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Shin, il ragazzo nato, cresciuto e scappato da un lager in Corea del Nord

La vita nel lager

Shin Dong-hyuk ha 32 anni, è nato nel Campo 14 di un lager della Corea del Nord e vi è rimasto fino a 22 anni. Il campo è nascosto tra le montagne e il fiume Taedong a 80 km da Pyongyang e pare sia uno dei più duri tra i sei esistenti nella Corea del Nord. I suoi genitori si conobbero nel campo e come premio per la loro condotta fu permesso loro di avere rapporti sessuali. Pane quotidiano della sua vita nel lager erano la violenza, le regole ferree da seguire, le esecuzioni e la scarsa quantità e qualità di cibo. Uno dei problemi maggiori era proprio il cibo, tre volte al giorno sette giorni su sette, si mangiava solo zuppa di cavolo e pasticcio di mais. La razione non era però sufficiente e alle volte si riusciva a rubare qualcosa, ma se scoperti si veniva picchiati e uccisi. Poteva capitare di uccidere dei topi con il permesso delle guardie e cibarsi. Shin è cresciuto non sapendo come fosse il mondo all’esterno, se la Terra fosse tonda o quadrata. Il suo primo ricordo d’infanzia risale a quando aveva quattro anni: un’esecuzione. Altro momento impresso nella sua mente è la morte della mamma e del fratello, impiccati perché volevano scappare. A denunciare alle guardie il loro piano fu proprio Shin. Era cresciuto con l’idea che fare la spia era il giusto atteggiamento anche per salvare se stesso. Non ricorda di aver provato amarezza o tristezza alla vista dell’impiccagione dei suoi familiari, ma solo sollievo per averla scampata. Le guardie, però, pensarono che anche Shin fosse coinvolto nel piano di fuga e così lo incarcerarono e torturarono. Il suo corpo è pieno dei segni delle torture, le caviglie sono deformate per il peso dei ceppi che lo tenevano appeso a testa in giù; ha ustioni in buona parte del corpo; ha un dito mozzato per aver fatto cadere una macchina da cucire; il suo ventre è forato per l’inserimento di ganci che lo tenevano sospeso tra le fiamme; gli stinchi bruciati dalla rete elettrica che recintava il campo. Quest’ultima ferita testimonia la sua fuga avvenuta insieme a un prigioniero, Park, ultimo arrivato, che gli aveva raccontato la vita all’esterno.

La fuga

Attratto dalla vera vita, Shin scappò insieme a Park il 2 Gennaio del 1995, quest’ultimo però rimase fulminato dalla recinzione e Shin usò il suo corpo per proteggersi da questa e scappare. Dopo aver viaggiato per molto tempo raggiunse i confini cinesi e, corrompendo una guardia alla frontiera, riuscì ad entrare nel Paese. In seguito approdò in Corea del Sud, a Seoul, dove fu sottoposto alla macchina della verità più volte. La sua vita e la sua testimonianza è stata raccolta in un libro “Fuga dal Campo 14”, scritto dal giornalista Blaine Harde e in un documentario. Shin oggi gira tutto il mondo per raccontare la sua esperienza e per ribadire che i lager esistono, a dispetto di coloro i quali ne negano l’esistenza.

Federica Monello

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