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Alfredo fa ricerca in Germania: la locomotiva d’Europa raccontata da un campano

Alfredo Vernazzani fa il ricercatore in Germania, all’interno della locomotiva europea, dove tutto sembra il rovescio della normalità italiana. E’, insomma, il classico cervello in fuga. Peggio ancora, i suoi meriti sono stati riconosciuti pure in patria, ma questo non gli permette un sereno rientro. Gli abbiamo fatto una tempesta di domande.

Che cosa stai studiando e come mai lo stai facendo in Germania?
Sto svolgendo un dottorato di ricerca in filosofia della mente. Mi occupo del problema dei correlati neurali della coscienza, la sfida consiste nel tentativo di comprendere la relazione fra la coscienza ed il substrato neurale.
Ho scelto di approfondire gli studi in Germania conseguendo la laurea specialistica a Berlino per diverse ragioni. Anzitutto perché desideravo un’esperienza di studio all’estero, in un ambiente meno asfittico rispetto alla mia regione di provenienza: la Campania. Vi sono poi anche ragioni accademiche ed in primo luogo la possibilità di personalizzare il mio curriculum studiorum scegliendo i corsi da seguire. Questo mi ha permesso di dedicarmi quasi esclusivamente a temi di mio interesse. Inoltre, in quanto laureato in filosofia, so bene quanto sia difficile trovare un qualsivoglia impiego in Italia, ragion per cui la Germania ha rappresentato per me anche una scelta strategica in vista di un futuro impiego. 

E’ stato difficile imparare il tedesco?
Non è esattamente una lingua semplice, ma non è impossibile. Io ho imparato la lingua molto in fretta, in circa 4 mesi di studio presso il Goethe Institut di Freiburg im Breisgau, ma mi rendo conto di essere un’eccezione. Si è trattato comunque di un periodo di studio molto intenso, ero letteralmente immerso nella lingua e non perdevo occasione di mettere in pratica tutto ciò che avevo imparato. Ero spinto principalmente dalla mia determinazione, e l’istituto ha ricompensato i miei sforzi con una borsa di studio che mi ha permesso di prolungare il mio soggiorno di altri due mesi. Ne fui particolarmente colpito, anche perché non solo non mi ero candidato per quella borsa, ma non ero nemmeno a conoscenza della sua esistenza a quel tempo! Proprio durante quei mesi maturò in me il desiderio di proseguire gli studi in Germania.

Pensi che l’Umanistica sia considerata peggio da noi o nel Nord Europa, posto che in generale sembra soccombere rispetto all’interesse verso la scienza e la tecnica?
Conosciamo bene le conseguenze di una formazione di tipo umanistico in Italia: l’esito più probabile è un lungo precariato. In Germania il panorama non è altrettanto fosco, ma anche qui è possibile riscontrare un crescente interesse verso le materie scientifiche e tecniche a discapito della una formazione umanistica. Negli ultimi anni in Germania si assiste ad un calo di iscritti a filosofia, segno evidente che i giovani preferiscono investire gli anni di studio in discipline immediatamente spendibili nel mondo del lavoro.

In generale, c’è un disinteresse dei governi a finanziare attività scientifiche che non abbiano un risultato in termini brevi, soprattutto in applicazioni pratiche?
Senz’altro, ma non è questo l’aspetto che trovo, personalmente, più preoccupante. I finanziamenti nel campo della filosofia, ad esempio, sono prevalentemente orientati non allo sviluppo di progetti realmente originali, quanto piuttosto ad arricchire le correnti di ricerca più popolari. Vi sono naturalmente le classiche eccezioni, ma il quadro complessivo è questo. E la conseguenza è un appiattimento della ricerca su pochi temi. La mole impressionante di pubblicazioni rende poi il dibattito filosofico piuttosto arduo da seguire. Coniugando quest’aspetto con la progressiva specializzazione ne deriva, spesso, una certa chiusura mentale verso altri settori del sapere. Questo è l’aspetto che trovo più preoccupante.

Fare i professori/ricercatori in area umanistica è considerata oramai una carriera impossibile, secondo molti. La filosofia sembra prestarsi da qualche anno come strumento per la formazione dei manager delle Risorse Umane. Si sono aperti anche campi di lavoro nell’ambito della consulenza filosofica. Queste figure vanno a sostituire il vecchio sbocco nell’insegnamento dei laureati in filosofia o è solo un palliativo e/o una forzatura?
Diverse università in Italia hanno attivato programmi di formazione per consulenti filosofici, ma la mia impressione è che si tratti solo di una forzatura. Di certo la figura del consulente filosofico non sostituirà quella dell’insegnante scolastico. Il mio timore è che si tratti di un ennesimo programma superfluo e inutile, costoso per gli studenti, e redditizio per le università.

Hai ricevuto un importante forma di riconoscimento del tuo talento, alla presenza del Presidente della Repubblica. Ce ne potresti parlare?
In qualità di borsista del DAAD nel luglio 2011 sono stato invitato a partecipare ad un convegno sul futuro dell’Europa con altri 28 giovani ricercatori e professionisti provenienti da Italia e Germania. Il convegno durò due giorni. Durante la prima giornata abbiamo assistito ad interventi su tematiche quali l’economia, la politica e l’identità europea. Il secondo giorno ha avuto luogo il nostro incontro con il capo di Stato Giorgio Napolitano e l’ex presidente federale tedesco Christian Wulff in forma di un’intervista. Dall’esperienza è nato un libro ‘Die Zukunft Europas/Il futuro dell’Europa’ edito da Frank Steiner Verlag nel 2012.

Che cosa è il DAAD?
Il DAAD (Deutscher Akademischer Austauschdienst) è un’organizzazione tedesca nata allo scopo di promuovere lo scambio accademico. Il DAAD elargisce borse di studio per soggiorni di ricerca in Germania, principalmente per dottorandi, post-doc o specializzandi.

Che cosa ne pensi dell’Erasmus? In Italia viene promosso a sufficienza dalle nostre università?
Per rispondere a questa domanda bisogna suddividere la questione “Erasmus” su due piani: ideale e pratico. Dal punto di vista ideale non posso che esprimermi positivamente sul programma. Inutile ribadire che la crescente internazionalizzazione richiede una generazione capace di spostarsi, di interagire con altre culture, a maggior ragione nel contesto della nuova Europa. L’esperienza dell’Erasmus permette di aprirsi, di guardare il mondo con occhi diversi ed ampliare lo sguardo. Offre infine anche un’eccellente occasione per approfondire la conoscenza di una lingua straniera. Detto questo arriviamo però all’altro lato della questione, quello pratico. Un primo problema è rappresentato dai contributi, spesso troppo bassi per poter coprire tutte le spese di soggiorno. In caso di mancanza di fondi bisognerebbe mirare a ridurre forse il numero di borse Erasmus versando però un importo maggiore. Altra questione spinosa è proprio quella delle lingue. Ho conosciuto molti, troppi, studenti Erasmus in Germania arrivati senza la benché minima preparazione linguistica. Anche i più volenterosi perciò non riusciranno a prender parte ai corsi. Gli studenti più determinati spendono spesso un intero semestre studiando la lingua, salvo poi dover rimpatriare con un’enorme mole di lavoro accademico arretrato.
Le cose vanno meglio per gli Erasmus diretti verso la Francia o la Spagna, ma il problema resta e rivela una lacuna drammatica di tutto il sistema educativo italiano: la preparazione linguistica.

Che differenza c’è tra l’università tedesca e quella italiana?E tra la scuola italiana e quella tedesca?
La differenza principale risiede nell’ideale formativo. L’università italiana privilegia le conoscenze, le nozioni, l’università tedesca le capacità critiche. Lo studente italiano impara a memoria nozioni e date, lo studente tedesco impara a riflettere criticamente sui problemi. Vi sono vantaggi e svantaggi in ambo i casi. Avendo frequentato sia l’università italiana che tedesca posso confermare che gli studenti italiani sono mediamente più istruiti, in termini di conoscenze generali, rispetto ai loro colleghi tedeschi.
Ricordo ad esempio come, durante il primo anno di specialistica a Berlino, un docente abbia chiesto alla classe se qualcuno conosceva Spinoza. E ricordo anche studenti tedeschi che facevano confusione fra Platone e Aristotele. In molti casi poi gli studenti hanno conoscenze scarsissime in altri ambiti del sapere: siano essi la storia, letteratura, storia dell’arte, ecc. La tendenza è quella di privilegiare un singolo settore disciplinare, altamente specifico, a scapito di tutti gli altri. Con risultati a volte imbarazzanti direi. Il vantaggio è tuttavia che lo studente medio tedesco sarà in possesso di migliori capacità di ragionamento, sarà più agile mentalmente nel valutare ed analizzare problemi specifici. Si tratta di abilità fondamentali che mancano troppo spesso negli studenti italiani, appesantiti da nozioni troppo generali e incapaci di mettere le loro conoscenze in pratica.
Per quanto riguarda la scuola, non conosco a fondo il sistema scolastico tedesco, quindi mi limiterò ad alcuni cenni. Una differenza cruciale sta nel fatto che non tutti gli scolari conseguono la maturità (questa parola ha un significato diverso in Germania, poiché ci si può diplomare ma non conseguire la maturità), un requisito fondamentale per poter accedere all’università. Ne consegue che il numero degli studenti, in Germania, è nettamente inferiore rispetto all’Italia. Altra differenza cruciale sta nella preparazione linguistica. Uno studente tedesco medio conosce bene l’inglese ed un’altra lingua straniera, generalmente lo spagnolo o il francese. Alcune scuole offrono anche corsi di italiano e, in tempi più recenti, persino corsi di cinese. 

In generale, hai ricevuto più borse di studio in Italia o fuori?
Ho ricevuto solo borse di studio all’estero.

Il clima è sopportabile?
La Germania è fredda, ma si sopravvive anche qui!

Classica domanda: come ci vedono i Tedeschi? 
In generale temo non abbiano una buona opinione di noi italiani. Spesso ci inquadrano come buffoni e inaffidabili. È uno stereotipo diffuso purtroppo. C’è però una distinzione da fare. Io rappresento un immigrato tutto sommato particolare, cha ha studiato e continua a studiare in Germania, inoltre parlo correntemente il tedesco. Verso di me, e i pochi altri italiani come me, c’è maggior rispetto. Tutt’altra questione per coloro che invece si sono formati in Italia o che non hanno studiato e arrivano in Germania in cerca di un impiego come operai, ad esempio. Spesso questi connazionali vivono in qualche modo ai margini della società tedesca, frequentano per lo più altri immigrati come loro, ed hanno una conoscenza molto limitata della lingua. In un paio di casi ho sentito parlare di autentici fenomeni di razzismo, di discriminazione. Ho conosciuto inoltre alcuni italiani che, dopo anni di soggiorno in Germania, hanno deciso di tornare in patria a causa delle difficoltà sociali e relazionali.
Personalmente mi è accaduto più volte che altri studenti o ragazzi tedeschi mi abbiano salutato con le classiche parole “pizza, mafia”, come se si trattasse di uno scherzo. In qualche occasione ho reagito duramente, non si rendono conto della mancanza di rispetto e della leggerezza con cui usano la parola “mafia”, quasi si trattasse di uno scherzo. L’immagine che ne esce è desolante purtroppo. L’Italia è vista per lo più come un Paese per vacanze, e gli italiani come persone da non prender troppo sul serio. 

C’è interazione tra la vostra generazione di emigrati “di lusso” e i tedeschi di seconda generazione o i loro genitori italiani?
Non saprei rispondere a questa domanda. Non credo di aver conosciuto tedeschi di seconda generazione.

Domanda spezza-cuore. Ti manca casa tua?
Ormai vivo in Germania da 4 anni circa e da un paio d’anni a questa parte penso sempre più spesso ad un mio possibile futuro in Italia. L’esperienza all’estero serve, serve per aprire gli occhi sul mondo, imparar meglio le lingue, ma anche per rendersi conto di che cosa significhi essere italiano. Nell’attrito con altre culture s’impara ad affinare il proprio sguardo e a rendersi conto delle differenze di mentalità. Ma ci si rende anche conto di non appartenere al Paese ospitante, di essere sempre uno straniero.
Personalmente ho avuto modo di viaggiare, in Germania ho vissuto a Freiburg, Berlino e Bonn. Ma ho trascorso anche un breve periodo a Parigi. Si matura così un senso di sradicamento, di non appartenenza, la sensazione che la casa e le amicizie siano qualcosa di provvisorio. Ho un rapporto quasi bipolare verso l’Italia, di odio e amore, è il mio Paese natale e ne apprezzo la storia e la cultura, ma è anche un Paese cui non posso perdonare l’ottusità, l’incapacità e corruzione, non solo della classe politica, ma anche delle persone comuni. L’incivilita di un Paese comincia dai piccoli gesti d’inciviltà quotidiana. Spero di poter tornare in Italia un giorno, e dare un contributo adeguato alle mie capacità.

Come la vedi, l’Italia deciderà di cambiare?
L’Italia vuole cambiare, lo dimostrano, nel bene o nel male, i vari gruppi di natura politica emersi negli ultimi anni. Quale che sia il nostro giudizio sulle loro traversie e prese di posizione, sono tutti accomunati dalla retorica del cambiamento. Ma un reale cambiamento è possibile solo se sorretto da una precisa strategia, occorre mettere in discussione l’identità italiana, una certa forma mentis assai diffusa che premia il furbo a scapito dell’onesto. Gli italiani avvertono un generale bisogno di cambiamento senza tuttavia realizzare, in concreto, cosa debba cambiare. Tutti sono disposti ad attendere il cambiamento altrui e mai a mettere in discussione se stessi. Un passo importante sta proprio nell’investire sulla formazione, mirando non alla moltiplicazione dei titoli ma alla qualità dell’insegnamento, investendo nella preparazione linguistica e nell’educazione civica.

Intervista di Giulio Pitroso

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