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Berlinguer ti voglio bene

Mario Cioni è un sottoproletario, prigioniero della figura della mamma dalla quale non riesce a staccarsi e schiavo di una società miserabile dalla quale subisce modelli di comportamento, sfruttamenti e ideologie. Cerca di evadere da una vita povera e culturalmente piatta sempre passata a cercare fugaci avventure sessuali e a sproloquiare sulla rivoluzione. La rivoluzione è aspettata e raccontata ma non riesce mai ad essere messa in atto (trasformando il pensiero in prassi) e alla fine rimane solo nelle parole.

Se ogni ventenne italiano guardasse questo film, scoppierebbe una rivoluzione. Nonberlinguer ti voglio bene una rivoluzione politica, intendiamoci, almeno non in senso stretto. Ma nemmeno nel senso qualunquista inteso dagli Indignados. Berlinguer ti voglio bene è un film sconosciuto. Berlinguer ti voglio bene è un film maestoso. Un film di una visione più realista del socialismo reale, negli anni in cui il socialismo reale era il primo problema del mondo, dopo il Capitalismo. Un film che presagisce ed accompagna la sconfitta e tutto ciò che alla sconfitta è seguito. È un film sul non-ruolo dei giovani, che acquistano corpo politico, se lo fanno, solo quando la società ne ha ormai fatto dei giovani invecchiati, dunque pronti a non cambiare mai nulla e a pensare che ormai è troppo tardi. Lo stile realista della pellicola sa anche portarci dalle parti dell’onirismo di Fellini, attraverso scene di un espressionismo estremo e danzante. Non c’è particolare rivoltante o dialogo troppo volgare che Bertolucci (non Lui, il grande Bernardo, ma suo fratello Giuseppe):

« Noi semo quella razza che non sta troppo bene che di giorno salta i fossi e la sera le cene, lo posso grida’ forte, fino a diventa’ fioco, noi semo quella razza che tromba tanto poco, noi semo quella razza che al cinema si intasa pe’ vede’ donne gnude, e farsi segà casa, eppure la natura ci insegna sia sui monti sia a valle, che si po’ nasce bruchi pe’ diventà farfalle, ecco noi semo quella razza che l’è fra le più strane, che bruchi semo nati e bruchi si rimane, quella razza semo noi è inutile fa’ finta, c’ha trombato la miseria e semo rimasti incinta »

La sequenza più memorabile del film è quella dello sproloquio di Benigni-Mario Cioni, un flusso di coscienza che mette a nudo l’interiorità del personaggio:

Va detto che la poesia non deve essere mai spiegata, nemmeno quando si tratta di poesia blasfema. Del resto tutto è ripugnante in questo film che non manca di dipingere un quadro impietoso della società arretrata e moderna al tempo stesso, che schiaccia i giovani a cui non rimane che votarsi allo “spaventapasseri del campo con il volto di Berlinguer.”

 

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