Press "Enter" to skip to content

(title)

Quello che ci siamo lasciati alle spalle è stato un mese che la Sicilia difficilmente dimenticherà. Mi sto ovviamente riferendo alla rivolta dei Forconi.

Blocchi stradali, benzina introvabile, supermercati vuoti: erano questi gli obbiettivi di questa protesta volta a fare sentire fino a Roma la rabbia di una regione in cui ormai un giovane su due è disoccupato. Non per niente chiunque abbia un profilo su Facebook ha potuto leggere sulle proprie bacheche link, foto, filmati e note in cui si inneggiava alla riscossa della regione assurta da sempre a sputacchiera d’Italia. Una regione che ha tante di quelle magagne e vergogne con cui convivere che ogni minimo aspetto positivo per il suo abitante è motivo di vanto e rifugio dalle prese in giro del resto d’Italia.

Forse era arrivato il momento della rottura? Il giro di boa, la svolta per dire a chiare lettere “basta” come è stato sbandierato in ogni casello autostradale e via d’accesso delle città siciliane per una settimana?

Non credo proprio. Il Movimento dei Forconi, apolitico e trasversale come si riprometteva di essere, aveva tante di quelle contraddizioni interne che alla fine ha lasciato il tempo che ha trovato. Pochi reportage e subito si è scoperto quanto i capipopolo della protesta fossero tutto fuorché dei semplici lavoratori vessati dalla politica (tipo Mariano Ferro, ex MPA ora scopertosi Masaniello del nuovo secolo, naturalmente trasversale  e apolitico), o quanto violenti fossero molti manifestanti visto che in molti paesi i commercianti sono stati costretti a chiudere con la forza per mostrare solidarietà (non staremo certo qui a fare la morale sul fatto che la partecipazione ad una rivolta dovrebbe essere spontanea, altrimenti che rivolta sarebbe, ma sarebbe troppo facile). Come dimenticare poi le strane solidarietà di Forza Nuova e la tardiva pezza messa sopra dai leader della protesta di fronte alla figura di cioccolata fatta?

C’è poi un problema culturale che sta dietro questa rivolta ad averla resa il solito fuoco di paglia con pochi strascichi e troppe ombre. Si è sentita dire troppe volte la parola “rivoluzione”: la protesta dei Forconi non è una semplice rivolta – si diceva in quei giorni a tambur battente – è una rivoluzione.

Mi dispiace, ma non è così. La rivoluzione è un evento che per sua stessa natura, nel momento in cui scocca, spacca lo scorrere del tempo tra un prima e un dopo. Per esempio, cosa c’era prima della Rivoluzione Francese? Un mondo diviso in classi in cui le prime due, la nobiltà e il clero, non pagavano le tasse, il re governava per diritto divino e il potere si susseguiva tramite le dinastie. Dopo il 1789 ci fu la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, secondo cui tutti gli esseri umani sono uguali. Nonostante tutti i tentativi di restaurazione del vecchio regime, si è mai più riusciti a frenare la diffusione di questa idea? No.
Dopo la settimana di proteste in Sicilia, si può dire che c’è un prima e un dopo? Non credo proprio. Il tempo di riempire di nuovo gli scaffali dei negozi di Pan di Stelle e tutto è tornato come prima.

Ci si chiederà allora cosa è alla base di una vera ed autentica rivoluzione. Le proteste? I gruppi su Facebook? I blocchi stradali? Cortei e striscioni? Sbagliatissimo. Una rivoluzione è prima di tutto culturale, per cambiare le cose devono cambiare le nostre prospettive in maniera radicale. Il sistema di valori che prima indirizzava scelte ed azioni deve diventare obsoleto se si vuole scatenare un terremoto. Tornando alla Rivoluzione Francese, se non ci fosse stato l’Illuminismo, in base a cosa i poveri di Parigi avrebbero assaltato la Bastiglia? Facendo poi un esempio più calzante, si può analizzare il movimento americano Occupy Wall Street. Al grido di We Are the 99% sta mettendo in gravissima difficoltà i repubblicani, i quali non hanno altre ricette economiche che non siano selvaggiamente neoliberiste, o per dirla meglio, che non prevedano come ricetta economica per la crescita un drastico taglio delle spese sociali. Non è un caso che proprio in America sia nata questa filosofia economica basata sull’assenza di Stato Sociale e poche tasse per i ricchi: gli Stati Uniti sono la patria delle opportunità e del merito, dove lavorando sodo chiunque può arrivare al vertice. Quindi se sei povero è perché non ti sei impegnato abbastanza, perché quindi dovrei pagare più tasse per il tuo sussidio che è pagato dal mio lavoro?
In teoria funziona così. In pratica sono sempre gli stessi a farcela (l’1%) mentre gli altri (il 99%) annaspano in una situazione economica che va facendosi sempre più nera. Le persone scese ad occupare Zuccotti Park hanno rovesciato un paradigma che ha reso impossibile qualsiasi riforma voluta da Barack Obama: aumentare le garanzie sociali non è socialismo, ma giustizia. Da lì si è formato un movimento di opinione che ha rivoluzionato il modo americano di intendere la povertà: non è colpa del disoccupato se non ha lavoro, è colpa del sistema che è malato e classista, quindi va cambiato.

Torniamo ai Forconi: che cosa chiedevano questi manifestanti? Migliori condizioni di lavoro, e fin qui ci siamo, ma non è una rivoluzione, è una protesta di categoria, come quelle dei metalmeccanici per fare un esempio. Da un punto di vista molto più generale i Forconi avevano una visione politica d’insieme che mischiava il niente con il nulla. La politica è brutta e cattiva, i politici sono tutti ladri, ribelliamoci. Peccato che nessuno parlasse del fatto che quei politici brutti e cattivi, che quella politica fatta di clientele e spese assurde sono state supportate da noi siciliani. Totò Cuffaro è stato votato da noi siciliani, Lombardo idem, Mannino anche e potrei non finire più l’elenco. Catania è stata salvata dal default causato dal votatissimo sindaco Scapagnini grazie ai voti dell’odiata Roma e ai soldi degli sfruttatori del nord. E poi, possibile che in Sicilia si voglia fare una rivoluzione senza una parola seria contro la mafia e lo stato di abbandono delle procure che dovrebbero estirparla? O il problema della Sicilia è ancora il traffico?

Insomma finiamola con il vittimismo e i barocchismi storici secondo cui nel favoloso Regno delle Due Sicilie si stava da Dio poi sono arrivati i piemontesi e ci hanno colonizzato impoverendoci. Mi dispiace, ma al nord non ci sfruttano, al massimo ci sfottono e si chiedono, come la sottoscritta, che senso ha fare la rivoluzione contro dei governi e degli amministratori che abbiamo portato lì dove stanno in trionfo con il nostro stesso voto.

Spiacente, Palermo non è Soweto: impariamo ad analizzare bene le cose prima di salire sul carro di carnevale del prossimo Masaniello in cerca di gloria facile facile.

 

 

Ester Nobile