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Il Pozzo della Solitudine, ovvero sugli orrori della letteratura GLBT

Anche io sono una di quelle miopi nerd che, dopo essersi letta e/o vista un film/libro interessante, va immediatamente su Wikipedia a leggere sulle “curiosità” i retroscena piccanti delle cose che mi piacciono. Ad esempio, voi lo sapevate che Debra Winger quando recitava in Voglia di Tenerezza era strafatta di cocaina? Be’ io grazie a Wikipedia lo so, alla faccia della Treccani. 
Naturalmente ho fatto la stessa cosa dopo essermi letta Orlando e, oltre ad avereil pozzo della solitudine scoperto che il suddetto romanzo partiva in origine come lettera d’amore alla fidanzata della Woolf, scoprii anche che questo romanzo venne censurato nello stesso anno assieme ad un altro, per l’appunto Il pozzo della Solitudine. Attratta dal fatto che l’unica storia a tematica lesbica intelligente che avessi letto prima di allora era stata quella tra Sailor Neptune e Sailor Uranus nel manga di Sailor Moon e anche da altri nobili fattori culturali (costava un euro), decisi di aggiungerlo alla mia libreria. 
Che dire di questo libro? Visto che i miei commenti di solito sono piacevoli come una biopsia, vorrei partire una volta tanto dagli aspetti positivi del libro in questione. Devo dire grazie a questo libro soprattutto perché era dai tempi de Il Pranzo è Servito che non leggevo di storie d’amore impossibili poiché fortemente stigmatizzate dalla società. Voglio dire, se non ci fossero i gay, oggi, dopo la rivoluzione sessuale, di quale cavolo di amore impossibile si potrebbe mai parlare? In un’epoca in cui sul sito di Repubblica sgami le foto di Susan Sarandon con il suo nuovo pupazz… ehm fidanzato di trentadue anni ogni barriera è stata abbattuta e molti scrittori, poco in vena di scrivere ma tanto in vena di fare soldi, non possono più battere cassa pescando a piene mani da quel minestrone denso di lacrime/dolore/passione che è il melodramma romantico. Tuttavia, grazie a Dio nel nostro paese gli omosessuali si chiamano ancora froci, ed è per questo motivo che Il pozzo della Solitudine non è un reperto fossile di un passato di cui potere parlar male, ma un libro ancora attuale. 
Va bene, ho finito le note positive, adesso cominciano le magagne. 
Parliamoci chiaro, Il pozzo della Solitudine ha in comune con Orlando l’anno di pubblicazione e la gogna mediatica, finito lì. Se Orlando però è un miracolo di freschezza, ironia, stile ed intreccio, Il pozzo della Solitudine è invece il romanzo capostipite del cosiddetto genere GLBT, cioè dei romanzi a tematica omosessuale (GLBT è l’acronimo che sta per Gay, Lesbian, Bisex, Transex), che nel 99,9% dei casi se non ci fossero i gay sarebbero dei libri di Sveva Casati Modigliani, in quanto si articolano pressapoco così: 
-Una storia d’amore ovviamente impossibile.
-Nel caso di una storia lesbica, la storia d’amore impossibile nasce da una profondissima amicizia nata tra i banchi di scuola/posto di lavoro/nobildonne ottocentesche; nel caso di storie gay di solito l’amore nasce tra un ricco maschione e un efebo rompiballe e lo sfondo o è la villa del maschione o è la doccia della caserma dell’efebo rompiballe. 
-La storia tra mille travagli va avanti finché qualcuno lo scopre e lo va a dire alla società che si incazza alquanto per lo scandalo. 
-Nel caso della storia lesbica nell’80% dei casi una delle due schiatta per omicidio/malattia/caduta di meteorite in testa, nel restante 20% si mollano perché una delle due si sposa e l’altra piange e maledice questo mondo crudele e beffardo per almeno due capitoli; nel caso della storia gay il maschione torna dalla moglie e l’efebo invece va a fare l’opinionista da Chiambretti. 
Ma non disperate, perché Il pozzo della Solitudine ha anche altri difetti. Innanzitutto lo stile: se soffrite di diabete abbiate cura, prima di iniziare la lettura del libro, di preparare l’insulina. Per essere precisa:

“Padre e figlia cavalcavano verso casa nel crepuscolo, e adesso non c’erano rose canine nelle siepi, ormai prive di foglie e grige per la brina gelata, un delicato ricamo di rami […] piccole luci brillavano nelle finestre delle casette delle tendine ancora aperte, ancora molto amichevoli…” 

Vi basta?

Ma veniamo alla protagonista, che sembra uscita da una fantasia erotica della scrittrice: Stephen. Si, avete letto bene, ha un nome da maschio la nostra eroina: ovviamente nelle famiglie di inizio novecento mamma e papà preferivano sempre e spudoratamente avere un erede maschio a cui sbolognare tutti i soldi dopo avere tirato le cuoia, ma ahimè a loro il primo tentativo andò male… Sarà per la prossima volta? Macché! Dato che la piccina era tamarra fin dalla prima poppata e il padre bello fumato da molto prima dell’incipit, non viene a quest’ultimo l’idea di chiamarla Stephen? Ovviamente la moglie protesta per circa due righe all’idea e la storia va avanti che è un piacere. Per quanto nel romanzo ci si impieghi una ventina di capitoli prima che Stephen si renda conto di essere lesbica, la cosa è chiara ai lettori da tipo il terzo capitolo, il tempo di svezzarla: Stephen tira di scherma, cavalca da amazzone, fa pesi, spara con il fucile quando va a caccia, veste come un gentiluomo (visto che con i vestiti da donna la stessa Hall dice che fa pena), è coraggiosa, galante, valorosa, scrive da Dio e parte pure in guerra a guidare le autoambulanze sotto le bombe… Naturalmente spero non stiate pensando che io stia forse insinuando che questa visione della mascolinità è un filino stereotipata: lo so benissimo che i compagni/mariti/padri che avete accanto fanno le stesse cose, mica stanno stravaccati con la patta sbottonata davanti a Controcampo su Italia Uno! 
Ovviamente anche Stephen ha diritto al Veramente Vero Amore e così in guerra conosce una crocerossina, Mary, che s’innamora di Stephen nell’arco di una pagina. Dato che Stephen fa il ruolo della camionara, Mary è ovviamente così femminile che farebbe passare la Barbie per Gianna Nannini: oltre ad essere ovviamente più bassa di Stephen, è minuta, indifesa, docile, dolce, sensibile ha gli occhi da cerbiatta e la boccuccia di rosa. Naturalmente spero non stiate pensando che io stia forse insinuando che questa visione della femminilità è un filino stereotipata: lo so benissimo che le vostre compagne/mogli/madri sono tutte così, mica vi romperebbero la testa a muro se osate proporre di spendere tutti i risparmi per un televisore Full HD 170 pollici e un Home Theather di ultima generazione… 
Le due allora mollano tutto e vanno a vivere a Parigi e per circa metà del libro va tutto bene, finché la vita da reietta si fa sempre più pesante…e vabbé il finale non lo dico sennò faccio lo spoiler e nessuno si legge più questa recensione, però sappiate che rientra nei due finali classici delle storie lesbiche. 
Consigliato a chi vorrebbe sapere se i medici della pubblicità progresso sono etero, gay o non t’importa.

9 Comments

  1. Veleno Veleno 09/05/2012

    Salve.
    Ho apprezzato la tua recensione perchè cinica abbastanza da suscitare il mio interesse. Ma non è veritiera.
    Ho letto da poco il libro, e tutto quello che scrivi è condivisibile ma non trovi che sia una terribile distrazione sorvolare su (positivo o negativo che sia) quanto sia doloroso questo romanzo dal punto di vista emotivo?
    Ecco, io sarò un pochino di parte in quanto lesbica, e forse questo mi ha resa parecchio partecipe alle angustie di una tizia che si straccia le vesti per tutto il libro anzichè farsela prendere a bene per la triste sorte che le è toccata di essere un’invertita (che dolore scrivere questa parola)… ma non me la sentirei di liquidare la sofferenza di una Stephen come stereotipata a cuor leggero.
    Parliamoci chiaro, il personaggio risulta stereotipato ed eccessivo per non lasciare possibili sfumature alla pubblica accusa: Stephen è l’estremo perchè è tramite estremi che si comprende la realtà, e una via di mezzo non sarebbe stata capita in un’Inghilterra di primo ‘900. Se non fosse stata così virile, inoltre, e così innegabilmente lesbica, a suo tempo una persona del genere sarebbe stata zittita in quanto donnicciola e maritata al primo buon partito.
    Non è che io nel tempo libero mastichi catrame, scarichi cassette al porto e mi occupi di bricolage, tutt’altro, ma mi rendo conto che sono i personaggi più estremi a sopravvivere al tempo e farsi simbolo dell’oppressione di milioni di persone che sono tutt’altro che estreme, anzi sono normalissime.
    Quindi ti consiglio di rileggere il libro autoconvincendoti per qualche ora di essere una lesbica, e spero che poi ti asterrai dal dare giudizi frivoli ad un romanzo che incarna e dà voce (anche con un certo stile, se vogliamo spezzare una lancia in onore della Hall) al dolore di ieri e di oggi di moltissime persone, tutt’altro che frivolo.
    Cordiali saluti.
    V.

    • noemi noemi 29/05/2015

      Bravissima… è stupendo questo romanzo e anche io sono di parte

    • silvia silvia 24/05/2016

      ben detto!

  2. nerofumo nerofumo 29/07/2012

    Io non escluderei che non sia Lesbica (oddio che brutta parola, si impara ad odiarla da subito) la scrittrice di questa recensione. Ho letto il libro parecchi anni fa, mi era sembrato una traccia molto realistica di chi nasce con questo “problema”. La melassa letteraria la dobbiamo al periodo in cui è stato scritto, l’alto tasso di sofferenza emotiva a chi l’ha scritto, deducendone che ci era passata realmente in quel tritacarne sentimentale che è l’amore lesbico. Io credo si possa chiudere un occhio sulla trama (sebbene sia così che al tempo iniziavano e finivano certe storie) di fronte alla maestria nel descrivere l’abisso infernale in cui cade chi decide di vivere le proprie emozioni senza tenere conto della realtà. Vuole forse sostenere che il libro accende la curiosità solo perché pur avendo una trama banale parla di amore lesbico? Intrigante vero l’argomento?! Ma forse mi sbaglio, non può essere lesbica una persona come la nostra recensionista che leggendo un libro del genere non capisca che il pilastro portante di tutto è la capacità di descrivere perfettamente tutti i processi mentali, emotivi e sentimentali di un esperienza del genere. Non è lesbica (e me ne congratulo) chi non capisce che chi nasce nella confusione di genere e vive un identità contraria al proprio DNA quasi mai fa il primo passo verso relazioni devastanti come queste e magari rimarrebbe sconcertata nello scoprire che il più delle volte sono donne eterosessuali a dare il via a questo incubo a senso unico. E’ un libro scritto per chi può capirlo realmente ed è stato giudicato da chi non ne capisce proprio nulla. Sbaglio o la Hall non ne ha più scritti?? Non ti sei chiesta come mai???? Chieditelo e forse capirai.

    • generazionezero generazionezero 30/07/2012

      La biografia dell’autrice della recensione non deve interessare, così come non sono dirimenti le scelte sessuali di questo o quell’autore. In ambito letterario la conoscenza in prima persona di questo o quel problema non è fondamentale (anche se può aiutare parecchio); se non fosse così Saviano, per parlare di Camorra, dovrebbe essere un mafioso.

  3. Veleno Veleno 14/08/2012

    Sembra tanto il discorsetto di Wilde sull’indipendenza dell’arte dell’autore.
    Ma lì siamo d’accordo tutti: lo scrittore racconta una storia. ma nel momento in cui scava minuziosamente nelle angosce di un personaggio, non grossolanamente per rendere la storia ancora più straziante (come sembra che tu dica), ma raccontando di disagi che qualcun altro conosce e prova sulla propria pelle ogni giorno, direi che c’è poco da sminuire.
    Se tu giudichi come insulse tante cose che leggi è perché non hai ben chiaro di che si parla, e sì che la capacità di immedesimarsi è prerogativa di ogni buon lettore! Non serve essere il personaggio per scriverlo o comprenderlo, per intenderci. Basterebbe giusto un po’ di empatia.

    Ah, e per concludere: secondo il discorso che fai, Saviano, per essere considerato mafioso, dovrebbe quantomeno scrivere sull’emotività dei mafiosi, non riportarne le “gesta” taciute da tutto il sistema.

  4. generazionezero generazionezero 14/08/2012

    Non stiamo parlando del discorso dell’arte per l’arte di Wilde. Stiamo parlando della semplice negazione dell’identità letteratura=realtà, dunque attaccare un libro che parla di uomini di colore non significa attaccare la parità razziale. L’esempio di Saviano era per rimarcare un errore di fondo che spesso si compie, confondendo il raccontato con il reale; che poi significa confondere o il narratore e lo scrittore stesso. Già il fatto che un’opera sia considerata appartenente ad un genere e all’interno di questo di una nicchia sociologica, dà da riflettere sul suo effettivo valore.
    Senza arrivare agli estremi della tradizione satirica, che si potrebbe comunque citare (vedi Luttazzi in “Va’ dove ti porta il Clito”, attaccato anche per via giudiziaria perché aveva osato ironizzare su un’opera cult). Se Saviano riportasse l’emotività di questo o quel mafioso, male non potrebbe fare (vedi il Padrino, a meno che, come Berlusconi, non si consideri lesivo dell’immagine italiana), trattandosi di finzione, non di effettiva presa di posizione a favore dei mafiosi. Ci sarebbe da ridire anche sul fatto che raccontare in prima persona significa simpatizzare, (mai sentito parlare di straniamento, o di narratore inattendibile?) Se qualcuno si sente offeso perché un’opera a cui tiene emotivamente è stata sminuita è segno che tiene a quell’opera per motivi diversi da chi l’ha recensita (che però non hanno a che vedere con l’arte).
    Dunque perché prendersela tanto?

  5. carla carinci carla carinci 22/08/2012

    Salve a tutti. Ho letto con interesse recensione e commenti, e anch’io sono rimasta un po’ turbata dal tono sprezzante con cui è stato liquidato questo libro secondo me potentissimo. Premetto che sono eterosessuale, ho 50 anni, e trovai questo libro nella biblioteca di un’abbazia nei pressi della quale abitava mia nonna. Me lo diede in prestito un prete ignaro a cui chiesi da leggere: mi portò in biblioteca e io lo presi da uno scaffale, mi piacque il titolo evidentemente. Io avevo solo undici, ero in vacanza da parenti e mi annoiavo molto. Quell’estate lo lessi e rilessi, sconcertata, e poi lo tenni nascosto, non lo restituii mai più. Negli anni l’ho riletto molte volte, e sempre l’ho trovato terribile, spietato, struggente. La solitudine di stephen è così totale, e devastante, da non poter essere liquidata con un processo sommario. E questa devastazione arriva, eccome se arriva, anche se il libro ha il passo ingenuo, a volte, del romanzo d’appendice. Ma è proprio questo che colpisce: che quei tratti che noi conosciamo come tipici di formule dedicate alla normalità qui incarnano il dramma di chi voce allora non ne aveva alcuna. E non aveva ancora un modello espressivo, uno stilema proprio, una tradizione. Quello che mi sconvolse da piccola fu il fatto che cominciava come un qualunque soporifero romanzo ottocentesco, e poi improvvisamente conduceva verso abissi di dolore impronunciabili. Impronunciabili per me, allora, che ero bambina e a malapena conoscevo l’esistenza dell’omosessualità, ma anche probabilmente per una giovanissima donna inglese, ignara di sé e delle sue inclinazioni, incapace di stabilire chi fosse e a cosa appartenesse… In genere, anch’io penso che un libro non vada giudicato tenendo conto della biografia dell’autore. La letteratura viaggia al di là di questo, ha un orizzonte ben più ampio di quello dei suoi autori. Ma questo testo ha un esplicito valore autobiografico, e quindi strettamente connesso con l’esperienza di chi l’ha scritto. E quindi con il contesto storico e culturale di riferimento. Giudicarlo solo in base a criteri strettamente letterari è riduttivo e fuorviante. Non è solo un romanzo: ha il valore di una testimonianza. Per questo me la prendo un po’: vorrei che se ne avesse, almeno, un po’ più di rispetto. Grazie a tutti, un saluto.

  6. silvia silvia 24/05/2016

    la tua recensione mi ha fatto sorridere.. posso accettare il tuo punto di vista soggettivo in quanto tale, ma hai privato il libro di tutto il suo valore storico considerato l’argomento “scomodo” per quel periodo. Personalmente non apprezzo molto lo stile troppo semplice, non per questo ne sconsiglierei la lettura.

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