Press "Enter" to skip to content

…E i laureati?

Andando indietro nei secoli possiamo scovare tantissimi esempi di come l’uomo ha soggiogato un altro uomo attraverso l’arma della speculazione: lo schiavismo nell’antica Roma, dove lo schiavo “tuttofare” veniva degradato da essere umano ad attrezzo di lavoro, giustificando la causa della sua posizione sociale come “perdita della condizione di libero” (ad esempio in quanto cittadino straniero fatto prigioniero dai romani); l’Inquisizione della Chiesa Cattolica, ideata nel Concilio di Verona nel 1184 da Papa Lucio III e dall’Imperatore Federico Barbarossa (decreto “Ad Abolendam”), con lo scopo di perseguire, torturare e punire (spesso con la morte dovuta per rogo) tutti coloro che si fossero macchiati della colpa di eresia, ovvero avallare una dottrina contraria ai dogmi della religione Cattolica del tempo; la costituzione dei campi di concentramento (in Germania ad opera dei nazisti, mentre nell’ex Unione Sovietica dai russi) dove milioni di persone furono sterminate solo perché di “razza” diversa o in quanto oppositori politici di quei regimi totalitari, che opprimevano la loro libertà.
Portando alla luce questi ricordi della storia c’è una domanda che vola in attesa di una risposta: chi sono in Italia gli sfruttati del duemila? Chi sono gli “schiavi” nel bel Paese? Sono tanti e si chiamano precari, operai in cassa integrazione, tossicodipendenti che diventano per “necessità” i bracci armati della delinquenza; ed infine proprio loro, sì, i laureati, spesso costretti, dopo i tanti sacrifici economici e morali fatti dagli stessi e dalle loro famiglie, ad un’attività che nulla ha a che fare con i loro studi e la loro laurea.
Il 7 marzo del 2011 è stato pubblicato il XIII rapporto Alma laurea sulla condizione occupazionale dei laureati italiani. Ciò che emerge tra i laureati triennali dell’anno 2009 è l’aumento del tasso di disoccupazione dal 15 al 16%; cresce dal 16 al 18% per quanto riguarda i laureati specialistici biennali; cresce dal 14 al 16,5% la disoccupazione fra gli specialisti a ciclo unico. Inoltre sono pochi gli investimenti in istruzione, ricerca e sviluppo.
Il finanziamento italiano, pubblico e privato, rivolto all’istruzione universitaria è pari solo allo 0,88% del PIL nazionale, contro l’1,07% della Germania, l’1,27% del Regno Unito, l’1,39% della Francia e il 3,11% degli Stati Uniti, mentre per quanto riguarda l’area ricerca e sviluppo, nel 2001 l’Italia ha destinato a questi campi l’1,23% del PIL, posizionandosi così all’ultimo posto dei paesi europei più avanzati che investono in questi settori. Aumenta così la ormai famosa “fuga dei cervelli”: migliaia di ricercatori italiani che, non trovando qui la giusta collocazione di merito e le condizioni lavorative adatte per svolgere al meglio il proprio lavoro, si lasciano giustamente corteggiare dagli altri paesi che di certo nutrono interesse per il proprio sviluppo economico, politico e culturale.
Mettendo a confronto la condizione dei laureati italiani con quella degli ebrei della seconda guerra mondiale o con quella dei perseguitati durante la Santa Inquisizione, risulterà inappropriato un certo tipo di paragone, sia per il diverso contesto socio-culturale che divide queste generazioni, sia per il differente spessore della storia umana che di certo non li accomuna, ma questo, appunto, vuole mirare a creare un gancio immaginario che unisca questi momenti storici per sottolineare la mancanza di opportunità e le tante problematiche di chi vive, come i laureati di oggi appunto, una condizione di sfruttamento, ora sociale, ora economico, ora culturale, adesso come allora. Si potrebbe così pensare che anche nel nostro tanto martoriato entroterra siciliano la situazione non sia delle migliori, oggi come ieri: basti ricordare i “carusi” minatori che tanto hanno sofferto e pagato (anche con la vita) per sopravvivere in un mondo “padrone”, governato da potenti senza scrupoli né remore per la vita, per la giustizia, per loro stessi.Lo sfruttamento sociale non ha bisogno di martiri per essere reputato tale: lo sfruttamento sociale è una condizione dell’uomo che solo la pietà potrà combattere.

Di Alessandro Giuliana

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *