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La pace del passante

lapacedelpassante

foto di Angelo Camillieri
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Una panchina. Il marmo squadrato che la riveste e protegge. Il punto di vista preferenziale del passante, ovvero la comodità della panchina, da scaturigine della prospettiva diventa anch’esso oggetto della prospettiva. Lì infinite sagome anonime riposano i loro sguardi nel placido paesaggio. Ma cosa vede il passante seduto sul marmo?

Sul fondo, l’orizzonte è assente, nascosto ed escluso dalla selva di oggetti confusi, che in un precipitoso alternarsi  si sovrappongono e fondono: ecco il porto, il porto senza mare.

Le barche sono ferme allineate alla banchina: motori neri, corpi bianchi. L’ordine dispositivo delle barche riecheggia l’ordine strutturale delle creazioni umane, che in un’illusione fisica e progettuale pretende di definire un equilibrio definitivo e perfetto: ma il porto è caos e spingendo lo sguardo oltre le imbarcazioni si coglie l’orizzonte artificiale: non più cielo, non più mare infinito, solo uomo e cose, cose di legno, compensato, pino, cedro; di metallo, ferro, alluminio, vetrocemento; di vetroresina, resina, fibra di vetro, poliuterato espanso.

Infine quel pezzo di mare, così finito e limitato, rinchiuso fra argini artificiali: diaframma invalicabile tra lo spettatore e la scena.

In una vena coerente e continua, con l’ironia di un orizzonte impercettibile, l’armonia lattea e l’equilibrio formale della foto celano la più secca negazione della libertà visiva: l’orizzonte occluso dalla selva di barche, il mare intrappolato, la panchina quale sosta obbligata in un viaggio indifferente.
In questa costrizione artificiale, qui la pace del passante.

Commento di Marco Occhipinti

 

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