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Diario Parigino- Gli ultimi di Parigi

Di Massimo Occhipinti

 

Di vagabondi, senzatetto, barboni, mendicanti, accattoni, homeless, sans-abri, chemineau ne sono piene le strade della “Ville Lumière”; nessun quartiere ne è esentato e nonostante nel senso comune la periferia sembra essere l’habitat naturale per loro la presenza, questi fantasmi sono molto più visibili proprio nel cuore di Parigi, dove dominano imponentemente sullo sguardo dei passanti i patrimoni artistici, ricordo del lusso sfarzoso dell’Ancien Régime.

Sono tanti, sicuramente più delle espressioni coniate per definirli, la più rappresentativa delle quali mi sembra essere il dispregiativo “Clochard”, “colui che zoppica”, dal verbo “clocher” (zoppicare) che deriva dal latino “cloppus” (per l’appunto zoppo), probabilmente per il tipico incedere del mendicante nell’immaginario collettivo; diventa ai giorni nostri colui che non ha né denaro, né residenza e che vive per strada, dispregiativo quasi quanto l’indifferenza, l’elemosina fariséa o il fastidio dei passanti, o ancora i termini studiati per “addolcire” la loro drammatica condizione, come SDF (sans domicile fixe) = senza fissa dimora.

Ecco cosa mi ha colpito di più di Parigi, più dell’arte, della sua storia, dei divertimenti, dell’efficienza dei servizi…Mi ha letteralmente colpito incontrare un barbone in ogni via della città, in ogni quartiere, ad ogni angolo, ad ogni stazione di metro.
Ogni giorno uscendo di casa quel signore che stava seduto a due passi dal mio portone mi salutava augurandomi una buona giornata; bastava percorrere i dieci minuti a piedi e le due vie che separavano il mio alloggio dalla biblioteca del “Centre G.Pompidou” per incontrarne quattro.

Molti…Tanti frequentavano il “Pompidou” per ripararsi qualche ora dal freddo, trascinandosi i loro sacchetti di plastica davanti alle tv messe a disposizione per gli utenti o leggendo qualche giornale, magari addormentandosi sulle sedie.

E c’è qualcuno che vorrebbe motivare la condizione di questi “rottami sociali” sostenendo che si tratta di una scelta di vita…E ci vuole coraggio a sostenerlo, in una zona d’Europa  dove le temperature invernali scendono volentieri sotto lo zero!

Basta vivere Parigi con un po’ di attenzione e di umanità, respirare l’aria pesante dell’ipocrisia e osservare le condizioni più disparate in cui questi “ personaggi” sceglierebbero di vivere: la sofferenza dei loro visi e la disperazione dei loro sguardi sono argomentazioni superflue.

Ma non è necessario allontanarsi molto, vivere la città e conoscerla nei minimi dettagli; è possibile farne esperienza anche vivendo rinchiusi in casa e uscire solo per fare la spesa: sono alla vista di tutti e spesso considerati parte dell’arredo urbano.
Il fenomeno non è una novità, una sorpresa, possiamo conoscerlo anche in città decisamente più piccole come la nostra, ma sorprende in una capitale europea, patria della Democrazia e dell’idea stessa di Europa, dove viene amplificato all’ennesima potenza e non si può più far finta di non vedere o di non sapere.

Secondo l’INSEE ci sono circa 90.000 senzatetto in Francia e non sono riuscito a reperire le cifre che riguardano solo la città di Parigi, ma non ho affatto bisogno delle cifre per indignarmi; tutte le conquiste della contemporaneità, la storia e la poesia della Rivoluzione, grazie alla quale abbiamo sospirato e ci siamo riempiti d’orgoglio, perdono di senso e di valore di fronte alla disumanizzazione dei rapporti sociali all’interno delle comunità.

I rapporti economici, mezzo per il progresso sociale, sono diventati il fine della nostra presunta “civiltà”; questa alienazione è parte della nostra decadenza.

Credo che non sia compito dei sociologi spiegare il fenomeno, credo che sia compito di un uomo provare sgomento e riflettere…

 

 

 

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