A seconda di come si alza il vento, i fumi provenienti dal serbatoio in fiamme della raffineria si disperdono nell’aria tutt’intorno, ammorbandola di un odore acre e nauseabondo. È la notte del 26 settembre quando dal serbatoio 513 della raffineria Mediterranea cominciano a fuoriuscire degli enormi ammassi di fumo e fiamme, ma già nel corso della giornata appena trascorsa, l’odore di combustibile era presente nell’aria. In molti sono gli abitanti della zona che, assistendo all’increscioso spettacolo, decidono spontaneamente di abbandonare le case, privi di un piano d’emergenza, tanto che l’autostrada A20, che da Messina porta a Palermo, è quasi ingombra di auto. Nelle ore seguenti, il serbatoio continuerà incessantemente a bruciare, fino a che le enormi quantità di combustibile al suo interno non saranno esaurite.
Ci troviamo a Milazzo, in provincia di Messina, nella punta nord-orientale della Sicilia, in quel territorio che prende il nome di Valle del Mela.
A partire dagli anni ’60, Milazzo e i paesini del circondario hanno visto sorgere uno dei più importanti poli energetici del Paese, capace di fornire lavoro ad una fetta non indifferente della popolazione. Come spesso accade in queste situazioni, però, i risvolti della faccenda non hanno tardato a mostrarsi e così il territorio della Valle del Mela è passato dall’essere uno dei poli d’avanguardia del settore energetico italiano ad uno dei siti più inquinati del Paese, tanto da rientrare tra i Siti di Interesse Nazionale.
L’episodio più tragico del corso della Milazzo “industrializzata” fu certamente quello del 4 giugno 1993, quando, in seguito ad un’esplosione in uno dei settori della raffineria “Mediterranea” (partecipata dall’allora Agip Petroli) persero la vita sette uomini.
L’incendio scoppiato la notte del 26 settembre scorso non ha fortunatamente sortito danni immediati ai lavoratori della raffineria, ma ha senz’altro aggravato la già pericolosa situazione ambientale dell’area.
Per capirne di più abbiamo intervistato Antonio Mazzeo, giornalista e saggista, da anni attivo nella lotta ai crimini ambientali.
Secondo il comandante dei Vigili del fuoco di Messina, Salvatore Rizzo, l’incendio è stato causato da un cedimento del serbatoio che conteneva il combustibile, eppure in un comunicato di FederPetroli Italia si legge che la raffineria di Milazzo “risulta una delle più all’avanguardia a livello europeo con impianti di raffinazione di alta efficienza tecnologica”: quali sono le reali condizioni in cui versa la raffineria?
Quanto accaduto la notte del 26 settembre credo abbia chiarito che non è più possibile spacciare l’idea di una raffineria sicura o, peggio, ambientalmente sostenibile. Il fatto che, probabilmente, abbia ceduto il tetto del serbatoio TK513 con la conseguente esalazione per giorni di fumi altamente tossici e cancerogeni è la conferma esplicita che ci troviamo di fronte a produzioni pericolosissime con impianti più che obsoleti. Certo non possono stupire le dichiarazioni falsamente tranquillizzanti del management della raffineria: anche per gli incidenti alle centrali nucleari di Chernobyl e Fukushima le autorità statali di Unione Sovietica e Giappone e le aziende hanno fatto a gara per emettere note del tipo “non è accaduto nulla”, “è tutto sotto controllo”. Credo che nessuno abbia più voglia di negare che si è trattato invece di due immani tragedie ambientali. La storia, a Milazzo, si ripete. Con l’aggravante che abbiamo assistito, impotenti, al balletto complice dei poteri pubblici (enti locali, Prefettura, Regione siciliana, etc.), incapaci di fornire dati veritieri e incontrovertibili e soprattutto di predisporre piani di pronto intervento, evacuazione, prevenzione incidenti, etc. Non ci sono stati centinaia di morti per un mero miracolo o per le direzioni “favorevoli” dei venti. E questo, nel 2014, è assurdo, inaccettabile.
Nello stesso comunicato di FederPetroli Italia si legge anche che “Nonostante la nube a seguito dell’incendio, non vi sono situazioni dannose per l’ambiente e l’aria circostante”: è veramente così?
A dire il vero, i primi dati sui rilievi di ARPA Sicilia ci dicono il contrario e, poi come ha rilevato il parroco ambientalista di Archi, padre Trifirò. la saggezza antica di chi conosce il territorio, la sua storia, l’habitat del Comprensorio del Mela sa che è tutto il contrario e che ci troviamo di fronte a un grave crimine contro gli abitanti, la salute, la natura. La raffineria, la centrale Enel, molti altri impianti industriali (la memoria non può che andare ad esempio alla immane strage dei lavoratori e dei familiari della ex Sacelit, produttrice di eternit) hanno irrimediabilmente devastato l’ambiente, minato la salute e le speranze di vita sana di migliaia di persone. Basta avvicinarsi alla raffineria, oggi, per avvertire sintomi ineluttabili: sensazioni di avvelenamento, difficoltà respiratorie, irritazione alla gola e alle vie respiratorie superiori, pesantezza alla testa, difficoltà alla vista, etc. Ma per i Signori del profitto, invece, si tratta solo di “suggestioni”. Il popolino si può continuare ad ammorbarlo, deriderlo, imbrogliarlo. E chi dovrebbe difenderne il diritto alla vita e alla salute, tace, mente, occulta.
Nei giorni immediatamente successivi l’incidente su alcuni balconi della città di Milazzo sono stati affissi alcuni lenzuoli bianchi, quasi a testimoniare la continuità tra le proteste di Palermo del ’92 e le proteste per i rischi alla salute di questi giorni: qual è stata la reazione della cittadinanza all’incendio della raffineria?
Il popolo dei lenzuoli, i giovani studenti della Valle del Mela, le migliaia di manifestanti sabato scorso sono la rivelazione di un territorio che non vuole rassegnarsi alla morte e alla ignavia, nonostante le continue menzogne veicolate dai grandi e piccoli organi di stampa e Tv, delle università, dei tanti laboratori “scientifici”, tutti in busta paga ENI, l’azionista di Raffineria di Milazzo insieme all’industria di proprietà dell’emiro del Kuwait. Certo, la gente ha paura, sa di trovarsi di fronte a dei colossi che sono responsabili di immani crimini transnazionali, il cui strapotere planetario è stato raggiunto anche grazie a guerre e tragedie ambientali epocali. E c’è poi la paura di perdere anche quei pochi benefici economici prodotti con gli impieghi, sempre meno, all’interno della raffineria. Ma quanto è accaduto, l’ecatombe appena sfiorata, impone un cambio di direzione profondo. L’intero comprensorio sa che non è più possibile non interrogarsi sul modello socioeconomico che è stato imposto dall’alto. E su quello che invece gli è stato sottratto, estorto, rubato.
La zona in cui sorge Milazzo, conosciuta anche come Valle del Mela, rientra tra i Siti di Interesse Nazionale, ai quali il Ministero dell’ambiente dovrebbe destinare un piano di bonifica e di recupero ambientale: qual è stata la risposta delle Istituzioni all’incendio e più in generale alla condizione ecologica dell’area?
Gli enti locali, tutti, hanno mostrato di essere stati da sempre incapaci nel programmare, ideare, regolare i modelli di “occupazione” e brutta parola, di “sviluppo”. Ma hanno fatto di peggio, hanno occultato i reali rischi per l’uomo e il territorio di raffinerie, centrali elettriche, etc., proliferate senza alcuna pianificazione pubblica. E la notte del 26 hanno mostrato tutta la loro inefficienza nel dare anche le risposte più semplici a chi invocava verità e sicurezza e aveva il pieno diritto a sapere cosa fare, dove andare, chi e come era pronto a proteggerlo. I Comuni, le scuole, società sportive, centri culturali e anche alcune parrocchie hanno fatto la fila per elemosinare miseri contributi dai titolari della raffineria, prostituendo il sapere, violando le coscienze, negando la critica e la ragione. Il crimine più grave compiuto in mezzo secolo di vita, la raffineria, l’ha prodotto purtroppo sulla coscienza politica e l’identità sociale locale. Sono convinto però che le nuove generazioni possano e vogliano riscattarsi da retaggi di pratiche di stile meramente coloniale.
Esistono alternative all’attuale produzione di carburante della raffineria, che possano tener conto della salute dei cittadini senza minare la possibilità di impiego dei lavoratori?
Dobbiamo essere sinceri, leali. Il territorio della Valle del Mela, con identità e vocazione agricola e turistico-ambientale, è stato devastato, il suolo è stato divorato, consumato, asfaltato e cementificato, le fonti idriche prosciugate e avvelenate. Ma ripensare il modello è una necessità, è doveroso. La chiusura di ogni impianto pericoloso e inquinante è necessaria e deve avvenire subito, senza se e senza ma. Ripartire dalla riconversione e bonifica è la prima risposta concreta per assicurare che non si disperdano i posti di lavoro e i redditi esistenti. In Germania, decine di complessi (im)produttivi della ex DDR, grazie ai fondi Ue, sono stati riconvertiti non solo mettendo in sicurezza il territorio e risanando l’ambiente, ma anche salvaguardando e potenziando l’occupazione. Per questo, va rifiutato comunque il ricatto dei Signori dei fumi tossici che contrabbandano il “lavoro” in cambio dei loro spregiudicati profitti. E i tanti giovani in marcia, sabato, contro la centrale, questo lo hanno capito. E, spero, che non faranno sconti a nessuno, specie a quei politici, sindacalisti, docenti e “adulti” che nulla hanno fatto per assicurare loro la vita, un futuro, diritti, democrazia, libertà, lavoro.
Intervista di Giuseppe Cugnata
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