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Il pomeriggio pesante- No debito

E ora comu ci calamu ei Mazzarede?”.Certe storie cominciano così. Con un barbiere in piedi, che si volta a parlare con un signore, un signore qualsiasi, in una sala di una città lontana lontana. E’ la benzina che è troppo cara, è l’Iva. Sarà un’aria di vuoto sconfinato, sarà il freddo fuori, il freddo secco che spacca le mani di Ragusa. Non è facile delineare una sensazione, perché una sensazione non è un fatto. Le mani pulite e le dita lunghe, affusolate di uno dei migliori rasoi in città si articolano sulla testa d’un ragazzo, mentre un altro signore parla della crisi. Di qui passano clienti rispettabili, il nervo del ceto medio, gli impiegati e i professionisti di questa città lontana e sperduta, di questa città ricca e babba.
Sì, certe storie cominciano così, nella sera con il cielo d’acciaio e le tonalità passionali delle cinque, quando le luci sono già quasi tutte in funzione, con il loro calore artificiale. E’ quasi Natale, un Natale magro e crudo. Il barbiere e tutti i presenti hanno le idee più vaghe. “Dovevamo uscire dall’euro” dice uno, sprofondando accanto a un giornale, che se ne sta, stravaccato e menzognero, sulla pelle scura del divano. Qualcuno dice che devono tagliare i costi della politica, intendendo forse che si debbano tagliare le teste dei politici.
Ma questa non è solo la storia di una sala da barba d’un pomeriggio d’inverno. Non è solo una storia di voci. Perché le strade, fuori, sembrano arterie cave, svuotate e glaciali. Fuori i negozi hanno chiuso da mesi. La via Roma, spogliata di tutte le sue ricchezze, con le vetrine segnate dal disegno ferroso delle saracinesche. No, non c’è nessuno. O quasi. Ovunque le scritte “VENDESI”, epitaffi di un’economia deceduta. Non c’è nessuno, o quasi. Qui e là, un passante.

Da qualche parte c’è un altro negoziante, un signore che vende rose; se ne sta, animato da una strana foga, dietro il suo bancone e dice che, se ci sarà una manifestazione, lui andrà, insieme agli altri commercianti. “Faremo casino con la ‘C’ maiuscola”, dice. E, mentre dichiara che a viri niura, che la vede nera, un altro, con i capelli bianchi, è già entrato a chiedere se il fioraio ha comprato il giornale oggi. Sicuramente è lo stesso giornale che se ne stava quasi sdraiato e arrogante sulla pelle scura del divano della sala da barba. Lo stesso giornale che riportava come notizie principali la consacrazione all’Immacolata, la funzione religiosa. Lo stesso giornale che non sembrava parlare del mondo di cui parlano i negozianti. Ma il fioraio, con i suoi capelli grigi, dice di no, che non l’ha comprato, facendo intendere che vuole risparmiare su certe cose. “Con tutte le informazioni che ci arrivano, noi non abbiamo bisogno di sapere altre cose”, fa lui, che si sente bombardato dalle notizie e crede d’averci capito qualcosa. E del e-commerce? Cosa ne pensa del futuro del commercio telematico? Non ne pensa nulla, lui crede solo nella solidità dei clienti, nelle abitudini, nelle stelle di Natale. E’ arrabbiato, mentre la fede, fissa sul suo anulare, balla sul verde di una rosa olandese, mentre prepara una composizione.

Quello che questi uomini non sanno è che l’indomani, il sabato 10 dicembre 2011 alla sala “Carlo Giuliani”, offerta dal circolo locale di Rifondazione Comunista è prevista un’assemblea regionale. E’ un’incontro del movimento “No debito”, così denominato sulla matrice di molte altre realtà sorte negli ultimi anni (No Muos, No Triv, No Ponte, etc). Vede la partecipazione di elementi provenienti dal mondo della sinistra, giunti da quasi tutta l’isola.
La sala è un po’ spartana e ha qui e là le foto di Genova 2001. “La stanno sgombrando, il circolo si trasferisce” ci dice Michele, che ha promosso l’assemblea. La cosa strana, inaspettata è che ci siano molte più persone di quante gli stessi partecipanti s’aspettassero. Privati cittadini, associazioni, elementi di partiti politici, da SEL ai rappresentanti del movimento studentesco, ragazzi del No Muos di Niscemi, nonché esponenti di Anomalia (centro sociale di Palermo). Per lo più, l’incontro vede una massiccia presenza di militanti del PCL, il Partito Comunista dei Lavoratori: gli stessi promotori dell’incontro sono appartenenti a questa sigla. Ma lo spirito non è quello dei partiti. “Questa è una cosa bella perché si dice che è aperta ai privati cittadini e alle associazioni” dice qualcuno.
Il lessico, il lessico è importante. I ragazzi di Anomalia parlano di “plusvalore”, mentre le loro parole scivolano sui jeans infilati negli scarponcini, sulle loro acconciature, sull’ombra dell’orgoglio antifascista. Altri preferiscono termini molto più semplici. Ogni tanto esce fuori “proletariato”. Roba che non si vede tutti i giorni. Ma il succo non cambia: si deve aspettare, si deve vedere dove vanno a finire queste parole. Una ragazza dall’accento nordico dice: “Da quanto tempo è che qualcuno di voi vedeva tutta questa gente ad una riunione?”. Qualcuno è costretto a restare in piedi. Si guardano gli uni con gli altri, questi donchisciotte della Sicilia profonda.

I racconti delle loro vite rendono la misura del loro impegno e della loro motivazione. Sergio Castiglione è il portavoce regionale del PCL, proviene da Caltanissetta; indossa una giacca, una coppola grigia, mentre fuma e da delle brevi pennellate con le mani; il fumo se ne va intorno alle sue basette, larghe, in stile anni ’70. E’ un “lavoratore della scuola con mille euro al mese”, la moglie insegna. “Quando il governo Berlusconi nascondeva la crisi, noi la sentivamo”. Per andare avanti, hanno dovuto ricontrattare il mutuo, per venticinque anni, di una casa che stava per essere sua, dopo anni di sacrifici. Ad un tratto emerge la rabbia, quaglia dolorosamente. “Andiamo a prenderli al Parlamento” fa e muove le mani come se avesse un deputato tra le dita.
Michele Mililli, esponente del PCL di Ragusa, ha i capelli lunghi, la barba nera. Spiega, mentre le parole italiane si piegano alla cadenza della metafonesi B ragusana, come questa città sia morta sotto il profilo dei movimenti. Il centro sociale cui si era dedicato, denominato “La Fabbrica”, è stato sgombrato già da un pezzo e lui è stato denunciato. La mancanza di spazi sociali è forte, fa un elenco di tutti quegli spiragli che ci sono, sì, ma che si possono usare solo con difficoltà, pagando ad esempio una caparra sostanziosa.
Sono storie simili a quella del barbiere e dell’impiegato, del fioraio, lontane anni luce dai racconti scritti male sulle righe dei giornali locali. Sono le storie di distanze forti tra coloro che vogliono cambiare qualcosa, in Sicilia e adesso, e chi pensa solo a fare un casino con la ‘c’ maiuscola a Roma.
Giulio Pitroso

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