Di Alice Speranza
“In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito.”
Sono i “cafoni”, i contadini abruzzesi, poveri, ignoranti e oppressi, abitanti del villaggio di Fontamara i protagonisti del romanzo più noto di Ignazio Silone, che ribalta la tradizionale visione idillica del mondo contadino (retaggio della tradizione della poesia bucolica e pastorale, da Teocrito a Virgilio, dall’ età dell’ Arcadia a Parini) e rivela la verità della condizione di rassegnata miseria, sfruttamento e isolamento dal mondo.
Fontamara è un nome fittizio, che significa “luogo di amarezze e sofferenze”, ma quella che ospita è una realtà sociale fin troppo presente nell’Italia dei primi del Novecento: lo stato di abbandono e povertà -a causa dell’ incuria dei governi- in cui viveva la massa dei braccianti e contadini del Meridione, per il riscatto dei quali Silone non ha mai affievolito il suo impegno. Non unica tra le sue opere a denunciare i problemi politici e sociali del Sud, Fontamara esprime anche la speranza di un affrancamento dalla condizione di miseria e sfruttamento delle plebi meridionali, grazie all’acquisizione di una coscienza sociale.
Fantastica è anche la genesi del romanzo: nella Prefazione, lo scrittore in esilio immagina di incontrare due uomini e una donna fontamaresi, la cui narrazione costituisce il contenuto dell’ opera.
E’ il primo di giugno del 1929, da sette anni il Fascismo è al potere in Italia – ma questo i Fontamaresi non lo sanno ancora- e a Fontamara, a causa dei mancati pagamenti, viene tagliata la luce. Sperando di poter tornare a usufruire dell’illuminazione elettrica, i contadini firmano quella che poi scopriranno essere l’autorizzazione a deviare il ruscello, della cui acqua tutti si servivano, verso i campi acquistati dall’Impresario, da poco nominato podestà del Comune. Uno degli abitanti del paese, Berardo Viola, si reca a Roma per cercare lavoro, potersi sottrarre al giogo della povertà e sposare l’amata Elvira. Arrestato per un equivoco, in carcere conosce lo Sconosciuto, un appassionato sostenitore della Resistenza; venuto a conoscenza dei cambiamenti avvenuti in seguito all’ avvento del Fascismo e conquistato dagli ideali di libertà e giustizia, si autoaccusa di essere lo Sconosciuto che la polizia sta cercando per poter permettere il rilascio del vero Sconosciuto e il proseguimento della sua lotta antifascista. Così, dopo aver saputo anche della morte di Elvira, Berardo si spegne tra atroci torture, orgoglioso di essersi sacrificato per una causa giusta, di essere “il primo cafone che non muore per sé, ma per gli altri”.
Venuti a conoscenza della morte del loro compaesano, i Fontamaresi organizzano un movimento antifascista e fondano il “Che fare?”, giornale in cui denunciano le ingiustizie subite e che manifesta il desiderio di reagire contro l’ arroganza e l’oppressione dei potenti.
Una spedizione punitiva delle milizie fasciste provoca la strage degli abitanti di Fontamara, tra i quali però alcuni, tra cui i narratori della storia, riescono a fuggire.
Nonostante la tragicità del finale, esso lascia l’insinuazione del dubbio, l’intravedersi della speranza che le cose possano cambiare. Tra i “cafoni” di Fontamara all’inizio non era possibile alcun tipo di associazione solidale, accomunati solo dalla miseria e dall’ignoranza, era impensabile che sperassero in una riscossa, vivevano nella rassegnazione ad un destino di sopravvivenza stentata, schiacciati da leggi che non potevano comprendere e da tasse che non potevano pagare; tuttavia, la morte di Berardo, che assurge a simbolo dell’ eroe che si sacrifica per permettere la trasmissione di ideali di libertà, permette il risveglio della coscienza, anzi, l’ acquisizione della coscienza della possibilità di cambiamento, della possibilità che tempi più umani e più giusti, privi di ogni forma di dittatura e rispettosi delle libertà dell’ individuo, possano avverarsi.
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