in veneto), ricoperto di cemento l’ultima prato, vi accorgerete di non poter mangiare il denaro e affogherete (profetico! ndr) nei vostri rifiuti”.
    Gianni Sartori

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