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Lottare per la scuola: storia felice di un insegnante che ha saputo farlo.

Conversazione con la professoressa Pierina Guardiano.

Sono appena le tre quando incontriamo la professoressa Guardiano, insegnante di Storia e Filosofia al Liceo Classico Umberto I, in un caffè del centro. L’atmosfera è fredda e invernale, ma presto ci coinvolge con il racconto sentito ed empatico della sua esperienza. Abbiamo voluto prendere ad esempio quella che, come lei stessa ha precisato, è una storia ordinaria e perciò vicina a ciascuno di noi.

 

La lunga esperienza che ha fatto della scuola italiana le permette di averne una visione complessiva e completa, perciò quali sono, secondo lei, meriti e demeriti della scuola di oggi?

È una bella domanda. Meriti ne trovo legati al personale che con dedizione lavora nella scuola, al capitale umano che nella scuola opera. Mi riferisco alle menti da formare e al corpo docenti che si relaziona con i ragazzi. I demeriti sono legati allo stesso argomento. Il capitale umano costituito dalle nuove generazioni non viene valorizzato dalla scuola attuale. Si tende ad uniformare le intelligenze agli pseudo valori che fondano questa società per farle divenire persone manipolabili, da tenere sottomesse o false intelligenze che vivono allo stesso modo in questa alterità continua, senza coltivare valori autentici.

 

Ritiene che queste riflessioni si possano estendere all’intera società?

Sicuramente e per questo mi sentirei di definire, come ha già fatto Baumann, la società di oggi come una società liquida, nella quale i confini tra le varie situazioni sono molto labili. Anche nella scuola permane questo carattere di indefinitezza e i docenti non sono supportati nel compito di educare persone criticamente coscienti e consapevoli della realtà, persone che abitano la città in maniera autentica, alla maniera greca, dove ognuno è protagonista della realtà cittadina che abita.

 

Quali valori rimangono a fondamento della scuola?

Non so se voi conoscete il 68. È stato un momento di risveglio della società, che cominciava a credere nella fratellanza, nella pace, nell’uguaglianza e nel progresso. Queste sono state le basi della scuola nata dalle macerie del 68 stesso, una scuola che ha vissuto di questi valori. Non so se ha saputo renderli agibili, ma ha posto come suo fondamento la responsabilità civica, l’integrazione. Oggi questi valori sono cambiati: dicono che la scuola voglia premiare il merito del singolo, ma spesso è esso stesso legato al ceto di provenienza piuttosto che alla persona.

 

Quale è stata la sua esperienza nella lotta sindacale?
La mia esperienza è nata dal desiderio di raggiungere una posizione lavorativa non precaria. Quando avevo venticinque anni, infatti, partecipai a due concorsi per la scuola elementare, piazzandomi in una posizione dignitosa, ma che non mi diede accesso al posto. Allora si otteneva un posto attraverso un sistema di due graduatorie, di cui la seconda, detta permanente, permetteva di acquisire un posto di ruolo nella provincia di residenza. Quando la graduatoria permanente venne improvvisamente resa nazionale, con la conseguenza che persone in graduatoria a Ragusa si sarebbero potute trovare a lavorare a Como a Rovigo o in un posto qualsiasi dell’Italia, molte donne si trovarono dinanzi alla drammatica scelta tra carriera e famiglia. Così decisi di agire attraverso il sindacato per formare un movimento di insegnanti appartenenti a questa graduatoria perché venisse nuovamente resa provinciale. Inizialmente la richiesta non venne accolta. Dopo lunghe vicissitudini, però mi trovai una sera a cena con altri sindacalisti. Fu allora che uno di loro mi chiese –rivolgendosi a me come rappresentante del movimento ormai divenuto nazionale- se ero disposta ad accettare un posto di ruolo anche nella scuola materna. Io accettai e con me ottennero un posto moltissime persone che, in tutta Italia, avevano partecipato alla mobilitazione.

Quali sono gli insegnamenti che ha tratto da questa esperienza?

Ritengo che il valore di questa esperienza sia duplice. Con questo impegno sindacale si riuscì a garantire all’intera provincia di Ragusa forze lavorative giovani impegnate nell’ambito della scuola, che altrimenti avrebbe avuto una classe docente piuttosto anziana, incapace di accogliere i cambiamenti che coinvolgevano la scuola in quel momento. Si riuscì poi, a ridare valore ai diritti di persone che avevano combattuto per raggiungere una determinata posizione e che all’improvviso avevano perso il posto. È un’esperienza come altre, molte persone potrebbero raccontarvi cose simili, ma è importante capire che se si ha un’idea bisogna, con testardaggine, intelligenza e con il senso della misura, fare di tutto per realizzarla. Per ottenere i propri obiettivi bisogna prima di tutto avere fiducia nelle sfide che si presentano quotidianamente. Se io avessi sottovalutato il posto alla scuola materna, come era frequente allora, non avrei avuto l’occasione di lavorare in quello che è divenuto il laboratorio della didattica più aggiornata e dei fondamenti pedagogici della scuola. Fondamenti che se venissero applicati nella nostra scuola secondaria ne farebbero una scuola dove si da valore alle strutture cognitive, agli aspetti socializzanti dell’educazione e alla persona in se stessa.

 

Quali soluzioni proporrebbe allora perché anche gli studenti possano contribuire al miglioramento della scuola?
Sicuramente dovreste divenire più consapevoli dei problemi effettivi che coinvolgono la scuola, così da poter elaborare soluzioni semplici e di immediata realizzazione. E’ importante soprattutto partecipare in modo propositivo e costruttivo alla gestione della scuola, per esempio proponendo la realizzazione di “laboratori di apprendimento”, che non siano laboratori nel senso corrente del termine, ma luoghi dove si possa formare una didattica attiva basata sul dialogo tra docenti e alunni e non su un rapporto cattedratico. In questa maniera ogni angolo della scuola potrebbe divenire una laboratorio. Quando ho iniziato a lavorare nella scuola secondaria avevo tentato di impostare un tipo di didattica del genere, ma non è stata capita per nulla. Perciò ho finito per arrendermi all’insegnamento tradizionale. Non vi nascondo che questo sistema mi sta un po’ stretto e per questo motivo ho sempre cercato di instaurare un rapporto con gli alunni che non sia solo tecnici stico, di considerare i ragazzi con cui lavoro un bene, un’opportunità che mi vien offerta. La consapevolezza del valore di ogni studente riempie la mia vita scolastica.

 

Simone Lo Presti e Carla Piccitto

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